Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?».

E io a lui: «S'i' vegno, non rimango;
ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?».
Rispuose: «Vedi che son un che piango».

E io a lui: «Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto».

Allor distese al legno ambo le mani;
per che 'l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: «Via costà con li altri cani!».

Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi 'l volto e disse: «Alma sdegnosa,
benedetta colei che 'n te s'incinse!

Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bontà non è che sua memoria fregi:
così s'è l'ombra sua qui furïosa.

Quanti si tegnon or là sù gran regi
che qui staranno come porci in brago,
di sé lasciando orribili dispregi!».

E io: «Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago».

Ed elli a me: «Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disïo convien che tu goda».

Dopo ciò poco vid' io quello strazio
far di costui a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
e 'l fiorentino spirito bizzarro
in sé medesmo si volvea co' denti.



Siamo nell'ottavo canto dell'Inferno della Divina Commedia e la scena è tra le più feroci dell'intera cantica. Chi è questo Filippo Argenti che Dante riconosce pur sporco di fango, e che dallo Stige cerca di tirarlo nella palude venendo infine aggredito dai compagni di dannazione? E' un iracondo, uno di cui la memoria non ha tramandato alcun atto di bontà e che finché fu in vita si fece guidare dalla rabbia e dall'orgoglio.
Ebbene, chi sono i "nuovi iracondi"? Li conoscete benissimo, ne incontrate un'infinità ogni giorno. Sono quelli che stanno sempre dalla parte del più forte, quelli della "tolleranza zero", quelli cui interessa solo il proprio tornaconto, quelli che "io gli darei fuoco", quelli che de La rabbia e l'orgoglio hanno fatto la propria scellerata bibbia. Ce ne sono tanti, tantissimi. Camminano rasente ai muri senza tanto esporsi, vedono solo il "degrado" e non gli interessa vedere tutto il resto, non parlano ma cianciano, strepitano ed urlano, si esprimono per slogan e non smettono mai, non si arrendono mai neppure davanti all'evidenza.
Nel canto dantesco gli iracondi sono condannati all'immersione perpetua nel fango dello Stige. Quel fango di cui hanno riempito la vita propria e quella altrui; quale sarà la condanna per i nuovi iracondi?