Negli USA chi sostiene con entusiasmo la nuova guerra fredda con la Russia sembra ignorare gli ordini del Presidente Obama, meno bellicisti, ed agire in favore di un pericoloso salire delle tensioni.
 
Dopo l'attacco statunitense contro le postazioni dell'esercito siriano che controllano e comandano l'aeroporto di Deir ez Zor, i cui voli quotidiani stile ponte aereo di Berlino sono l'unico cordone ombelicale di una città a lungo assediata dallo Stato Islamico, l'ambasciatore russo all'ONU ha chiesto al Consiglio di Sicurezza, in modo retorico ma appropriato, chi detiene il potere politico negli USA, se il Pentagono o la Casa Bianca.
Non c'è stata una risposta ufficiale, ovviamente, ma non è che ce ne fosse bisogno; un editoriale del New York Times una risposta l'ha data, e perentoria, il 15 settembre. Lodando l'energica ma donchisciottesca diplomazia del Segretario di Stato degli USA, l'editoriale scriveva:
 
L'accordo [per il cessate il fuoco in Siria] è stato accolto da voci decisamente critiche all'interno dell'amministrazione Obama, voci che comprendono quella del Segretario alla Difesa Ashton Carter. Martedi [13 settembre 2016, n.d.t.] i funzionari del Pentagono hanno rifiutato di dire se avrebbero o meno ottemperato ai termini di loro competenza, che impongono agli USA di condividere con i russi informazioni sui bersagli dello Stato Islamico in Siria a patto che il cessate il fuoco regga per sette giorni. Si tratterebbe di un rapporto di collaborazione inusuale e rischioso; il governo russo è diventato sempre più ostile e potrebbe trarre profitto dall'apprendere segreti militari statunitensi.
 
A sorprendere qui è il fatto che gli editorialisti del New York Times non si mostrano per nulla sorpresi. L'editoriale riporta senza enfasi che il Segretario alla Difesa ed il Pentagono potrebbero non ottemperare. Nessun cenno di sorpresa a fronte delle implicazioni che l'aperta disobbedienza alla volontà presidenziale comporta a livello costituzionale.
Tutt'altro: gli editorialisti considerano piuttosto naturale e lodevole che Carter rifiuti di adeguarsi a questo "inusuale e rischioso" proposito. Solo che in questo caso non si tratta di una "proposta di collaborazione": si tratta di un accordo formale che gli Stati Uniti hanno ratificato assieme ad un altro paese, che è stato raggiunto dopo lunghi negoziati e dietro preciso incarico presidenziale.
Insomma: il Presidente Obama non ha più alcuna autorità, se osa muoversi in modo non conforme alla consolidata opinione del Pentagono, della CIA, del New York Times, dello Washington Post e del candidato presidenziale del Partito Democatico. Non è irragionevole concluderne che la distensione svogliata che Obama ha praticato nei confronti di Putin -un uomo che detesta visceralmente a livello personale- non è altro che chiacchiere da diplomatici.
Il professor Stephen Cohen è un importante esperto di questioni russe; ha rintracciato altri casi in cui i sostenitori della linea dura appartenenti alla burocrazia della sicurezza nazionale hanno affondato i tentativi presidenziali di arrivare alla distensione con la Russia. Un caso del genere si verificò quando la CIA mandò Francis Gary Powers con il suo aereo spia U2 nei cieli russi, cosa in contrasto con l'accordo raggiunto con la Russia da Dwight Eisenhower; unico risultato, l'U2 venne abbattuto.
 
Su chi abbia fatto cosa in Siria negli ultimi tempi volano scambi di accuse, ma in concreto c'è il fatto che Obama si trova, all'interno della sua stessa amministrazione, davanti ad una dissidenza probabilmente insormontabile e che arriva fino alla disobbedienza aperta.
Il cosiddetto cessate il fuoco in Siria non verrà ripristinato, e questo non soltanto per l'aspro scambio di accuse che ha irreversibilmente superato certi tàciti limiti, ma perché esistono a prescindere delle dettagliate e stringenti testimonianze che arrivano da addetti ai lavori e che raccontano di come il sabotaggio della politica della Casa Bianca ad opera delle forze armate statunitensi con le operazioni sotto copertura in Siria si sia tradotto in un disastro.
Dal resoconto si viene a sapere che quanto era stato a lungo oggetto di sospetti è effettivamente vero: gli USA non controllano, e non possono controllare, il mostro jihadista che hanno creato attirando eterogenee fazioni combattenfi nell'orbita dello "stato di sicurezza" statunitense e chiudendo gli occhi sulla natura e sulle autentiche intenzioni di quanti andavano addestrando, finanziando ed armando.
Detto altrimenti, il Segretario alla Difesa Ashton Carter e il direttore della CIA John Brennan non possono certo garantire il cessate il fuoco, e questo potrebbe spiegare in una certa misura la turbolenza che regna a Washington. La Casa Bianca è arrivata a capire del tutto fino a che punto i vari servizi "speciali" degli USA si sono pestati i calli a vicenda, e così facendo hanno indebolito qualunque seria prospettiva di una padronanza statunitense degli avvenimenti, togliendo agli Stati Uniti un ruolo predominante nei negoziati?
L'altro aspetto della questione è, se mai, il forte sospetto che Donald Trump si ritrovi adesso con l'agibilità necessaria a intromettersi, se appena ne avrà voglia, con i suoi "io ve l'avevo detto" sul chi ha creato il mostro jihadista.
L'apparenza di una volontà concertata, ampia ed internazionale di arrivare ad una soluzione del conflitto in Siria è rimasta sconvolta: adesso esistono sul terreno solo i contrapposti interessi di vari movimenti di insorti, e fuori dala Siria le retoriche contrapposte degli stati sovrani. Il conflitto siriano entrerà probabilmente in una nuova e tribolata fase; con esso, anche l'Ucraina diventerà una questione sempre meno maneggevole dal momento che i due conflitti sembrano procedere di pari passo.
Occorre notare che il Presidente ucraino Petro Poroshenko, che agli europei dice ora bianco ora nero, incontrerà Hillary Clinton a New York; Trump ha invece rifiutato di incontrarlo. Forse i democratici vogliono fare il bis anche con lui?
Che altro c'è da dire? Le elezioni per la Duma russa sono venute e sono passate. Non ci sono state sorprese, ma questo non significa che non abbiano avuto un loro significato. Si potrebbe dire, col senno di poi, che sono state qualcosa di più che semplice routine.
Il partito del governo in carica, Russia Unita, le ha vinte sia pure in condizioni di bassa affluenza, ma le elezioni per la Duma non hanno poi molta attrattiva per i russi. Putin non è propriamente un appartenente a Russia Unita, ma il partito è associato al suo nome ed è legato alla sua persona; alla vittorian è arrivato essenzialmente grazie alla popolarità di Putin, e nonostante gli scarsi successi in campo economico.
Ci sono due elementi degni di nota: in primo luogo il fatto che Russia Unita ha superato la soglia dei trecento seggi. Con 343 deputati su 450, Russia Unita ha oggi una supermaggioranza e, ecco la cosa importante, può cambiare la costituzione russa. In secondo luogo i tre partiti liberali filooccidentali che hanno contestato le elezioni hanno raggiunto, tutti insieme, soltanto il quattro per cento dei voti. Ciascuno di essi non è andato oltre l'uno o il due per cento e la soglia per entrare in parlamento è il cinque per cento. Come ha scritto con inusuale schiettezza il professor Cohen, "Il movimento filooccidentale e liberale in Russia è morto, e ad ucciderlo è stata Washington".
 
In breve le sanzioni economiche e i conseguenti tiri di cinghia non hanno minimamente indebolito la posizione di Putin presso i russi. I russi accusano l'Occidente, anche se detestano cordialmente gli addetti all'economia del Primo Ministro Dimitri Medvedev. Questo adesso è chiaro a tutti.
Insomma, adesso Putin si trova in condizioni di operare dei cambiamenti, vista la supermaggioranza ottenuta alla Duma. Ed in effetti si dice che presto ve ne saranno di rilevanti. Un eminente esperto di cose russe afferma chiaramente che la vera opposizione a Putin non si trova nella Duma, ma nello stesso "partito del potere":
 
La vera opposizione a Putin, per dire le cose come stanno, è costituita dai ministri dell'economia e delle finanze del governo Medvedev e da tutti i gruppi che essi rappresentano: banchieri, burattini del Fondo Monetario Internazionale, uomini d'affari corrotti che arrivano dagli anni Novanta e che odiano Putin perché non li lascia rubare come hanno rubato in passato, tutta la ex nomenklatura e relativi pupilli che negli anni Novanta hanno imperversato e che hanno il cuore in Occidente, i fautori dell'integrazione atlantica come Kundrin, che sono sostanzialmente tipici rappresentanti del consenso verso Washington e che odiano il popolo russo perché ha votato per Putin.
Eccola qui, la vera opposizione. Un'opposizione molto più pericolosa degli USA e della NATO messi insieme. E per quest'opposizione il risultato delle elezioni alla Duma è una sconfitta devastante. Perché? Perché a parte il "partito del potere" che è Russia Unita tutti gli altri partiti rappresentati alla Duma sono molto più anticapitalisti e molto più antiameriKKKani di quanto non lo sia Putin. Insomma, per l'Impero [ameriKKKano, n.d.t.] Russia Unita va bene e andrà bene così, perché ogni altra alternativa sarà molto peggiore.
 
Così su The Saker.
Il punto è questo: nei prossimi mesi la situazione in Siria pare sia destinata a peggiorare, ma non al punto da rappresentare una sconfitta strategica per la Russia. L'intervento militare russo e il mutato atteggiamento della Turchia (sul quale peraltro non ci sono ancora certezze) rendono improbabile che gli USA possano arrivare all'agognato rovesciamento del governo Assad. In Ucraina i russi hanno il coltello dalla parte del manico, e gli europei lo hanno capito.
Insieme all'inasprirsi delle tensioni in Siria e in Ucraina e all'escalation della NATO nel Baltico, c'è stato il recente G20 in cui ha spiccato l'ascesa della cooperazione geostrategica tra Russia e Cina; adesso, il risultato delle elezioni alla Duma mette putin in condizioni di operare mutamenti strategici in seno alla Russia stessa. Si tratterà quasi certamente di mutamenti nella politica economica, ma è anche probabile che Putin si sentirà maggiormente sicuro nel mettersi a tu per tu con l'Occidente.
Questo non significa asserire che Putin intende inasprire la tensione con l'Occidente. Non esiste alcuna prova di una cosa del genere, come confermato dal comandante della NATO. Solo che adesso Putin non ha più bisogno di guardarsi le spalle. E può anche mettersi ad aspettare con calma le crisi economiche e politiche dell'Occidente.