Traduzione da Conflicts Forum.

Dopo cinque giorni passati a Mosca, ecco qualche considerazione sulle prospettive per la Russia. Tanto per cominciare, la Crimea è un discorso chiuso. Ed è chiuso anche il discorso sul federalismo lasco per l'Ucraina, perché politicamente non si pensa sia più una strada praticabile. Sembra che sia fuori questione anche l'idea di una Ucraina intesa nella sua integrità territoriale. Non si discute neanche più sul fatto se Kiev o Mosca abbiano un qualche controllo sugli eventi, nel senso più ampio del termine: entrambe sono ora ostaggio degli eventi, al pare dell'Europa e dell'AmeriKKKa, e di qualsiasi provocazione una moltitudine di attivisti incontrollabili e violenti riuscirà a realizzare.
In sostanza, si pensa che il risultato quasi inevitabile di quanto sta succedendo sarà una specie di secessione dell'Ucraina orientale, una secessione parziale o per incrementi successivi. I meglio informati, a Mosca, si chiedono se a questo si arriverà in modo più o meno violento, sempre relativamente parlando, e se le volenze raggiungeranno o no il livello -il massacro di quanti sono etnicamente russi, o della parte filorussa della società- oltre il quale Putin penserà di non avere altra scelta che intervenire direttamente. Al momento in cui scriviamo, siamo ad un niente da tutto questo: le "iniziative per la sicurezza" intraprese da Kiev sono state dei plateali fallimenti e le perdite sorprendentemente poche, viste le tensioni che ci sono. Sembra che l'esercito ucraino non voglia, non sia in grado, oppure ambo le cose, di soffocare una rivolta fatta da qualche centinaio di uomini armati sostenuti da qualche migliaio di civili senza armi; in questo, però, le cose possono cambiare da un momento all'altro. In giro per i siti internet dell'utenza russa si va sostenendo che insorti filorussi e soldati di leva ucraini non si spareranno addosso a vicenda, nemmeno se venisse loro ordinato di farlo. Sembra inoltre che le due parti abbiano tra loro contatti diretti e regolari, e che sia informalmente sottinteso che nessuno sparerà addosso all'altro. A questo proposito, va detto che abbiamo assistito di persona a qualcosa del genere nell'Afghanistan degli anni Ottanta, tra forze armate sovietiche e Mujaheddin.
Il punto è questo. La maggior parte di quelli con cui abbiamo parlato ha il sospetto che sia interesse di certi soggetti appartenenti agli ambienti in cui si decide la politica estera ameriKKKana (ma non per forza agli ambienti vicini alla presidenza) far sì che si arrivi a costringere la Russia ad intervenire nell'est dell'Ucraina per proteggere i russi dalla violenza, dai disordini o da ambo le cose. Si pensa anche che un intervento russo avvantaggerebbe politicamente il governo di Kiev, assediato e inconcludente. Inoltre, si pensa che certe ex repubbliceh sovietiche che adesso fanno da stati cuscinetto lungo la linea che separa la UE dalla Russia farebbero volentieri qualche dispetto a Mosca, come per rivalersi di antichi torti e per rimarcare una volta di più il loro essersi schierati con Bruxelles e Washington, i portatori della "democrazia" in Europa Orientale.
Pare che a Mosca nessuno abbia davvero voglia di intervenire in Ucraina. Su questo, sono tutti d'accordo a prescindere dall'orientamento politico. Tutti sanno che l'Ucraina è un nido di vipere consapevole di costituire, economicamente perlando, un colossale buco nero. Solo che... è difficile, a Mosca, incontrare qualcuno che non abbia parenti in Ucraina. L'Ucraina non è la Libia: Ucraina significa la famiglia. Se si supera un certo punto e se gli eventi continuano a portare verso la secessione, se la situazione sul terreno dovesse diventare davvero difficile, può darsi che un qualche intervento russo si riveli inevitabile. Allo stesso modo, la signora Tatcher trovò impossibile resistere alle pressioni favorevoli ad un intervento in sostegno dei figli di Sua Maestà nelle Falkland. Mosca sa bene che una mossa del genere si tradurrà in Occidente in un'altra bordata di sdegno.
Ci troviamo ormai decisamente sulla strada di un assetto globale post guerra fredda, col superamento del mondo unipolare. Almeno dal punto di vista russo, per quanto se ne può concludere, non siamo ancora ad una riedizione della guerra fredda; siamo però entrati in un periodo in cui la Russia reagisce con crescente decisione a qualsiasi mossa occidentale che essa ritenga ostile ai suoi interessi fondamentali, con particolare riguardo a quelle interpretabili come minacce ai suoi interessi nel campo della sicurezza. In questo senso, una guerra fredda non è per forza inevitabile. Per esempio, la Russia non ha intrapreso contromosse in Iran, in Siria o in Afghanistan. Putin anzi ha avuto qualche riluttanza a mettere in chiaro il fatto che d'ora in poi, se la Russia tutelerà senz'altro i propri interessi vitali senza alcun riguardo per le pressioni occidentali, per quanto riguarda ogni altra questione rimarrà come d'uso aperta ad ogni iniziativa diplomatica.
Questo significa, tanto per essere chiari, che la diplomazia europea ed ameriKKKana a Mosca viene considerata come una grossa delusione. Nessuno pensa che ci sia posto per la diplomazia perché gli ultimi eventi in Ucraina sono una storia di infrangimenti alla parola data e di rottura degli accordi presi. Nessun dubbio che questo atteggiamento abbia un suo corrispettivo nelle capitali occidentali, ma a Mosca l'atmosfera si sta sensibilmente incupendo, e si sta incupendo velocemente. Persino le frange filoatlantiste, in Russia, sentono che l'Europa non riuscirà a raffreddare le tensioni. I filoatlantisti moscoviti si vedono finire in minoranza con delusione ed amarezza, nel nuovo clima della Russia contemporanea dominato da quanti sono d'accordo con il "recupero della sovranità" in atto.
L'epoca della speranza gorbacioviana di arrivare ad una sorta di pari dignità -o addirittura di partnership- tra Russia e potenze occidentali, iniziata all'indomani della fine della guerra fredda, è definitivamente tramontata. Capire questo significa riflettere sull'esito della guerra fredda, e di come questo esito e le sue conseguenze sono stati diretti. Se ci volgiamo indietro possiamo concludere che il dopo guerra fredda non è stato ben gestito dagli Stati Uniti, che esistono narrative inconciliabili sulla natura della "sconfitta" nella guerra fredda in sé, e se essa sia stata davvero una sconfitta per la Russia.
Sia come sia, il popolo russo è sempre stato trattaco come se fosse uscito dalla guerra fredda sconfitto e psicologicamente a pezzi; come se fossero stati i giapponesi all'indomani delle atomiche statunitensi del 1945. Alla fine della guerra fredda alla Russia fu accordato un brandello di considerazione; i russi, invece, percepirono su di sé la tracotanza del vincitore nei confronti del vinto. Ci furono pochi o punti tentativi di includere la Russia in un consesso di nazioni dotate di pari dignità, quando erano molti i russi che ci speravano. Pochi oserebbero contestare il fatto che le misure economiche cui la Russia fu costretta dopo la guerra fredda non produssero altro che miseria per la maggior parte dei russi. Non era il 1945: la maggior parte dei russi non si è mai sentita sconfitta; alcuni -anzi- non soltanto non si sentirono sconfitti, ma si sentirono e continuano a sentirsi traditi. Al di là del verdetto della storia sulla portata della sconfitta nella guerra fredda, l'esito di essa, l'ordine mondiale che ne è stato conseguenza e il trionfalismo unipolare privo di qualunque freno (visto dalla prospettiva russa) hanno generato un risentimento popolare dello stesso tipo di quello che seguì il trattato di Versailles.
In questo senso, siamo giunti alla fine di un'epoca. E' finito quel post guerra fredda che aveva portato al dominio unipolare ameriKKKano. Oggi sta emergendo la sfida russa all'ordine unipolare, quell'ordine unipolare che a molti occidentali pareva indiscutibile. Versailles fu psicologicamente rifiutata dai tedeschi: i russi stanno rifiutando lo stato di cose presente, almeno per quanto riguarda i loro interessi fondamentali. Il problema è se questo porterà anche alla fine dei rapporti a tre fra Stati Uniti, Russia e Cina che avevano il loro pregio nella complementarità dei tre attori, perché da questi rapporti dipende fortemente la politica estera degli Stati Uniti. Dobbiamo attendere le mosse della Cina perché la risposta a questo problema potrebbe essere centrata sul quanto all'antagonismo tra Russia ed Occidente è consentito spingersi, o fino a che punto esso sarà incoraggiato a farlo. Solo a quel punto potrebbe diventare più chiaro in quanti stanno pensando di chiamarsi da parte rispetto all'ordine mondiale vigente, e di chi si tratti. Questo vale anche per il sistema finanziario, controllato dalla Federal Reserve.
Ora come ora il tempo e gli eventi impongono alla Russia di fare poco altro in Ucraina, oltre all'assistere e all'attendere. L'idea prevalente in Russia è che in Ucraina ci si debba aspettare qualche provocazione, da parte di uno qualsiasi degli attori presenti che ha interesse a provocare un intervento russo da cui scaturirebbe una "guerra limitata" politicamente utile da molti punti di vista: restituire agli Stati Uniti il loro ruolo di guida in Europa, fornire alla NATO una nuova ragione di esistere ed un nuovo obiettivo, e allo stesso modo rafforzare la posizione di alcuni paesi freschi membri della UE, come la Polonia. La Russia è arrivata alla conclusione che la seconda tornata di sanzioni econmiche ha rivelato più che altro la scarsa volontà politica e finanziaria -o forse anche la vulnerabilità- di un certo numero di alleati europei degli Stati uniti. In Russia nessuno ha dubbi sul fatto che gli Stati Uniti siano legati mani e piedi alla logica della escalation: il governo ameriKKKano non fa che parlare di una "nuova strategia di contenimento" e del come demonizzare la Russia dipingendola come uno stato-paria, checché faccia intendere il Presidente Obama attraverso gli scritti di David Ignatius. Il momento è grave: tutti a Mosca lo capiscono, e le posizioni vanno indurendosi da ambo le parti.
In Russia le sanzioni non destano alcuna preoccupazione: anzi, tra chi a Mosca riveste posizioni di potere c'è chi le considererebbe una buona occasione per evidenziare come gli Stati Uniti utilizzino il sistema internazionale dei pagamenti interbancari a propri esclusivi fini. E neppure ci si preoccupa che oggi gli Stati Uniti possano ordire un crollo nel prezzo del petrolio per indebolire economicamente il paese, come fecero ai tempi dell'URSS. La Russia, se mai, risente in misura maggiore dal fatto che gli occidentali abbiano fatto causa comune con i sunniti radicali, diventati la nuova arma geostrategica dell'Occidente.
Abbiamo dunque assistito ad iniziative diplomatiche russe nei confronti dell'Arabia Saudita e dell'Egitto: il Presidente Putin ha recentemente lodato la "saggezza" di Re Abdallah. Abbiamo anche motivo di pensare che la politica estera degli Stati Uniti sfugga in una certa misura al controllo presidenziale e che i Paesi del Golfo, rendendosi conto che la politica statunitense è alla deriva, abbiano aperto alle mene di altri interessi interni al sistema politico statunitense traendo vantaggi dall'inasprimento della guerra jihadista contro Assad e dal minare la politica di Obama nei confronti della Repubblica Islamica dell'Iran, il tutto magari agendo di concerto con figure che si oppongono al presidente in carica. Ci si può aspettare che i russi cerchino di limitare il pericolo per la popolazione musulmana, in Russia e nelle repubbliche ex sovietiche confinanti. Ora come ora, in questo la Russia sta seguendo un profilo basso. Stare alla finestra, guardare in che direzione portano gli eventi, e poi ridefinire questo o quello dei principi della sua politica mediorientale. In ogni caso, nel medio termine il distacco della Russia dall'ordine mondiale unipolare avrà un impatto considerevole su un Medio Oriente in cui l'Arabia Saudita, per non dire dell'Iran e della Siria, ha già praticamente fatto la stessa scelta.