Traduzione di uno scritto da academia.edu.

Introduzione
La rivalità che esiste tra Iran ed Arabia Saudita è tale da aver meritato la definizione di "guerra fredda"; suo teatro è il Golfo, ed in generale tutto il Medio Oriente. Nonostante sia spesso rappresentata come una frizione a carattere settario tra sciiti e sunniti, essa presenta anche tutti gli elementi di un conflitto tra un'ideologia conservatrice ed un'ideologia rivoluzionaria, oltre che tra etnie di caratteristiche diverse come sono quella iraniana e quella araba.
Oltre le differenze religiose, ideologiche ed etniche, sono questioni basilari di interessi nazionali e di sicurezza a definire le relazioni che esistono tra i due paesi, e che passano dalla aperta rivalità al raggiungimento di accordi, fino a mosse senz'altro amichevoli. IN tutto questo, le vicende del nucleare iraniano e la guerra civile in Siria hanno assunto direttamente una portata mondiale.
La relazione tra Iran e Arabia Saudita andrebbe comunque inquadrata nel contesto delle radicali trasformazioni che il Medio Oriente sta attraversando, in modo particolare dopo la serie di eventi noti come Primavera Araba. In questo senso, essa ha un impatto profondo sulle politiche che altri attori, mediorientali o no, adottano nella regione. Il riferimento in particolare è a quelle dello stato sionista, ma anche a quelle statunitensi e sempre di più, negli ultimi tempi, a quelle russe senza escludere dal novero potenze fino ad oggi relativamente assenti dalla scena, come la Cina. L'Unione Europea conserva un atteggiamento che in materia di questioni globali resta ancorato ai suoi valori, ma può soltanto avere un ruolo secondario, complementare rispetto a quello degli Stati Uniti[1].
Questo scritto cerca di riflettere i principali elementi caratteristici e i temi che sono al centro dei rapporti tra Arabia Saudita ed Iran.
 
 
Le identità statali nella guerra fredda regionale nel Golfo
 
Il concetto di guerra fredda è stato introdotto con riferimento al contesto delle relazioni tra Stati Uniti ed Unione Sovietica e definisce una rivalità tra due potenze che ha in palio la supremazia ideologica e che si basa su un utilizzo intensivo della propaganda, rifuggendo invece il confronto diretto. I contendenti cercano e stringono alleanze, a livello regionale come in tutto il mondo, e cercano di arginarsi o di scalzarsi l'un l'altro. Le relazioni tra Arabia Saudita ed Iran hanno assunto questo carattere dopo la rivoluzione islamica in Iran del 1979 (Gause III, 2014) ma hanno iniziato ad essere definite come una guerra fredda a carattere regionale dopo la guerra in Iraq del 2003.
Proprio come la contesa tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, la guerra fredda nel Golfo non ha avuto carattere statico: gli sviluppi a livello mondiale e regionale hanno avuto su di essa un impatto significativo a volte innescando delle tensioni, a volte contribuendo al riavvicinamento dei protagonisti. E' chiaro comunque che l'Arabia Saudita conta tra i propri alleati gli USA ed il Consiglio degli Stati del Golfo che riunisce i paesi arabi della zona, oltre alla maggior parte degli altri paesi arabi e negli ultimi tempi, anche se non apertamente, lo stato sionista. L'Iran può invece contare sul sostegno delle comunità sciite, tra cui la Siria, Hezbollah, le minoranze sciitie negli stati arabi del golfo ed anche Hamas, che non è sciita ma è una filiazione dei Fratelli Musulmani di orientamento sunnita. Le aree e le formazioni politiche sciite dopo la guerra in Iraq del 2003 vengono di solito comprese nella "mezzaluna sciita"[2], ma nonostante questo le maggioranze curdo-sciite che hanno retto i governi iracheni hanno per solito mantenuto un profilo basso sulla questione dei rapporti tra Arabia Saudita ed Iran. Ci sono state lunghe discussioni sulla validità e sulla correttezza dell'espressione, e il fatto stesso che i principali attori politici della "mezzaluna sciita" facciano invece riferimento alla loro alleanza come al "fronte della resistenza" (jabhat al muqawama) dà una buona idea della complessità della questione. Questo dimostra poi chiaramente che la terminologia occidentale ed europea non riesce a rendere conto della complessità intrinseca in questa alleanza: la connota in termini settari, ma la indica con un'espressione da guerra fredda. Certo, non si può certo negare che vi sia un elemento che è il contrasto tra sunniti e sciiti, ma a complicare le cose c'è anche la presenza di caratterizzazioni di tipo etnico, ed anche di affiliazioni tribali che si pongono trasversalmente all'asse sunniti - sciiti. Inoltre, almeno alcuni tra gli attori del conflitto ne hanno una visione che poggia su basi differenti.  Le divergenze che esistono nelle relazioni tra Arabia ed Iran affondano certamente le loro radici nelle differenze che ci sono tra sunniti e sciiti, ma possono essere considerate anche come una rivalità del tipo che separa i conservatori dai rivoluzionari. Inoltre la rivoluzione islamica in Iran e soprattutto lo ayatollah Ruhollah Khomeini hanno rivendicato la guida della comunità islamica, della umma nella sua interezza, come emerge chiaramente dall'aver definito la rivoluzione "islamica" e non sciita o sunnita. L'enfasi riguardava anche il concetto stesso di rivoluzione.
Gli occidentali, gli europei ed anche i musulmani sunniti considerano disordini e proteste come una caratteristica dell'Islam sciita. L'Islam sciita tuttavia non contempla e non coltiva soltanto un retaggio di attivismo, ma anche una tradizione quietista. Questa dualità si trova simboleggiata dai due figli di Ali Hassan e Hussein: il primo accettò il cambiamento ai vertici del potere e si ritirò dalla scena politica, il secondo invece si ribellò e morì da martire. In tempi più moderni invece è stato l'altro aspetto a prevalere e la maggior  parte dei grandi ayatollah sciiti di oggi invece non si occupa di politica; soltanto alcuni hanno direttamente un ruolo attivo nelle questioni ordinarie, ma anch'essi preferiscono tenere una certa distanza. In questo senso, l'ayatollah Khomeini ha rappresentato l'eccezione che conferma la regola, anche se la sua dottrina del vilayat-i-fiqh che costituisce il fondamento della Repubblica Islamica prevede un coinvolgimento dei religiosi continuo e diretto[4].
Il rapporto tra Arabia Saudita ed Iran contempla anche un aspetto etnico che risale alla differenziazione tra arabi e non arabi dell'epoca in cui si affermò l'Islam, se non è addirittura precedente ad essa. Questa differenziazione acquisì significati nuovi all'epoca dell'espansione del califfato arabo islamico e poi nel XIX secolo con l'arrivo nella regione dei movimenti nazionalisti di tipo europeo. Il contesto geografico poi è a sua volta un elemento in più perché l'Iran è sempre stato limite o frontiera dell'islam arabo per secoli, ed alcuni elementi identitari come le vicende storiche dell'antico passato, la lngua nazionale ed altri[6] si sono mantenuti e sono stati anche coltivati in esplicita opposizione alle popolazioni arabe e, negli scorsi decenni, soprattutto in contrasto all'Arabia Saudita.
Abbiamo sottolineato come al centro della rivalità tra Arabia ed Iran esistano varie coppie di opposti che hanno un ruolo determinante; negli ultimi anni entrambi i paesi hanno inziato a comportarsi come potenze imperiali, il che giustifica ancora di più il parallelo con la guerra fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. A provarlo c'è la loro dichiarata volontà, di sapore universalista, di diffondere le rispettive ideologie religiose al di là delle frontiere dei corrispondenti stati-nazione. Il re saudita, in qualità di "custode delle due sacre moschee" di Mecca e Medina, ha il dovere religioso di sostenere la diffusione dell'Islam in tutto il mondo. L'obiettivo dello ayatollah Khomeini di "esportare la Rivoluzione Islamica" punta ad un obiettivo altrettanto universale.
In un contesto internazionale fondato sugli stati-nazione, tuttavia, gli "imperi" dell'Arabia Saudita e della Repubblica Islamica dell'Iran sono costretti alle frontiere dei rispettivi stati nazionali e sono enti che fanno testo per se stessi. La Repubblica Islamica dell'Iran possiede diversi degli elementi distintivi che sono caratteristici di uno stato nazionale, ed ha anche una antica tradizione statale priva di soluzioni di continuità su cui basarsi. In Arabia Saudita invece il concetto di stato ha cominciato ad affermarsi nella prima metà del XVIII secolo ed il Regno dell'Arabia Saudita così com'è oggi è stato fondato nel 1932.
Le prese di posizione ideologiche a carattere universalista ed il relativo zelo missionario portano per definizione a conflitti di interessi quando permeano uno stato nazionale; a farne le spese sono soprattutto i paesi confinanti, ma se consideriamo l'importanza specifica che il Medio Oriente ha in varie questioni di interesse mondiale si nota che la loro portata riguarda anche un contesto più ampio. Il vero assetto delle relazioni tra Arabia Saudita ed Iranè semrpe stato e sarà sempre dovuto agli elementi di cui sopra, ed avrà come estremi la guerra per interposizione da una parte e l'amicizia senza incrinature dall'altra; all'occasione potranno coesistervi anche elementi opposti.
 
 
Contesto delle relazioni tra Arabia Saudita ed Iran
 
Per tutti i paesi le questioni essenziali in materia di sicurezza sono strettamente correlate al rapporto che esiste con i confinanti. Nel caso dell'Arabia Saudita, dell'Iran e dei paesi del Golfo Persico (o Arabo)[7] l'importanza della regione per i protagonisti della scena mondiale e per la comunità internazionale in genere ha fatto sì che attori esterni abbiano influenzato in maniera sostanziale le relazioni tra i due paesi. La storia del Golfo per tutto il XX secolo è stata determinata dalle tre potenze regionali che ne occupano le sponde -Arabia Saudita, Iraq e Iran- e dal coinvolgimento di altri paesi nella situazione di questo, di quel paese o di tutti quanti. La Rivoluzione Islamica ha imposto mutamenti considerevoli alle relazioni tra Arabia Saudita ed Iran, ed anche a quelle tra Iraq ed Iran; al tempo stesso, l'Iraq controllato dagli arabi nazionalisti del partito Baath andò assumendo il ruolo del difensore degli arabi e coinvolse l'Iran in una lunga e sanguinosa guerra (1980-1988) che permise ai sauditi di rimanere in disparte, a guardare come andava a finire lo scontro per la supremazia tra i due paesi. Sia l'Iraq che l'Iran rappresentavano delle minacce agli interessi sauditi, il primo per il suo bellicoso nazionalismo arabo di orientamento laico e per il suo potenziale militare, il secondo perché sciita ed esportatore della Rivoluzione Islamica. Il fatto che i due paesi si facessero la guerra l'un l'altro liberò i sauditi da una preoccupazione, e portò alla fondazione del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo (GCC). Le ostilità e la politica statunitense del cosiddetto "contenimento doppio", elaborata ai tempi di Clinton, fecero sì che l'Iran non potesse costituire una minaccia significativa per l'Arabia Saudita, anche se la presenza di comunità sciite sparse nei paesi del Golfo continuava a rappresentare un pericolo costante. La situazione cambiò dopo la guerra del 1991. Da una parte diventò chiaro che l'Iraq, anche dopo una guerra devastante, aveva la volontà e la possibilità di rappresentare una minaccia per i suoi vicini; dall'altra che con l'Iraq colpito dalle sanzioni internazionali era venuto meno il contrappeso alla potenza iraniana, e che l'Iran aveva subito iniziato a comportarsi da potenza regionale. L'Arabia Saudita dovette abbandonare la politica estera fino ad allora adottata, e caratterizzata da un profilo piuttosto basso, ed assumere atteggiamenti maggiormente dominanti ed assertivi. Questo non significa che l'Arabia Saudita sia arrivata a considerare l'atteggiamento bellicoso dell'Iraq nei confronti del vicino come l'ultima trincea degli arabi contro i persiani, ma soltanto che l'Arabia ha adottato una politica estera maggiormente attiva, per lo più agendo come mediatrice, e che per questo ha finito con l'entrare in contrasto con gli interessi iraniani.
Praticamente di pari passo a quanto accadeva sul lato arabo del Golfo, l'Iran ha fatto buon uso delle opportunità presentatesi con la guerra in Afghanistan (2001), in Iraq (2003) e il conseguente impegno degli Stati Uniti e dell'Occidente in tutti e due i casi. Se l'Iraq piegato dalle sanzioni già non poteva più costituire un contrappeso alla potenza iraniana, con il rovesciamento del governo afghano e di quello iracheno sono stati eliminati gli ultimi attori in grado di tenere l'Iran sotto scacco. L'Iran ne ha tratto indubbi benefici sul piano politico, ma ciò nonostante i vertici politici del paese sono sempre stati convinti che il vero bersaglio di entrambe le operazioni fosse l'Iran (Gazsi 2005). A rafforzarli nelle loro convinzioni sono intervenute anche le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Gerorge W. Bush, favorevoli al rovesciamento del governo iraniano (Dinmore, 2006). Per l'Iran, il caso dell'Afghanistan e quello dell'Iraq hanno costituito la prova che se gli Stati Uniti sono decisi a rovesciare un qualsiasi governo, proseguono nel loro intento fino a quando non ci sono riusciti. Questa convinzione è ancora molto radicata, e si riafferma di tanto in tanto (Al Jazeera, 2014[10]) . I vertici della politica iraniana hanno quindi intrapreso una politica estera molto ambiziosa: obiettivo, fare dell'Iran una potenza regionale in grado di rintuzzare qualunque minaccia proveniente dall'esterno.
La politica di vicinato ne ha tratto nuovo impulso, e sono state strette alleanze con altri paesi mediorientali (Siria, Libano, territori palestinesi). Il Presidente Mahmoud Ahmadinejad (2005-2013) ha ulteriormente ampliato le prospettive della politica estera iraniana introducendovi, accanto alla politica "del guardare ad Oriente" (Saghafi-Ameri - Ahadi, 2008) anche alleanze strategiche con paesi dell'Africa e dell'America Latina. In molte occasioni la retorica ha presentato l'Iran come una potenza rgionale ben prima che il paese lo diventasse davvero: già all'inizio del millennio gli esperti di politica estera iraniana parlavano del "quartetto asiatico" che definiva il continente e li indicava in Russia, Cina, India ed Iran. L'Iran ha presentato domanda per essere ammesso alla Cooperazione di Shanghai dove a tutt'oggi ha solo lo status di osservatore, ha un proprio ruolo nella ECO[11] ed in questo momento guida l'Organizzazione dei Paesi non allineati. Alcuni dei campi in cui si esercitava questo grosso impegno in politica estera hanno ricevuto minore attenzione dopo l'elezione di Hassan Rohani; nondimeno essa rappresenta con chiarezza quale concetto la Repubblica Islamica abbia di se stessa. L'Iran è convinto di essere una potenza regionale o anche mondiale, con molti e diversificati interessi in politica estera, anche perché crede di poter contare solo su se stesso e di dover mantenere la propria indipendenza senza accettare alcuna dominazione straniera. La proibizione di Khomeini di contrarre debiti con l'estero e il suo "né Oriente né Occidente" in politica estera (Archivio della AP News, 1988)[13]  appartengono al passato, ma nonostante questo l'Iran ha costruito il proprio sistema di alleanze in un contesto essenzialmente non allineato ed antimperialista, mantenendo comunque e ulteriormente stringendo le relazioni con la Russia, improntate al pragmatismo.
 
 
I problemi fondamentali nelle relazioni tra Arabia Saudita ed Iran
 
Il primo e naturale scenario delle relazioni tra Arabia Saudita ed Iran è costituito dal Golfo. In questo si è giunti ad una sorta di equilibrio, nonostante gli sforzi di entrambi i paesi di imprimere alla situazione una svolta a proprio vantaggio: l'Arabia Saudita controlla il lato arabo, l'Iran ha disposto i suoi alleati un po' più distante. L'Iraq ha una popolazione con caratteristiche etniche e religiose specifiche, e confina con entrambi i paesi: una condizione ideale perché entrambi cerchino di estendervi la propria area di influenza. In sostanza l'Iraq è un terreno di scontro ideale, quello che ci vuole per una guerra per interposti contendenti.
In Iraq, sia i sauditi che gli iraniani hanno gli stessi interessi in materia di sicurezza: entrambi i paesi hanno subìto o temuti la minaccia militare del governo baathista di Saddam Hussein, quindi sono entrambi interessati a tenere l'Iraq in condizioni di debolezza e di scarsa stabilità, magari tramite conflitti a bassa intensità, cosicché sia impossibile che vi si affermi uno stato uniti e militarmente forte, ossia pericoloso. Una conflittualità eccessiva però danneggerebbe gli interessi di entrambi, perché potrebbe estendersi e minacciare direttamente la loro stabilità ed il loro ordine sul fronte interno. Il fatto che la maggioranza sciita abbia preso il potere in Iraq sulla base di una legge elettorale del tipo "un uomo un voto" non è stata una bella notizia per i sauditi, ma non ha neppure voluto dire che l'Iran avrebbe potuto farla da padrone. Nel complesso, l'adesione al campo sciita di per sé è rimasta sostanzialmente una questione culturale e religiosa, nonostante abbia anche connotazioni politiche. Gli sciiti iracheni appartengono a vari gruppi diversi, che politicamente si presentano in modo diverso. I dissidi che ci sono tra arabi ed iraniani hanno ancora un impatto profondo, quindi l'influenza iraniana in Iraq si è affermata in misura molto maggiore sul piano dell'economia. Questo non significa che l'Iran non disponga di accessi diretti ai vari attori politici sciiti, primo tra tutti il grande ayatollah Sistani[14]. In pratica l'Iran mantiene i collegamenti con tutti gli attori della scena politica irachena.
Gli arabi sunniti di solito godono del sostegno saudita; lo Stato Islamico recentemente insediatosi tuttavia, sia per il suo radicalismo sia per i suoi legami con gruppi legati ad Al Qaeda, costituisce una sfida alla legittimità saudita ed anche l'Arabia Saudita lo considera un'entità terroristica, cosa che in pratica esclude la possibilità che lo stato saudita gli fornisca sostegno.
In molti lanci d'agenzia si è letto di un coinvolgimento iraniano nello Yemen, a fianco dei ribelli Houthi: tuttavia gli eventi della "primavera araba" nello Yemen hanno dimostrato che il paese nettamente influente in questo caso è l'Arabia Saudita. L'Iran ha negato di essere coinvolto negli affari yemeniti. La "primavera araba" nel Bahrein, nonostante l'Iran si sia schierato con la locale comunità sciita, ha dimostrato che l'Arabia Saudita non tollera alcuna interferenza altrui nelle immediate vicinanze del proprio territorio. In complesso lo status quo tra Arabia Saudita ed Iran significa dominio saudita nella penisola araba e maggiore -ma comunque limitata- influenza iraniana in Iraq.
In Siria, invece, gli interessi iraniani ed arabi sono apertamente contrastanti. La guerra civile in Siria vede l'Arabia Saudita come uno dei non molti attori esterni che sostengono concretamente i gruppi di opposizione, mentre l'Iran si è messo risolutamente dalla parte di Bashar al Assad. Per i sauditi sostenere i musulmani sunniti in rivolta contro l'egemonia della minoranza alawita è questione di dovere religioso. Per l'Iran invece non soltanto la Siria è l'unico stato sovrano alleato in tutto il Medio Oriente, ma è diventata una questione di prestigio, il simbolo del suo stesso status di potenza regionale. Questo è vero soprattutto quando le navi iraniane gettano l'àncora nei porti della Siria, facendo arrivare la presenza iraniana fino al Mediterraneo orientale. I mass media occidentali considerano scontato che gli alawiti siano uguali agli sciiti, e molti sunniti la pensano allo stesso modo: nel corso del XX secolo la condizione degli alawiti è stata oggetto di aspre dispute tra gli esperti musulmani di cose religiose. Negli anni Venti e Trenta è stato messo in discussione il fatto stesso che li si dovesse considerare musulmani: dopo la Rivoluzione Islamica in Iran il fatto che fossero sciiti ha dovuto essere statuito per mezzo di fatwa, pareri religiosi vincolanti (Kramer, 1987).
La cooperazione siriaqna è considerata essenziale per le linee di rifornimento che portano fino in Libano da Hezbollah, una formazione fondata con il sostegno iraniano con cui l'Iran mantiene da sempre legami molto stretti.
Tutti questi conflitti per procura già rappresentano altrettante complicazioni per proprio conto. Tuttavia la materia più irta di contrasti è quella del programma nucleare iraniano, cui si mescolano l'antagonismo tra Iran e stato sionista e la cooperazione sottobanco tra stato sionista ed Arabia Saudita, oltre al ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente. Nel 2002 fu rivelata l'esistenza in Iran di strutture collegate all'energia nucleare di cui si ignorava l'esistenza, a Natanz e ad Arak. Fin da allora l'Arabia Saudita ha seguito con apprensione lo sviluppo del programma nucleare iraniano ed il conseguente dibattito internazionale. L'Arabia Saudita rispose ad un appello del segretario della Lega Araba generale Amr Moussa che invitava a bilanciare l'arsenale nucleare dello stato sionista tramite un programma nucleare civile ed anunciò che avrebbe intrapreso essa stessa qualche cosa del genere[15]. Tuttavia le intenzioni dei sauditi erano mosse più dal programma nucleare iraniano che non dall'arsenale atomico dello stato sionista. La questione palestinese ancora irrisolta fa sì che l'Arabia Saudita non possa apertamente schierarsi con lo stato sionista in alcun campo, ivi compresa la minaccia nucleare iraniana; tuttavia si dà per scontato ormai da anni che i due paesi coordinino sottobanco i propri sforzi, e cooperino di fatto per contrapporsi all'Iran[16] e porre ad esso dei limiti. Arabia Saudita e stato sionista affiancano gli Stati Uniti ed approvano le sanzioni internazionali contro l'Iran, che sono diventate un'opportunità per ribadire la loro alleanza con gli USA. Di conseguenza i positivi sviluppi delle trattative intraprese dal "cinque più uno"[17] e dei negoziati con l'Iran, e soprattutto la prospettiva che si arrivi finalmente ad un accordo, non sono stati recepiti come buone notizie perché in prospettiva possono togliere importanza allo stato sionista e all'Arabia Saudita, sia come potenze regionali che come partner degli Stati Uniti.
 
 
Conclusioni
 
La guerra fredda tra Arabia Saudita ed Iran è cambiata come sono cambiati gli equilibri di potere in Medio Oriente: gli stati arabi hanno perso rilevanza a fronte dei loro vicini non arabi. Anche se gli sviluppi della "primavera araba" hanno riammesso alcuni paesi come l'Egitto, l'Arabia Saudita e -in misura sempre maggiore- il Qatar alla competizione per il predominio, la loro importanza è rimasta relativa.
Le relazioni tra Iran e Arabia Saudita possiedono tutti i caratteri delle contese e delle controversie "tradizionali" del Medio Oriente: arabi contro non arabi, sunniti conto sciiti, conservatori contro rivoluzionari, stato di antiche tradizioni contro stato di recente fondazione. Eppure il loro rapporto è molto più influenzato da considerazioni basate sulla realpolitik che non dall'ideologia. Entrambi i paesi sono degli stati nazionali che si comportano da imperi, cercando proiezione ai propri interessi. Evitano il confronto diretto, in una relazione caratterizzata dal reciproco contenimento e da una condotta propensa all'accordarsi oltre che dalle guerre per interposti contendenti. Le loro sfere di influenza fluttuano per dimensione ed intensità, in un ambiente in cui le condizioni della sicurezza cambiano di continuo; tuttavia si può notare una specie di status quo nei loro rapporti di vicinato: l'Arabia Saudita è l'attore dominante nella Penisola Araba mentre in Iraq è l'Iran ad avere un'influenza predominante, anche se non illimitata.
Il futuro delle relazioni tra i due paesi sarà determinato dagli sviluppi che interverranno sul piano interno, su quello regionale e su quello esterno. Mentre è verosimile che l'Arabia Saudita si troverà ad affrontare grossi processi di transizione sul piano interno in un futuro non troppo lontano e che per l'Iran sarà decisivo l'accordo sul nucleare, nula fa pensare che i loro rapporti saranno dominati da fattori molto diversi da quelli che li hanno dominati a tutt'oggi.
 
 
 
 
 
[1] L'Unione Europea inquadra in modo istituzionale la coooperazione con il Medio Oriente nell'àmbito dell'Unione per il Mediterraneo, del Processo di Barcellona, del dialogo col Consiglio degli Stati del Golfo. Tuttavia non può influenzare i cambiamenti in corso nella regione. L'Unione Europea, con particolare riferimento alla Ashton e alla sua squadra, gioca un ruolo importante nel "cinque più uno" e nel relativo negoziato con l'Iran, nonostante l'UE non sia membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Anche in questo caso, tuttavia, sono gli Stati Uniti ad essere decisivi.
[2] L'espressione è stata usata da Abdallah di Giordania alla fine del 2004, per indicare un asse che unisce Damasco a Tehran passando per Baghdad. Tempo dopo il re ha detto che le sue considerazioni erano state di molto ingigantite, ma l'espressione è comunque entrata nell'uso comune, specie dopo che in seguito alla guerra in Iraq del 2003 le tensioni settarie e gli scontri crebbero di intensità.
[3] Cugino e genero di Muhammad, Ali fu il quarto califfo doo la morte dell'Inviato e fu ucciso nel 656. I suoi seguaci. la "fazione di Ali" o sciiti, sostennero i diritti dei suoi due figli sul califfato ma mentre Hassan condusse una vita ritirata e non volle ribellarsi, suo fratello Hussein si rivoltò contro i califfi omayyadi e morì combattendo a Karbala, nell'odierno Iraq. La tomba di Ali a Najaf e quella di Hussein a Karbala sono i più importanti luoghi di pellegrinaggio per gli sciiti. Il martirio di Hussein viene commemorato ogni anno nel lutto dell'Ashura ed ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione dottrinale dell'Islam sciita.
[4] Un esame del perché il radicalismo sunnita non venga solitamente compreso in un contesto rivoluzionario supererebbe i limiti di questo scritto.
[5] Nel volgere di un centinaio d'anni il califfato arabo islamico giunse ad estendersi dalla penisola Iberica al fiume Indo, fino all'Asia Centrale, conquistando paesi e civiltà. L'attivismo di vari popoli non arabi, il cosiddettoshucubiyya, ebbe un ruolo importante nella presa del califfato da parte degli Abbasidi nel 750 e nell'ascesa della loro dinastia.
[6] Nel corso di uno sviluppo senza uguali la popolazione di lingua persiana non soltanto conservò la propria lingua anche dopo la conquista araba e l'islamizzazione, ma fin dall'undicesimo secolo la storia antica venne deliberatamente preservata tramite i racconti degli antichi tempi eroici e le narrazioni epiche (Shahnahme); venne anche redatto il primo dizionario arabo-persiano. L'interesse per la storia antica e la coltivazione della lingua nazionale in Europa sono caratteristiche sostanziali dei nazionalismi.
[7] In Iran la denominazione di "Golfo Persico" non è solo materia per gli storici, ma anche una questione di onore e di prestigio. Di solito agli stranieri viene raccomandato di riferirsi ad esso come al Golfo Persico, tante volte si sbagliassero, ed al modo di provare storicamente fondata questa denominazione vengono dedicati convegni internazionali che durano più giorni. Gli arabi invece lo chiamano semplicemente Al Khalij, "Il Golfo". L'espressione "Golfo Arabo" ha fatto la sua comparsa qualche decina di anni fa, ma vuoi a causa dell'esistenza di altri elementi geografici dal nome simile, vuoi per la mancanza di vere opportunità politiche per imporre l'uso dell'espressione, quella di "Golfo Arabo" è una definizione che ha avuto poca fortuna, anche se ha una sua importanza in questo contesto.
[8] Il GCC fu fondato da Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti nel 1981; si trattava di un coordinamento politico per l'unificazione regionale, ma prevedeva anche la fondazione della cosiddetta Peninsula Shield Force, una forza militare unica tra tutti i paesi membri.
[9] Le relazioni tra Iran e talebani e tra Iran e governo di Saddam Hussein erano improntate all'ostilità; la fine del loro potere ha favorito Tehran in misura non piccola.
[10] Nel 2013 si riaffermarono gli stessi toni retorici, riferiti stavolta alla Siria: l'attuale governo iraniano non ha quindi avuto motivo di rivedere le proprie convinzioni.
[11] La ECO, Organizzazione per la Cooperazione Economica, è nata ad opera di Turchia, Iran e Pakistan nel 1985 ed ha lo scoo di promuovere la cooperazione economica, tecnica e culturale tra paesi membri. In seguito vi hanno fatto il loro ingresso anche Afghanistan, Azerbaigian, Kirghisistan, Kazakhstan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
[12] "La Repubblica Islamica è un sistema che si basa sulla credenza nella... negazione di ogni forma di oppressione, sia inflitta che subìta, e di predominio, sia imposto che accettato". Articolo 2 della costituzione, http://www.iranonline.com/iran/iran-info/Government/constitution-1.html
[13] La dottrina politica del "né Oriente, né Occidente" venne messa a punto dopo la Rivoluzione Islamica. All'inizio aveva preso spunto da una considerazione dello ayatollah Khomeini sulla direzione da imporre alla ricostruzione del paese. Poi si rivelò intonata con il proposito di evitare ogni genere di dominio straniero, e finì con indicare la politica estera iraniana nel suo complesso.
[14] I politici in visita in Iraq di solito si incontrano con il grande ayatollah Sistani, che varie volte ha rifiutato di incontrarsi con gli statunitensi.
[15] Nel 2007, dopo aver constatato che decenni di sforzi da parte dei paesi arabi di far aderire lo stato sionista al Trattato di Non Proliferazione non avevano portato a nulla, Amr Moussa invitò tutti i paesi arabi ad intraprendere un programma nucleare civile. Sei o sette paesi arabi risposero assicurando che era loro intenzione costruire centrali nucleari ma da allora ad oggi soltanto gli Emirati Arabi Uniti si sono mossi concretamente, mentre Giordania ed Arabia Saudita sono ancora alla progettazione. Anche in Egitto, dove un abbozzo di programma nucleare per uso civile esisteva già, si stanno progettando iniziative in questo campo.
[16] Funzionari e ricercatori dello stato sionista fanno spesso riferimento all'accordo e alla cooperazione tra Arabia Saudita e stato sionista, o quantomeno ad un loro coordinamento sulla questione del programma nucleare iraniano, ma lo fanno specificando sempre che si tratta di accordi "sottobanco".
[17] Dopo una serie di negoziati tra l'Iran ed i "cinque più uno" (i cinque del Consiglio di Sicurezza più la Germania) il 24 novembre 2013 è stato stretto un primo accordo cui sono seguiti sei mesi di lavori per la sua messa in atto. Ad un accordo finale si deve ancora giungere, ma sono stati fatti buoni progressi data la determinazione con cui sia gli Stati Uniti che l'Iran hanno affrontato la questione sul piano politico. Entro pochi mesi ci si attende si possa giungere ad un accordo definitivo.
 
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