Il processo di globalizzazione dell'economia ormai compiuto ed il crollo della credibilità yankee che ha accompagnato e seguito la demenziale aggressione all'Iraq ha aperto nella geopolitica mondiale spazi di manovra insperati per la Repubblica Islamica dell'Iran e per la sua penetrazione economica.
Giovandosi delle competenze proprie almeno quanto dell'idiozia altrui, diplomatici e uomini d'affari iraniani percorrono la penisola arabica, il Caucaso, l'Asia centrale, l'Africa, e da qualche tempo anche l'America latina, stringendo accordi commerciali e diplomatici di ogni genere. Tehran sta svincolando l'economia nazionale dal petrolio rafforzando ogni altro settore produttivo ed esportando beni di consumo e generi alimentari di buon livello. Il tutto con buona pace della "libera informazione occidentale", ossia della berciante e demente propaganda di un "quarto potere" che è riuscito in meno di vent'anni a far seriamente rimpiangere la Pravda, e che obbediente ai piani di Washington cita la Repubblica Islamica soltanto per additare qualche impiccagione -come se nell'Iraq "liberato" certi sistemi si lesinassero- o per denigrare Mahmoud Ahmadinejad, presidente eletto dal popolo immancabilmente fatto passare da "dittatore".
Il tutto dopo aver dato per certo per anni interi l'impegno iraniano nella realizzazione dell'arma atomica.
Ora, come più volte sottolineato da più parti, il confinante Pakistan, che non costituisce affatto un modello né di democrazia né di stabilità, detiene sul serio armi atomiche da decenni, senza che questo causi mai l'allarmismo "occidentalista". Comunque, dopo anni di bugie diffuse in mondovisione, nel dicembre 2007 la CIA stessa ha dovuto ammettere pubblicamente di non avere alcuna prova concreta del fatto che la Repubblica Islamica stia arricchendo uranio per fini bellici. Il mucchio allucinato di ciance volto a costruire un casus belli secondo la procedura maldestramente messa in piedi per aggredire ciò che rimaneva dell'Iraq è uscito dall'agenda setting per rimanere patrimonio di un ristretto -anche se molesto- numero di organi di informazione di provato "occidentalismo". Il consiglio di moderare i toni è venuto agli yankee anche dal rinnovato interesse russo per la regione, che ha portato alla firma di una serie di accordi anche militari tra Mosca e Tehran.
La Repubblica Islamica sta arricchendo uranio per fini civili, per la produzione di energia. Ottenendo dal nucleare una quota rilevante del fabbisogno interno, la Repubblica Islamica potrà immetterne di più sui mercati... magari in una borsa commerciale dove gli scambi avvengono in euro. Cosa questo significhi per l'economia statunitense è facilmente immaginabile anche da chi non ha mai studiato economia ed è anche un buon indicatore di quale sia il vero motivo dell'ostilita americana per la Repubblica Islamica.
La Repubblica Islamica sta facendo attivamente ricerca nel campo delle energie rinnovabili ed ha inaugurato nel 2005 la sua prima centrale eolica.
La Repubblica Islamica intrattiene eccellenti rapporti con molti paesi. Gli idrocarburi iraniani salvarono letteralmente la vita alla popolazione armena nei terribili inverni del dopo-indipendenza, e con l'Armenia esistono scambi culturali e commerciali di assoluta rilevanza. L'Iraq "liberato" è diventato uno sbocco fondamentale per le merci e per la mano d'opera dell'Iran, il quale ha cura di pubblicizzare con la massima visibilità possibile il proprio impegno nella ricostruzione del paese. Le automobili della Iran Khodro contendono i mercati centroasiatici e caucasici alle marche coreane e russe. Generi alimentari di livello paragonabile a quello europeo vengono prodotti ed esportati in tutto il medio Oriente. La Repubblica Islamica ferve di cantieri e di opere pubbliche.
In complesso la realtà -e c'era forse da dubitarne?- è parecchio diversa dall'iconografia "occidentalista", che sorvola su questioncine di una certa importanza, tipo il fatto che lo stato che occupa la penisola italiana è tra i primi partner commerciali della Repubblica Islamica, e si impegna senza sosta nel ciarlare di forche -come se in "Occidente" la voglia di forca scarseggiasse-, di "dittatura" laddove si dovrebbe vedere quello che ha visto Franco Cardini, una tumultuosa democrazia assembleare ("sovietica" nel senso etimologico del termine) di continuo diretta, corretta e controllata -però a malapena- da un "senato" di austeri giuristi-teologi, di folle asservite alla propaganda laddove si trovano invece uno spirito critico ed un'indipendenza di giudizio di molto superiori a quella del suddito "occidentale" contemporaneo, "libero" al massimo di decidere da quale pornocanale televisivo farsi indicare il nemico del giorno.
Con molta maggiore costanza, la Repubblica Islamica dell'Iran indica da sempre i propri nemici negli Stati Uniti d'America e nello Stato di Israele ed in quest'ottica -un'ottica peraltro oscenamente semplicistica e che impone di ignorare la complessità di rapporti che intercorrono tra paesi che si mostrano i denti a vicenda per motivi sostanzialmente inerenti la politica interna- vanno considerati i sostegni ad Hamas in Palestina e ad Hezbollah nel Libano. L'ostilità per l'imperialismo americano -di cui Israele è considerata una diretta filiazione- è parte del mito fondante della Repubblica in quanto, con la dichiarata avversione per quanto ha a che fare con monarchi e dinastie e con il fermo proposito di restituire dignità ad una regione e a delle popolazioni devastate dall'intromissione straniera, si ritrova nelle lezioni che l'imam Ruhollah Khomeini tenne nel gennaio del 1970 a Najaf. Questo non ha affatto impedito che la cultura materiale dei cittadini si imbevesse di tutto il "made in USA" ritenuto tollerabile dalle autorità: le città iraniane, ad esempio, sono piene di fast food perché nessun imam ha mai emesso un parere negativo nei confronti degli hamburger; al contrario dei politicanti "occidentali", ed ancor più di quelli "occidentalisti", i giureconsulti iraniani amano di solito occuparsi di questioni più serie.
L'esercito della Repubblica Islamica dell'Iran non ha mai aggredito alcun altro paese, avendo dovuto anzi difendere la rivoluzione contro l'aggressione dell'Iraq di Saddam Hussein, che si vide affidare dal mondo intero l'implicito compito di rimettere le cose al loro posto e si scontrò per quasi dieci anni contro la resistenza di due generazioni di combattenti. Il prezzo del conflitto è stato incalcolabile per ambo le parti, le tracce sono ancora visibili nella popolazione e nelle distruzioni.