Una lettrice del nostro sito-bersaglio inviò ad esso sito, nell'ottobre 2006, una lunga lettera in cui rimprovera il presidente della Repubblica Islamica dell'Iran di una serie di atti assolutamente inqualificabili, sostanzialmente consistenti nell'aver detto le cose come stanno, in più di un'occasione pubblica.
Dal 1979 la Repubblica Islamica dell'Iran ha diffuso incessantemente, ed utilizzato ogni volta che è stato necessario, modalità di rapportarsi ai paesi "occidentali" che in dar al'Islam avevano pochi precedenti; in sostanza, a Tehran non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da qualche imbrattacarte "occidentalista" a caccia di articoli con cui infarcire la pornografica "libera stampa" del suo paese. La figura di Mahmoud Ahmadinejad è discutibile da moltissimi punti di vista, e l'amministrazione iraniana tutt'altro che esente da pecche soprattutto per le condizioni di insicurezza e di basso tenore di vita in cui vive una parte ancora troppo cospicua della popolazione. Non lo è per come si rapporta ai media che gli fanno la posta da sempre attendendo la "minaccia" o il "passo falso", che quando non arrivano si possono sempre far arrivare con qualche disinvolta traduzione.
Qualche titolo di scatola e qualche immagine ad hoc completano così l'articolo, in cui il biasimo del presidente iraniano per il disgustoso comportamento "occidentale" in Palestina diventa, nero su bianco, la promessa di un attacco nucleare imminente.
Nell'ottobre 2006 Ahmadinejad avrebbe detto al Times (la fonte della nostra citazione è il sito-bersaglio, dunque non garantiamo):

“Dovreste convincervi che questo regime (Israele) non potrà durare e non riceverete altri vantaggi dalla sua esistenza. Quali vantaggi avete ricevuto per averlo sostenuto, oltre all’odio dei Paesi ( arabi)?”

Nell'ottobre del 2006 in Israele infuriano le polemiche per la pazzesca guerra contro il Libano, conclusa in modo tutt'altro che trionfale, con Hezbollah che alla prova del fuoco ha retto in maniera imprevista e che ha visto salire consensi e prestigio in Libano e fuori, nonché con l'intromissione di una forza ONU a separare i contendenti. Questo il contesto in sintesi, ed il clima in cui ancora una volta Ahmadinejad non fa che prendere atto di quanto stiano diventando fragili le radici che legittimano l'esistenza dello "stato ebraico" in quanto tale. Chi si occupa -anche solo a livello di curiosità- di Medio Oriente sa che le aliot incentivate con ogni mezzo per vent'anni non sono state sufficienti a disinnescare la bomba demografica palestinese, ma in compenso hanno trasformato radicalmente, e non sempre in meglio, la società israeliana. Il rinchiudersi dietro un muro come quello cisgiordano, poi, non può in nessun modo essere considerato manifestazione di un potere saldo ed indiscusso. Altro segnale, episodico ma significativo: nel settembre 2007 è stata smantellato un gruppetto neonazista dedito a violenze contro ebrei ortodossi, stranieri, punk, gay e tossicodipendenti, colpevole a quanto sembra anche di aver sfregiato una sinagoga a Tel Aviv. Un caso isolato, dovuto ad immigrati esteuropei, ma che ha fatto percorrere ad Israele un ulteriore -e lungo- passo verso il diventare un paese come un altro. Non è tagliando risorse e relazioni a Gaza o all'Autorità Nazionale Palestinese che si affretterà la normalizzazione dell'area e che si eviterà ad Israele di sopravvivere facendosi puntellare dalle baionette e dalle testate nucleari che da quarant'anni sono pronte nei depositi.

“Abbiamo avvisato gli europei che gli americani sono lontani, mentre loro sono vicini ai Paesi di quest’area. Vi informiamo che gli Stati sono come un oceano che si sta gonfiando, e se una tempesta scoppierà, non si limiterà ad investire la Palestina, e potreste farvi male […] Voi avete imposto a questa regione un gruppo di terroristi. E’ nei vostri interessi prendere le distanze da questi criminali… Questo è un ultimatum. Non trovatevi, un domani, ad avere dei rimpianti. I Paesi (arabi) avranno la propria rivincita.”

Non ci piacciono affatto i puntini di sospensione che tagliano a metà il paragrafo, ma andiamo pure avanti. I pericoli di un conflitto mediorientale che coinvolga tutti i paesi dell'area sono piuttosto concreti e potrebbero anche non vedere la partecipazione iraniana. Basterebbe che coinvolgesse Siria ed Israele -il casus belli non è mancato neppure di recente, con il raid israeliano contro un'installazione (forse nucleare) nel deserto della Siria- per vedere gli investimenti europei nell'area sfumare, i profughi aumentare, il Libano precipitare di nuovo nella guerra civile.
Un "occidentalista" non ammette che chi governa a Tel Aviv possa essere tacciato di "terrorista"; il terrorismo, secondo la definizione "occidentalista" è qualsiasi cosa che non implichi il passaggio di ricchezze dai poveri verso i ricchi. In termini di ben maggiore serietà si potrebbe invece tentare di definirlo come la costellazione di comportamenti messi in atto da chiunque riesca, con strumenti, mezzi, strategie belliche e comunicative, a rendere difficoltoso il tranquillo svolgersi della vita sociale in un dato contesto, aumentando nei soggetti e nei gruppi sociali individuati come bersagli (o che come tali si autopercepiscono) il timore di rimanere vittime di attacchi imprevedibili ed influenzandone in ultimo il comportamento. Secondo una definizione di questo genere, i metodi del Lohamei Herut Israel ("Lehi"), la Banda Stern che combatté i colonizzatori britannici, furono macroscopicamente terroristici in più di un caso. Fu il Lehi a distruggere il King David Hotel nel 1946 (un centinaio di vittime), ad uccidere lo svedese Folke Bernadotte, ad attaccare insieme allo Irgun il villaggio di Deir Yassin. Lo stesso Lehi, nel 1940 e nel 1941, cercò contatti presso il Terzo Reich. Il Lehi costituì un fenomeno numericamente marginale per la fondazione e per la storia di Israele; ebbe tuttavia una importanza molto superiore al numero dei suoi aderenti per l'importanza dei colpi che mise a segno e per il fatto che da esso emersero poi leader politici di primissimo piano, come Yitzhak Shamir. E' probabile che questi aspetti della storia recente -e del trionfo del sionismo in particolare- siano assai meglio noti in Medio Oriente che non in quelle redazioni cui i sudditi dello stato che occupa penisola italiana delegano la loro facoltà di pensiero. Ed è anche probabile che il presidente di uno stato sotto assedio praticamente da trent'anni abbia la forte tentazione di farvi ricorso, specie se si tiene presente che deve rispondere al suo elettorato e non a quello di Tel Aviv o di Los Angeles..
Ancora una volta, si nota che gli "occidentalisti" fanno dipendere la loro visione del mondo da due fonti principali: il lavoro di qualche figura di riferimento, percepita come credibile ed informata, e quello tutt'altro che accurato, tutt'altro che limpido, tutt'altro che imparziale delle fonti di informazione legate al grande capitale. Di leggersi qualche testo seriamente impostato, o dell'andarsi a documentare di persona, non se ne parla neppure. Non meraviglia dunque che il presidente e la situazione della Repubblica Islamica dell'Iran siano da essi paragonata a quella della Germania hitleriana; sono cose che succedono quando si emettono sentenze inappellabili su argomenti trattati dalle fonti di informazione suddefinite e che operano nella maniera suddetta. Piuttosto frequente da parte "occidentalista" è dunque l'accostamento tra i colloqui in corso circa i progressi nucleari di Tehran ed il patto di Monaco del 1938. Piovuto diretto sui media dalle penne maestre di Oriana Fallaci e di Marcello Pera, un paragone simile vale quanto un ipse dixit nonostante sia considerato risibile da chiunque conosca un po' di storia contemporanea; nondimeno è utile tenerne conto, per avere la misura delle scellerate avventure cui una leadership "occidentalista" potrebbe esporre il proprio paese.


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