Anche Barbie si schiera con i "rivoluzionari" in Siria: lo giura Sami Hamwi da Syrian gay guy.
Con una wunderwaffe come questa, la vittoria non può mancare.

La primavera araba ha scosso il Nordafrica, un luogo che sembrava pietrificato nel tempo, coi suoi dittatori violenti, le sue oligarchie privilegiate e le enormi masse di giovani poveri, cui non resta altro che la fuga in Europa. Tunisia Egitto, Algeria, Libia, ogni paese oggi in rivolta è diverso, ma tutti si affacciano sullo stesso Mediterraneo e i loro destini sono intrecciati al nostro. Per raccontare la storia di queste rivoluzioni è necessario conoscere la gente, smarcarsi dalla propaganda, vivere l'atmosfera delle strade del Maghreb. Questo è il mestiere di un giornalista rigoroso, come Domenico Quirico, che ha visto coi suoi occhi i drammi e le speranze di quei giovani e ci restituisce in questo libro un modo per comprendere. Tutto è iniziato il 17 dicembre 2010, quando i poliziotti hanno requisito due cassette di mele e banane a Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante abusivo di verdura, e lui ha comprato una tanica di benzina, ha acceso un cerino e si è dato fuoco. Altre volte era serpeggiato il malcontento tra le popolazioni periferiche della Tunisia - quelle che i turisti non vedono -, ma questa volta è stato diverso e il fuoco di Mohamed si è rapidamente propagato in tutto il paese, dalla Tunisia è passato in Egitto e da lì in Algeria e in Libia. Tutto ha preso fuoco: la strada ha compiuto spontaneamente il primo miracolo arabo dopo mezzo secolo, questa volta senza urlare parole d'ordine antioccidentali o integraliste, ma semplicemente hurrya, libertà.

(Presentazione del volume di Domenico Quirico "Primavera Araba", Bollati Boringhieri, 2011)
Domenico Quirico è in forza da parecchi anni ad una gazzettina che si chiama "La Stampa" ed è diventato famoso suo malgrado nel corso del 2013 perché oggetto di attenzioni non richieste da parte di "ribelli" siriani che per vari mesi gli hanno imposto un'ospitalità estremamente scomoda.
Che cosa sia rimasto degli assunti di cui sopra dopo un'esperienza del genere, Quirico si è affrettato a raccontarlo in varie sedi e a vari pubblici e ancor più vari foglietti. E nel far questo ha finalmente tolto dall'agenda setting -almeno per quello che riguarda quanto gli compete- il concetto stesso di primavera araba.
Con l'espressione "primavera araba" altro non può intendersi che un costrutto squisitamente gazzettiero in cui si mescolano whishful thinking, trasandatezza, faciloneria, malafede e disinformazione omologante. Uno specchio deformante democratista e consumista già visto in opera praticamente identico ai tempi delle "rivoluzioni colorate" fomentate dagli yankee. Questo costrutto ha nelle ragazze con pochi vestiti addosso (anche a duemila metri e con la neve) il metro, il suggello e la garanzia necessaria e sufficiente della civiltà e del retto vivere, ad ogni latitudine ed in ogni contesto, e garantisce le tirature servendo ai sudditi una versione degli avvenimenti che deve essere innanzitutto metabolizzabile senza fomentare fastidiosi dubbi. Il fatto stesso che di "primavera araba" si ciarlasse sulle gazzette ha indicato fin dal primo istante a chi aveva una conoscenza anche minima, anche sommaria della realtà dei fatti che sarebbe stato molto imprudente unirsi al coro entusiasta che cinguettava deliziato sulla possente portata rivoluzionaria del Libro dei Ceffi e dimenticava allegramente un quotidiano di strade impolverate, pane ammuffito e fucili d'assalto.
E le strade impolverate, il pane ammuffito e i fucili d'assalto si sono riappropriati con tutta calma della scena, come era ovvio che fosse. Siccome sono meno remunerativi delle ragazze poco vestite, la "primavera araba" è stata fatta sparire dalle gazzettine senza tante delicatezze.
Il signor Quirico ha vissuto ovviamente male la poderosa serie di disconferme in cui è incappato. La Repubblica Araba di Siria è diventata il paese del Male di una rivoluzione che non c'è.
Chissà come ci sono rimaste le lesbiche di Damasco.
Nelle settimane successive al suo rientro nella penisola italiana, di Quirico si sono occupate anche le gazzette "occidentaliste".
E le gazzette "occidentaliste" non chiedevano di meglio.
In buon numero già crepate o prossime a crepare nell'indifferenza generale, portatrici di una visione del mondo che gli eventi hanno reso ancor più mandolinescamente demenziale del consueto, le gazzette "occidentaliste" hanno avuto da Quirico il materiale che serviva loro a rinfocolare per un altro po' il menzognificio del pressappochismo islamofobo in funzione da più di dieci anni.
Naturalmente, gazzettine sono e gazzettine restano, con la lebbrosa aggravante dell'"occidentalismo"; impossibile chiedere ad esse ciò che non possono fare, per esempio gettare a mare un po' di quella autoreferenzialità da barzelletta che è costata e che continua a costare alla sedicente "libera informazione" una quantità molto alta di atti di autolesionismo.
E proprio di un interessante atto di autolesionismo andremo a trattare un po' più nel dettaglio.
In un divertente articolo che riporta alla memoria le prodezze di Magdi Apostata Condannato Allam, di Souad Sbai, di Nello Rega e di altri mangiaspaghetti di adamantina incompetenza, il foglietto cattolico "Tempi" mette in bocca a Domenico Quirico la certezza che "l'Islam moderato non c'è" e che sarebbe ora che l'"Occidente" lo capisse.
L'Islam moderato non c'è?
Ma se è stato la stesso gazzettaio "occidentalista" a rendere conto tutti i santi giorni, e per tutto questo tempo, di come nella penisola italiana si stesse lavorando perché l'Islam moderato ci fosse!
L'edificazione pianificata di un "Islam moderato", ad uso e beneficio del tornaconto elettorale "occidentalista", ha assorbito nel corso degli ultimi anni una considerevole quantità di risorse e se ne è occupato direttamente quello che chiamano "Ministero dell'Interno"; dal momento che si trattava di un'operazione demenziale, condotta in modo demenziale e per fini demenziali, i risultati sono stati nulli ed ovviamente punteggiati di episodi ributtanti e ridicoli.
E ributtanti e ridicoli sono stati anche i risultati della lotta al terrorismo islamico, fenomeno in cui gli "occidentalisti" hanno classificato qualunque forma di Islam non rispettasse i canoni di "moderazione" che gli "occidentalisti" stessi avevano definito e volevano imporre. I risultati di quest'altro costosissimo impiego del denaro pubblico sono rendicontati da Carlo Corbucci nelle 1748 pagine de "Il terrorismo islamico, falsità e mistificazione". In esse si racconta con ampia facoltà di prova di come il clima di carcerizzazione integrale di ogni aspetto della vita associata voluto dagli "occidentalisti" si sia tradotto in una lunga serie di arresti con capi d'accusa forsennati finiti dopo qualche settimana -o dopo molti anni- con assoluzioni e tante scuse.
Nei casi meno gravi, dietro la sedicente lotta al terrorismo (islamico o meno) altro non c'è che la repressione del dissenso: nel 2004 per arrestare Moreno Pasquinelli e liberarlo per mancanza di indizi furono fatte
- 56.000 ore di intercettazioni telefoniche
- 5.000 ore di intercettazioni ambientali
- 2.500 ore di servizi di osservazioni, controllo e pedinamento
- 2.000 ore di riprese filmate
- 10.000 ore di intercettazioni telematiche
- 600 ore di decodifica di dati informatici.

Fanno in tutto oltre 75.000 ore, una di quelle belle cifre che fanno riflettere e ci ricordano che quelle tasse di cui ci lamentiamo non finiscono solo nelle pensioni.
Si moltiplichi il totale per il numero approssimativo di terroristislàmici da gazzetta con cui le redazioni "occidentaliste" hanno chiuso ogni numero per anni, e si avrà un'idea della cifra che lo stato che occupa la penisola italiana ha sperperato per i capricci dell'occidentalame.
Dei capricci più costosi, come la partecipazione alle aggressioni "occidentaliste" in Iraq, in Afghanistan o in Libia (quest'ultima più maramaldesca delle altre) non è il caso di riferire qui. 
Insomma, tutto inutile: lo dicono le gazzettine e lo conferma Quirico, rientrato dalla Repubblica Araba di Siria praticamente apposta.