Traduzione da Conflicts Forum.

L'ordine costituito, in tutto il mondo "non occidentale", sta attraversando cambiamenti profondi. Anche se il nuovo assetto non si è ancora pienamente consolidato, alcune degli aspetti che lo caratterizzano stanno diventando evidenti e mostrano di essere forieri di conseguenze sostanziali, soprattutto per il futuro del continente europeo e, in una prospettiva temporale allargata, anche per quello degli Stati Uniti. In questo momento gli eventi inchiodano con ogni probabilità l'Europa nelle acque stagnanti -ma tuttavia in rapida agitazione- della sua politica interna; l'Unione Europea, tuttavia, si permette di intraprendere una pericolosa escalation con Mosca, e di imbarcarsi in un'avventura in Medio Oriente che nel migliore dei casi non farà che aumentarne le sventure, mentre nel peggiore porterà alla virtuale disintegrazione della regione. L'Europa ha messo a rischio il proprio stesso progetto.
Dimitri Trenin, del Carnegie Moscow, ha scritto: "Gli sforzi della Russia per trovare un posto accettabile nel sistema occidentale a guida statunitense sono durati un quarto di secolo, e sono finiti con un'amara delusione". Questi sforzi, che comprendevano anche l'iniziativa russa di raggiungere un accordo con gli Stati Uniti per arrivare ad una conclusione definitiva della Guerra fredda, non soltanto sono finiti nell'amarezza e nella sensazione di essere stati presi in giro, ma hanno permesso di stilare un bilancio politico importante. La corrente dei filoatlantisti in Russia si è eclissata, mentre è diventata inarrestabile la tendenza favorevole alle rivendicazioni di sovranità.
Quello che colpisce maggiormente è che gli sforzi della Repubblica Islamica dell'Iran per trovare un modus vivendi con l'AmeriKKKa circa il proprio ruolo nello scacchiere mediorientale sono durati quasi altrettanto, e si sono anch'essi rivelati un fallimento. Nell'Iran di oggi esiste la sensazione diffusa ed avvertibile che i colloqui con i cinque più uno, nonostante siano stati prolungati, non porteranno alla fine delle sanzioni occidenali. Un punto di svolta, in questo mutamento di coscienza politica, si è avuto nel corso della prima settimana di settembre; i riformisti iraniani hanno subito una pesante sconfitta alle elezioni per la presidenza del consiglio municipale di Tehran, che è una carica più significativa di quanto può sembrare. Detto con altre parole, la concezione dei filoatlantisti iraniani -che sono i riformisti- secondo la quale sarebbe stato possibile arrivare ad un accomodamento soddisfacente nel contesto dell'ordine occidentale si è svuotata di significato, come quella dei loro corrispettivi russi. Adesso, il Presidente Rohani è costretto a cambiare la propria posizione politica per evitare danni collaterali, e lo stesso dovranno fare i riformisti.
Si può anche pensare che questi due fatti non abbiano relazione tra loro e che siano semplici coincidenze, visto che hanno cause diverse. Nel pensiero orientale nvece, quando due eventi qualitativamente simili si verificano contemporaneamente e all'improvviso non si deve tanto pensare al caso, quanto al fatto che in essi potrebbero riflettersi una nuova atmosfera e una nuova tendenza generale.
In questo momento nel mondo dell'informazione esiste un repellente clima di guerra contro il Presidente Putin; in Occidente in molti potrebbero essere tentati di pensare, sbagliando, che il Presidente russo sia sempre stato antioccidentale. Le cose non stanno in questo modo.  Anche Putin, come molti russi di una certa età, aveva fatto propria la tesi di Andropov secondo cui le élite d'America e d'Europa avrebbero trovato un punto di convergenza -ma non di unione- tale da trattarsi con reciproca stima. Putin non è mai stato un filoatlantista allo stato puro, aveva una posizione di mezzo tra i filoatlantisti e chi propendeva per un ritorno alla sovranità, ed è giunto al potere grazie a questo atteggiamento. Oggi, col fronte dei filoatlantisti praticamente scomparso, esistono osservatori pronti a sostenere che la presidenza di Putin si caratterizzerà alla fine non per il modo con cui ha affrontato la crisi in Ucraina, ma per il modo in cui Putin ha saputo articolare e definire il proprio orientamento di fondo e proporre alla Russia un nuovo concetto di sé come nazione.
In effetti l'orientamento di fondo della presidenza Putin è lo stesso da una quindicina d'anni, e se ne possono rintracciare le radici nella persistente critica che il Primo Ministro ungherese Viktor Orban ed altri hanno avanzato nei confronti della democrazia liberale basata sul mercato, o meglio della democrazia fondata su un "fondamentalismo del mercato" che ha ridotto la politica a poco più dell'azione che i tecnocrati sono chiamati ad esercitare affinché i mercati funzionino in modo sempre più efficiente e che considera la politica estera come poco più di un altro mercato, un mercato in cui conta la potenza invece che il denaro. Orban ha sostenuto che la democrazia liberale basata sul mercato non è riuscita a proteggere i beni collettivi -quelli che oggi sono detti beni comuni- ha oberato di debiti gli stati sovrani e soprattutto si è rivelata illusoria nella sua promessa di prosperità per tutti. Orban ed i suoi alleati hanno cercato di concretizzare qualcosa di alternativo, che fosse in grado di offrire protezione ai cittadini. Contro questa critica dei valori liberali occidentali sono fioccati i giudizi negativi; si è parlato di "democrazia illiberale" e di un ritorno all'autoritarismo.
Fino ad oggi il modo di porre rimedio a questi difetti del liberalismo occidentale è un qualcosa che è rimasto confinato, sia pure non del tutto, alle discussioni ipotetiche. La crisi in Ucraina tuttavia ha imposto un'accelerazione improvvisa alla ricerca di una risposta per questa importante domanda, ed ha non soltanto imposto che questa risposta venisse trovata, ma anche che venisse messa concretamente in atto. Sempre secondo Trenin, "Al Cremlino oggi come oggi si pensa al futuro della Russia considerandolo come qualche cosa di separato dal futuro del resto del continente europeo. L'idea che Putin aveva presentato, e che prevedeva una Grande Europa estesa da Lisbona a Vladivostok, è stata accolta con freddezza da molti nell'Unione Europea: adesso è stata tolta di mezzo dallo stesso che l'aveva proposta... Negli scorsi sei mesi, i russi sono rimasti amaramente delusi dall'Unione Europea per due volte consecutive".
La Russia si sta unendo al "non Occidente".
A colpire negativamente la leadership russa, e a far sì che essa riconsiderasse in modo radicale le misure che la Russia deve mettere in atto per la propria tutela sono state l'inflessibile insistenza con cui l'AmeriKKKa ha usato la sua "bomba al neutrone" finanziaria, vale a dire l'esclusione dai sistemi finanziari mondiali, e la prontezza con cui la Germania si è pronunciata favorevolmente alle sanzioni.
Tutto questo ha avuto in Russia due conseguenze fondamentali. In primo luogo, si è diffusa la consapevolezza del fatto che è necessario riacquistare un po' di autentica sovranità e di autonomia, e di qui l'enfasi messa sull'alleanza con una Cina che agli occhi dei russi ha in larga misura mantenuto la propria sovranità; di pari passo è prevista la possibilità, per ciascuna delle due parti, di disimpegnarsi (se e quando sarà necessario) dal sistema finanziario basato sul dollaro creandone uno alternativo. In secondo luogo, ne è emersa una maggior fiducia nelle possibilità della propria economia.
Al di là di queste conseguenze, che sono di ordine pratico, la leadership russa ha preso a considerare anche il modo di consolidare la montante ondata di patriottismo innescata dalla crisi in Ucraina orientandola in modo eticamente non liberale, in modo che costituisca una base nuova per il nazionalismo russo. Un politico russo di lunga esperienza ha detto a noi di Conflicts Forum che i russi sono fortemente convinti del fatto che il nuovo ordine mondiale in via di instaurazione risentirà soltanto dell'influenza di quei paesi che sono riusciti a invondere nuova vitalità nei propri popoli e, al tempo stesso, a recuperare la propria sovranità.
In Russia questo "nuovo nazionalismo" sta prendendo forma attraverso il recupero dei valori tradizionali, comprese la religiosità e la spiritualità russe; le sue radici non si trovano più soltanto nel pensiero laico. Il nuovo nazionalismo guarda al ruolo che la chiesa ortodossa ha nella genesi dei valori morali basati sulla famiglia tradizionale e sulla comunanza del coesistere, soprattutto nel contesto della coabitazione pacifica di gruppi etnici diversi in tutto il paese. Il nuovo nazionalismo comprende anche una riaffermazione del contratto sociale, inteso come quaqlcosa che necessita di uno stato sufficientemente potente da poter assolvere al suo compito principale, che è quello di proteggere i suoi cittadini. Un simile concetto di stato considera esso stato responsabile della protezione dei valori russi fondamentali dalla minaccia rappresentata da certi aspetti di uno zeitgeist neoliberista propenso all'intromissione culturale, ed anche dalle conseguenze di un mercato inteso in maniera fondamentalista. Lo stato deve essere forte abbastanza da proteggere se stesso dalle vicissitudini di un ordine mondiale dominato dall'Occidente, tra le cui minacce sono comprese anche le campagne di informazione denigratorie.
E'difficile provare sorpresa se, dopo una lunga epoca di "rivoluzioni colorate" e di iniziative per il rovesciamento dei governi altrui, emerge da qualche parte nel mondo uno "stato forte" che si dimostra capace di resistere a simili incursioni. La storia si è rimessa in movimento.
Ecco: possiamo scambiare i riformisti iraniani con i filoatlantisti, i principalisti con i russi favorevoli ad un ritorno alla sovranità nazionale, e la Marjahiyya (la fonte dell'emulazione morale nell'Islam) con la chiesa ortodossa per trovarci in una situazione non troppo diversa. Potremmo fare qualcosa di simile con molti dei paesi "non occidentali" come la Cina e l'India. In breve, molte persone nei paesi "non occidentali" si stanno deliberatamente allontanando dal liberismo occidentale; con il liberismo hanno chiuso, il liberismo non rappresenta più un modello di governabilità e non riflette i principi che secondo molte persone dovrebbero presiedere all'ordine mondiale.
La crisi in Ucraina e le sempre più deboli prospettive di raggiungere un accordo con l'Iran tramite i colloqui con i "cinque più uno" sono stati in parte catalizzatori per l'emersione di un blocco di paesi "non occidentali". Tuttavia, il ruolo essenziale in questo lo ha avuto la manipolazione del sistema finanziario globale da parte degli Stati Uniti, interessati soltanto al perseguimento dei propri scopi finanziari e politici. A partire dalla crisi del 2008 e dell'espansione monetaria massiccia e priva di precedenti che ha fatto séguito ad essa, la bolla finanziaria venutasi a creare ed il contemporaneo impoverimento dei cittadini comuni sono diventati conditio sine qua non per il puro e semplice mantenimento del sistema finanziario in se stesso.
Il sistema monetario mondiale viene utilizzato come devastante strumento di coercizione politica; il suo coesistere con una politica monetaria basata su uno smodato alleggerimento quantitativo che ha fatto danni a tutti (sia gli stati sovrani diversi dagli USA sia tutti i cittadini che non rientrano tra l'uno per cento della popolazione più ricca) costituisce una miscela esplosiva e ne ha fatto il miglior reclutatore per qualunque prospettiva non liberista o in favore di un sistema finanziario alternativo, vale a dire conservatore.
Di qui il senso di sorpresa a Mosca, perché i tedeschi queste cose le capiscono. La Germania, dapprincipio, era sembrata temporeggiare sull'Ucraina, si comportava come se volesse far da tramite con la Russia in modo da porre fine alla crisi; poi, per quali ragioni non è chiaro, la Germania ha cambiato atteggiamento e si è detta favorevole alle sanzioni nonostante tra le parti si fosse arrivati ad un cessate il fuoco.
I tedeschi sanno che l'Europa ha bisogno di una nuova ragione per esistere, di qualcosa che dia una nuova definizione a cosa significa esattamente, oggi, far parte del progetto europeo. L'Europa rischia di non avere una politica autonoma sul piano della sicurezza a causa dei suoi legami con la NATO e rischia di vedere l'unità europea definita soltanto per il suo sostegno nei confronti di una potenza in declino e sempre più disfunzionale. Di tutto questo si è fatto acceso dibattito, nel governo tedesco. La crisi della visione liberista fondata sul mercato non soltanto non è finita, ma si è impossessata del cuore stesso dell'Europa; il 95% dei greci, il 91% degli spagnoli ed il 90% degli italiani pensa che il loro paese stia andando nella direzione sbagliata. La secessione scozzese, i disordini a Barcellona, l'ascesa del fascismo e la recessione economica sono tutte cose che fanno pensare ad un futuro difficile.
Certo, la vecchia Europa a Newport è riuscita a fare molto per mettere un freno a qualsiasi avanzata della NATO verso le frontiere russe, ed ha mantenuto valido l'atto fondante del 1997. Nonostante questo, la NATO come istituzione ne è uscita con un'altra dose di adrenalina nelle vene: in questo momento si trova sulla cresta dell'onda. Le decisioni prese a Newport porteranno con ogni probabilità ad un inasprirsi delle tensioni tra NATO, Europa e Russia. E l'Unione Europea ha deciso di varare un'altra tornata di sanzioni. L'ambasciatore russo presso l'Unione Europea ha messo in chiaro il fatto che la Russia non può far altro che rispondere con delle contromisure.
E' da dubitare che i tedeschi riusciranno a sfuggire alle conseguenze inesorabili della loro decisione di proseguire sulla strada delle sanzioni. La Russia si è mossa e la tensione non potrà che alzarsi. Ancora una volta assistiamo ad una strategia incoerente: quale posta in gioco rappresenta l'Ucraina, per gli europei? Si vuole infliggere una sconfitta totale agli insorti del Donbass, e di riflesso a Putin? L'AmeriKKKa è preda del timore di poter essere considerata da più parti una potenza in declino; ha messo in opera una dimostrazione di forza bruta, deliberatamente fatta per impressionare, per negare il fatto di trovarsi in cattive condizioni; la narrativa sull'Ucraina, in cui si demonizza Putin in maniera sfacciata, l'hanno pensata e messa in opera gli statunitensi, e sono stati gli statunitensi a chiamare per coscrizione l'Unione Europea a partecipare alle sanzioni. Nel contesto di un'altra dimostrazione di forza, gli Stati Uniti hanno cooptato gli europei in una guerra contro lo Stato Islamico che non ha nessuna coerenza strategica: lo hanno fatto solo per far vedere a tutti che l'AmeriKKKa va dove le pare e fa quello che le pare. Per il Medio Oriente sarà un'altra rimestata nel torbido. Gli europei capiranno presto che nella rgione non hanno in questa impresa nessun vero alleato. 
Le conseguenze di tutto questo hanno una portata molto ampia. I tedeschi hanno ricacciato il progetto europeo nella malandata scatola da cui doveva ad ogni costo uscire. Sono riusciti per l'ennesima volta a far sì che l'Europa trovasse una propria unità soltanto sul riduttivo tema dell'appoggio ai piani di guerra degli Stati Uniti, ed hanno così inchiodato un'altra volta gli europei ai loro guai, che non fanno che peggiorare. Bruciando i ponti con Mosca si può dire addio all'idea di poter ripensare all'Europa in modo differente, come ad una versione potenziata del "concerto europeo", ad esempio. Tra le altre cose, avremo presto modo di constatare come alla fine gli oleodotti iracheni ed iraniani prenderanno la via dell'est anziché quella della sponda occidentale sull'Atlantico. L'Europa continua a rimanere ostaggio di un sistema monetario mondiale che ha bisogno di stimoli sempre più consistenti per non collassare, anche se gli effetti della monetarizzazione aggressiva stanno esacerbando i rancori in tutto il continente.
No, nulla fa pensare che ci attenda un bel periodo.