Traduzione da Consortium News, 28 luglio 2017.

Facebook è l'icona di chi crede in certi punti fermi. Poco tempo fa ha scritto a uno dei siti della "destra alternativa" statunitense informandolo del fatto che vari post da esso curati dovevano essere rimossi immediatamente o sarebbero stati cancellati.
I riferimenti offensivi erano la parola "travelli" per indicare i transgender, e la parola "travestiti." Il messaggio scritto da Facebook suggeriva inoltre che l'identità di genere costituisse una "caratteristica protetta" su base legale, cosa che non è vera, e che riferirsi ai transgender definendoli "travelli" poteva essere considerato "istigazione all'odio", ovvero un illecito penale.
In sé è una questione di rilevanza nulla, non fosse per il fatto che è un perfetto esempio della discussa visione delle cose che ingloba la società civile statunitense di oggi. Da una parte c'è l'idea secondo cui la diversità, l'orientamento sessuale liberamente scelto e il diritto all'identità si traducano sul piano sociale in coesione e solidità. Dall'altra invece c'è l'idea di cui è esempio Pat Buchanan: un paese, ivi compresi i nuovi arrivati, sta insieme per lo più grazie al patrimonio di memorie, al retaggio culturale di usi e costumi, all'attaccamento a un certo "modo di essere" e per i principi che lo governano. Questo è quello che costituirebbe la fonte della solidità di un paese.
La questione, qui, è che i punti fermi dell'Occidente stanno franando. Insistere per gestire e controllare il discorso (per dirla con Michel Foucault) mantenendolo all'interno di un'ideologia politica strettamente delimitata attira adesso un pubblico disprezzo -e negli Stati Uniti anche manifestazioni di piazza- che si dirigono contro i media sociali e contro costituitivi del mainstream mediatico come la CNN. Insomma, più le parole d'ordine del caposaldo della diversità vengono imposte negli USA, e maggiore è la ripulsa popolare che incontrano, a quanto sembra.
I siti che si oppongono a questa "correttezza" stanno attirando un pubblico molto più vasto di quelli che la promuovono. Ma non è tutto qui. Anzi, non è neppure la metà. I capisaldi stanno cedendo su vari fronti, con ampie e probabilmente burrascose conseguenze.
 
 
Il caos in politica estera
 
Il settore in cui questo è più evidente è quello della politica estera in generale e della politica mediorientale in particolare. Il mainstream mediatico se ne è occupato poco, ma stando a certi resoconti il Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ancora una volta non è riuscito a presentare alcun argomento convincente su come l'AmeriKKKa potrebbe in qualche modo vincere in Afghanistan, anche con un sostanziale incremento della forza militare come auspicherebbe il consigliere per la Sicurezza Nazionale H.R. McMaster. La guerra in Afghanistan è stata una guerra lunga e nessuno ne trarrà un esito soddisfacente, anzi. E questo è da molto tempo chiaro per quasi tutti coloro che ne hanno seguito le vicende.
In secondo luogo, Hezbollah ha cacciato in pochi giorni Al Qaeda dalla enclave di Arsal nel Libano del nord. Il Libano confina con la Siria, proprio come vi confina l'Iraq, che della Siria è alleato. Facilitati dallo shock provocato sugli insorti dalle notizie sulla fine della fornitura di armi da parte della CIA e delle paghe passate ad alcuni (non a tutti) gruppi di insorti, l'Esercito Arabo Siriano e i suoi alleati stanno rapidamente rioccupando il territorio dello stato siriano. Sembra che gli USA siano arrivati alla conclusione che in Siria l'AmeriKKKa non ha nulla da guadagnare e che con la caduta di Raqqa e la sconfitta dello Stato Islamico la Casa Bianca può ritenere a buona ragione che gli obiettivi degli USA sono stati raggiunti.
In terzo luogo, il popolo iracheno ha subito una trasformazione significativa. La brutalità dello Stato Islamico e il totalitarismo ideologico nel Nord del paese lo hanno mobilitato e radicalizzato, e l'Iraq è oggi un paese in trasformazione. Anche il panorama politico cambierà: gli sciiti iracheni stanno prendendo coscienza del loro rafforzamento.
Il governo (che è impopolare) e la leadership religiosa, la Hauza rispettata ma oggi minata dall'età, devono per forza vedersela con questa nuova ondata di mobilitazione popolare. Questi profondi mutamenti di tendenza già si riflettono sul posizionamento strategico di un Iraq che si sta avvicinando alla Russia (si veda l'acquisto dei carri armati russi T90), alla Siria e all'Iran. La spina dorsale del Medio Oriente sta rafforzandosi, certo, ma seguendo un'altra strada.
Questo mutamento del clima può determinare anche il futuro dell'Islam sunnita. La maggior parte dei sunniti iracheni ha provato repulsione e disgusto davanti agli eccessi del Da'ish wahabita, al pari dei siriani di ogni confessione. I cittadini sunniti di Mossul, adesso liberi di raccontare la loro esperienza, hanno raccontato ai loro compatrioti iracheni (così mi è stato riferito) della perenne rabbia per le decapitazioni del clero sunnita della zona da parte dello Stato Islamico: c'erano state lamentele per il comportamento non conforme all'Islam di jihadisti stranieri parte del Da'ish a Mossul. Quella dell'Islam venuto dal Najd è stata una brutta esperienza, che alla fine avrà conseguenze sull'Arabia Saudita e sui suoi vertici -ferocemente odiati oggi in Iraq- oltre che sull'AmeriKKKa che dell'Arabia Saudita è un alleato stretto.
Insomma, i punti fermi della politica mediorientale dell'Europa e degli USA stanno collassando, ed è in crisi anche il baluardo presieduto dal Consiglio per la Cooperazione nel Golfo. Per quanto riguarda la Siria, lo starnazzare dei "falchi" esasperati risuona in tutto l'Occidente.
Ovviamente ci saranno delle conseguenze. Lo stato sionista asserirà minaccioso che "non può rimanere impassibile" mentre Hezbollah e l'Iran si acquartierano sulla linea armistiziale nel Golan, e magari cercherà di mettere alla prova la Russia come garante della zona di de-escalation militare nel sud ovest della Siria. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu è particolarmente irritato perché lo stato sionista è stato messo fuori dai giochi in Siria ad opera del Presidente russo Putin: la speranza di creare un cordone sanitario sotto controllo sionista all'interno del sud ovest siriano è stata frustrata. Lo stato sionista e i suoi alleati adesso faranno forti pressioni sugli USA perché per rappresaglia si argini l'Iran in maniera punitiva.
Il nuovo reggente saudita, principe della corona Mohammed bin Salman detto MbS, costituisce un altro elemento imprevedibile e volatile in questo miscuglio. Nonostante ciò, il Pentagono sa bene che gran parte della spacconeria sionista nei confronti dell'Iran non è altro che un bluff. Lo stato sionista, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti non hanno alcuna capacità di sfidare l'Iran così, da un giorno all'altro, senza il pieno sostegno dell'AmeriKKKa.
 
 
Vacillano i punti fermi dell'economia
 
Quello della politica economica è un altro bastione sempre più vacillante. Sembra che la convinzione diffusa fra alcuni leader del mercato secondo cui i valori azionari non possono salire all'infinito, retti da un oceano di liquidità e da tassi di interesse vicino allo zero, che significano volatilità vicina allo zero e scambi a senso unico, che hanno fatto somigliare i mercati ad una sorta di barca sovraffollata e sul punto di rovesciarsi, dal momento che tutti i passeggeri sono corsi a sistemarsi su un unico lato.
Alcuni fra quanti partecipano ai mercati sembrano convinti che i governatori delle banche centrali non avranno mai il coraggio di alzare i tassi o di  far deperire i propri bilanci, mandando in bestia i mercati. Tutti costoro, che fino a qualche tempo fa erano forse la maggioranza, credono che questa barca fatta di bassa inflazione e di bassi tassi di interesse continuerà a stare a galla praticamente a tempo indeterminato, magari con l'aiuto di un'altra ventina o cinquantina di migliaia di miliardi di quantitative easing, detto QE.
La questione è tutt'altro che nuova, ma in questi ultimi tempi un considerevole numero di responsabili della finanza di alto livello e anche alcuni banchieri delle banche centrali hanno scandito ammonimenti tombali sul conto delle alte sopravvalutazioni dei valori finanziari, sulle sacche di debiti sub-prime che stanno tornando a galla (i prestiti per le automobili) e i livelli del rapporto fra debito interno e prodotto interno lordo sia a livello individuale che a livello pubblico che stanno salendo oltre i valori della crisi del 2008.
Il debito globale ha superato cinquecentosessantottomila miliardi; il 46% in più rispetto alla crisi del 2008. Adesso vale il 327% del prodotto mondiale. Una massa critica di opinionisti finanziari esperti sembra se ne sia accorta. Essi contrappongono questa problematica distorsione monetaria e dei mercati alla prospettiva che un tetto al debito USA tagli nell'immediato futuro le gambe alle spese del governo federale, e alla probabilità che un Congresso profondamente minato dai conflitti e interessato da fenomeni di polarizzazione in entrambi gli schieramenti principali non potrà né approvare un bilancio, né portare alla "reflazione" vagheggiata da Trump, né varae una campagna significativa per la ricostruzione di infrastrutture.
Il loro timore è che esista una significativa percentuale di membri del Congresso e di senatori, in entrambi i partiti, talmente ostili a Trump da volerne vedere volentieri la rovina, anche a prezzo di una crisi economica. O che temono che se anche venisse approvato qualche provvedimento per stimolare l'economia, le banche centrali toglierebbero troppo velocemente ai mercati la massa di liquidità offerta loro. In un modo o nell'altro vedono tutti gravi rischi per quest'anno e per il 2018.
In breve, non solo la politica estera ma anche la politica finanziaria potrebbe trovarsi ostaggio della dissoluzione dei capisaldi della politica statunitense con tutto quello che ne consegue, ovvero la mancanza di quell'organismo efficiente, centralizzato e portatore di coesione che il governo ameriKKKano è stato e per come esso era noto fin dalla seconda guerra mondiale.
 
 
Invitare al rifiuto
 
Ed eccoci di nuovo all'ininfluente aneddoto citato all'inizio, su Facebook che cerca di rifondare il caposaldo narrativo secondo cui la scelta del genere apparterrebbe in maniera indiscutibile alle "categorie tutelate". Il problema è che questo caposaldo non regge. Più ci prova, più si fa ribadire, più rifiuti deliberati esso ottiene.
In maniera analoga, lo starnazzare dei falchi che invocano il ripristino dei vecchi caposaldi della politica secondo cui armare, addestrare e pagare jihadisti wahabiti per massacrare centomila soldati siriani (sunniti in molti casi, se non nella maggioranza) costituisce una tutela degli interessi ameriKKKani non regge più. Si consideri ad esempio David Stockman, il suo Bravo Trump, per quel tweet che ha messo sottosopra il partito della guerra (Trump: "Lo Amazon Washington Post ha distorto i fatti in merito alle mie ultime massicce, pericolose e sprecate elargizioni ai ribelli siriani che combattono Assad...").
La tiritera secondo cui si rimedia al troppo debito aggiungendovi altro debito, e che il conseguente crescere dell'inflazione andrebbe ben accolto in quanto mera conferma del fatto che è in atto proprio un recupero dell'economia, non regge più neanch'essa. Anche questo modo di intendere le cose è adesso oggetto di aspra disputa.
Persino i banchieri della banca centrale adesso si preoccupano dell'inflazione da loro stessi agevolata, ma si preoccupano anche di più delle conseguenze che potrebbe avere un qualunque tentativo di farle fronte. Stanno fra l'incudine e il martello.
Dove andremo a finire? Magari l'angoscia per le batoste subìte dagli USA in politica estera continuerà a dispiegarsi per l'intera estate, ma in autunno magari in USA ci sarà meno bramosia -o meno attenzione- per le iniziative in politica estera intanto che si avvicina l'inverno dell'economia. Nel peggiore dei casi il tumultuoso incombere del conflitto interno potrebbe anche far sembrare allettante l'idea di un'iniziativa in politica estera, che sarebbe un benvenuto diversivo rispetto alle preoccupazioni economiche.
In questo momento la retorica statunitense sta usando l'Iran e la Corea del Nord come sacche da boxe. Nessuno dei due tuttavia andrebbe considerato come un candidato per una qualche distrazione. Essi rappresentano piuttosto delle potenziali nemesi.
E per le preoccupazioni economiche, non servirebbe tanto un quarto quantitative easing, ma forse una qualche chiamata diretta a un ripianamento del deficit con una pioggia di denaro. Insomma, si dovrebbe usare denaro fresco di stampa per finanziare direttamente le spese federali. Ah, nella sua attività Trump non è mai rifuggito dai debiti.
Si dice spesso che le condizioni monetarie di questo periodo sono eccezionali e prive di precedenti. Tuttavia la storia degli assignat francesi degli anni successivi al 1790 può fornire qualche suggerimento. Nonostante la massiccia creazione di denaro, Andrew White, nel suo Fiat Money Inflation in France pubblicato nel 1896 afferma che "anche se è cresciuto l'ammontare della moneta cartacea, la ricchezza è sensibilmente diminuita. Nonostante tutte queste emissioni di carta le attività commerciali sono cresciute in modo sempre più stentato. L'impresa è rimasta congelata e gli affari hanno ristagnato sempre di più".
Infine è bene ssere chiari. Trump senza dubbio sta agevolando la dissoluzione dei capisaldi dello establishment, e questo era in fondo il suo obiettivo dichiarato. Solo che questo non sta accadendo grazie a lui. Si tratta di un evento che era già in corso: Trump se n'è accorto e si è messo a cavalcare l'onda al momento giusto.