Traduzione da Conflicts Forum.

Jeremy Warner, viceredattore del Telegraph, ci racconta una storia che è un esempio, perché tocca tutte le principali crisi che l'Europa e gli Stati Uniti stanno affrontando.
"La Grecia è un paese di frontiera, in quanto è uno dei principali punti di ingresso per chi emigra nell'Unione Europea. Una volta entrati i migranti possono spostarsi liberamente grazie agli accordi di Schengen in buona parte del territorio dell'Unione, fino a quando non riescono a raggiungere il paese in cui intendono chiedere asilo o in ogni caso trovare illegalmente un'occupazione.
La maggior parte degli stati europei credono che la Grecia abbia affrontato molto male le proprie responsabilità nella sorveglianza delle frontiere e considerano molto male il fatto che essa abbia rifiutato più consistenti aiuti europei per affrontare la crisi. Quindi l'Unione Europea minaccia adesso di espellere la Grecia da Schengen. Un'azione del genere sostanzialmente separerebbe la Grecia dal corpo principale dell'Unione Europea, come già succede con il Regno Unito che non è parte degli accordi di Schengen; si dovrebbero ristabilire controlli alle frontiere per monitorare i passaggi dalla Grecia al resto dell'Unione.
L'Unione Europea può permettersi di minacciare l'espulsione della Grecia perché la Grecia si è mostrata restìa ad accettare anche aiuti di portata limitata, come quelli che riguardano l'assistenza umanitaria o l'organizzazione di una speciale missione di Frontex, che una variante europea disperatamente inadeguata del corrispettivo statunitense. Questo rifiuto non è dovuto al fatto che la Grecia non pensa di aver bisogno di aiuti; è dovuto al fatto che essa ritiene questa offerta enormemente inadeguata. il concetto può sapere di già sentito, e difatti si tratta di cose già successe nel caso della crisi del debito sovrano. L'Unione Europea offri una sorta di limitato abbuono ma sotto termini e a condizioni tali che la Grecia trovò tutto quanto inaccettabile. Alla fine fu costretta ad arrendersi perché l'alternativa era la sua espulsione dalla moneta unica"

 

La crisi dei rifugiati e la crisi che nasce dalla politica di austerità dell'Unione Europea, come Jeremy Warner ha compreso con chiarezza, hanno in comune il fatto di derivare entrambe dall'uso di tirare in lungo i problemi come si farebbe prendendo a calci un barattolo lungo una strada, e nel far finta che tutto vada bene anche quando è chiaro a tutti che così non è.
Quanti credono che la Grecia sia in condizioni di pagare i propri debiti sulla base delle politiche di austerità adottate in passato e adottate a tutt'oggi, adesso si contano sulle dita di una mano; eppure la politica continua a mantenere questa linea e si continua a fingere che in fin dei conti tutto va bene. Quando la vaticinata soluzione stenta a farsi vedere e rimane ben al di là dell'orizzonte non si fa altro che proseguire con le politiche di austerità, ma in maniera sempre più strampalata. La rivista greca Enikonomia per esempio pubblica un articolo secondo cui i contribuenti greci saranno tra poco costretti a dichiarare tutto il denaro contante che tengono sotto il materasso o in cassette di sicurezza bancarie al di sopra dei quindicimila euro, così come i gioielli e le pietre preziose -oro compreso- di valore superiore ai trentamila, a partire dal 2016. Tutto questo somiglia maledettamente all'annuncio di un piano di confisca delle ricchezze da parte del governo. Il disastro greco continua semplicemente a dispiegarsi e non se ne vede la fine.
Allo stesso modo Europa e Stati Uniti si sono intestarditi in decenni di politiche monetarie poco rigide, vale a dire che sono andati creando ancora più debito per liberarsi da certi problemi di debito, eppure le nostre economie si dice siano ancora oggi praticamente degli zombie, ed in più dobbiamo affrontare l'instabilità di sistema originata dall'esplosione del debito valutata oggi in centonovanta trilioni di dollari a livello mondiale laddove il prodotto interno lordo mondiale è di soli settanta trilioni. L'esposizione dei derivati è valutata qualcosa come venti volte il prodotto interno lordo mondiale. In breve, ci sono molti più crediti di quante siano le ricchezze reali, quindi lo stampare sempre più denaro e mantenere i tassi di interesse pari a zero o anche negativi pare essere una pratica destinata ad estendersi indefinitamente.
Ora europei e americani sono capacissimi di intuire i pericoli che nascono dalla precarietà finanziaria o dalla crisi dei profughi in Europa che minaccia l'esistenza stessa del progetto europeo. Jean Claude Junker recentemente ha vaticinato che se gli accordi di Schengen falliscono allora è inutile che continui ad esistere l'euro. Il fato è che siamo rimasti prigionieri di un copione in cui si rimandano le cose all'infinito e al tempo stesso si finge che vada tutto bene, nonostante tutto questo non faccia che aggravare la crisi.
 
Lo stesso succede con la Siria. Il Parlamento britannico ha votato a grandissima maggioranza per i bombardamenti; si dice che la decisione sia stata presa per indebolire lo Stato islamico ma ovviamente ha il reale obiettivo di servire a motivazioni meno note al pubblico, in particolare a mantenere aperta la possibilità di cacciare il presidente Assad e di rovesciare il governo. Questo sulla base del fatto che il comitato congiunto dei servizi segreti insiste a dire di aver identificato settantamila "moderati" in Siria -di cui non fornisce altri dettagli- quando perfino l'ex ambasciatore britannico a Damasco afferma che ve ne sono al massimo cinquemila, che formano l'evanescente "Libero Esercito Siriano". Il Regno Unito vuole inoltre dividere la Francia dalla Russia, dopo che il presidente Hollande ha invece annunciato di voler collaborare con Mosca. Nel Regno Unito vedrebbero volentieri Putin prendere una ridimensionata, e alla fine anche compiacere i propri alleati nel Golfo Persico.
Siamo davanti ad un altro caso in cui (1)si mandano le cose per le lunghe: in questo caso la tiritera del rovesciamento del governo siriano, portata avanti esagerando il numero dei ribelli "moderati" e pianificando attentamente i bombardamenti per rafforzare i suddetti a scapito dello Stato islamico, mentre (2)si fa finta che la crisi dei profughi non abbia nulla a che fare con i precedenti ed infruttuosi tentativi dell'Occidente di rovesciare il governo siriano, o che un governo di transizione in Siria fatto di occidentalizzati fedeli alla Banca Mondiale o da tecnocrati alla Goldman Sachs avrebbe una qualche speranza di innescare la massa critica di risorse statali necessarie a sconfiggere Al Qaeda, lo Stato Islamico o Ahrarh al Sham nella guerra che sicuramente scoppierebbe nel caso lo stato siriano venisse decapitato, come spera il signor Cameron.
La conseguenza dell'aver fatta propria la linea che impone la caduta del governo senza che esista una alternativa credibile per esso, e in un momento in cui le forze del Califfato per un verso o per un altro dominano completamente il fronte degli insorti, è quella di auspicare un risultato in stile libico, compresa l'anarchia che seguirebbe. Altra conseguenza è il far finta che pagare alla Turchia una mancia per fermare il flusso dei profughi risolverebbe il problema dei rifugiati. Il presidente Erdogan è parte del problema -da lui stesso innescato- e non parte della soluzione.
Sembra che Europa e AmeriKKKa non possiedano la leadership, la volontà e la visione di insieme necessarie ad uscire dal loro paradigma di rinvii indefiniti e di finzioni, e che le varie crisi in Europa non faranno che approfondirsi e moltiplicarsi dal momento che come nota Warner esse sono tutte collegate tra loro. Per fortuna in Siria i bombardamenti britannici e gli attacchi con i droni non faranno molta differenza sul piano pratico, con l'ovvia eccezione delle persone che presumibilmente moriranno a causa di essi. Ad essere davvero dannoso, nell'iniziativa britannica, è il fatto che essa intende a bella posta intorbidare le acque di ciò che esattamente viene offerto all'Europa.
Da una parte all'Europa viene offerta la prospettiva che dopo la sconfitta degli jihadisti in Siria con la fattiva partecipazione al conflitto delle forze regolari e col sostegno aereo si terranno libere ed aperte elezioni sotto il controllo delle Nazioni Unite e vi sarà un nuovo parlamento incaricato di applicare le riforme. Il presidente Assad probabilmente si candiderà; nel caso vincerà quasi sicuramente la consultazione elettorale. Cosa succede se il presidente Assad risulta vincitore? Non è forse diritto del popolo siriano decidere, e scegliere il proprio rappresentante secondo il proprio modo di essere? L'Unione Europea pensa che la crisi dei profughi che la riguarda sia di così poca importanza che ci si può anche permettere di delegare ad un qualche subordinato il compito di trovare una vera soluzione ad essa, per avere anche un ruolo politico in Siria? Tutto questo deve rimanere nell'alveo di ciò che è gradito a Washington, senza che Mosca abbia voce in capitolo? Che faranno gli europei se Bashar Assad dovesse vincere le elezioni? La vittoria di Assad potrebbe davvero essere preziosa per interrompere l'esodo dei profughi siriani.
Dall'altra parte, per come stanno le cose, l'Europa rischia di doversela vedere con la prospettiva di un paese decapitato e smembrato e con la possibilità -che in una simile situazione è molto concreta- che le forze del califfato finiranno per prevalere e l'esodo dei rifugiati col trasformarsi in una marea. Come mai è così difficile scegliere? Si vuole soltanto umiliare Putin? O forse qualcuno non può sopportare l'idea che Assad resti al potere?
La cosa più probabile è che alla fine sia quest'ultimo esito a risultare il preferito, solo che è probabile che la mossa britannica riesca a complicare tutto e ad allungare ancor più i tempi, rendendo meno probabile che l'Europa riesca a liberarsi da una linea politica basata sul far finta di nulla e sul tirare in lungo i problemi e più verosimile che le varie crisi interconnesse continuino ad aggravarsi fino a minacciare la stabilità del continente. Washington si trova a molte migliaia di miglia dal Medioriente in disgregazione; l'Europa ce l'ha sulla porta di casa. Gli interessi degli europei e degli americani quando si tratta della Siria non coincidono. L'Europa dovrà scegliere.