Traduzione da Strategic culture, 14 maggio 2018.

Nahum Barnea sullo Yedioth Ahronoth spiega abbastanza chiaramente quale sia il gioco fra stato sionista e Iran (in cui Trump sta cercando di intromettersi): dopo l'uscita degli USA dagli accordi sul nucleare iraniano, Trump minaccerà di scatenare una tempesta di fuoco contro Tehran nel caso l'Iran si azzardasse ad attaccare direttamente lo stato sionista. A Putin toccherà trattenere l'Iran dall'attaccare lo stato sionista dal territorio siriano, lasciando così libero Netanyahu di fissare nuove regole del gioco per cui lo stato sionista potrà attaccare e distruggere le truppe iraniane ovunque in Siria (e non solo alla frontiera meridionale, come fino ad oggi accordato) senza il timore di subire conseguenze.
Secondo Barnea si tratta di un triplo azzardo. "Netanyahu conta sulla moderazione di Khamenei, sulla credibilità di Trump e sulla generosità di Putin. Tre caratteristiche che questi personaggi non si sapeva possedessero... Il problema è cosa succederà se invece di demordere gli ayatollah sceglieranno la guerra o, più probabilmente, se la regione precipita in un conflitto a causa della condotta avventata e mal calcolata di una delle parti in causa. Trump aprirà un nuovo fronte in Medio Oriente per difendere lo stato sionista e l'Arabia Saudita? Se lo fa, va contro ogni promessa elettorale della sua campagna". Secondo un collega di Barnea, Ben Caspit, quello del sostegno militare statunitense è un problema già chiuso: "Gli Stati Uniti [hanno] promesso allo stato sionista pieno e totale sostegno su ogni fronte... se scoppia davvero una guerra regionale, gli Stati Uniti prenderanno immediatamente una posizione netta, si pronunceranno a favore dello stato sionista e manderanno a Mosca i messaggi appropriati per assicurarsi che il Presidente russo Vladimir Putin resti fuori dal conflitto e non si azzardi a intervenire, direttamente o indirettamente, a favore dei propri alleati Iran e Siria. Di ritorno da Washington [il ministro della difesa dello stato sionista] Liberman ha comunicato al Primo Ministro di aver ricevuto 'luce verde' in materia di sicurezza."
Caspit tratteggia con candore la relazione che esiste fra Bibi e Trump dopo l'abbandono dell'accordo sul nucleare iraniano. "Solo una cosa non è chiara," ha detto ad Al-Monitor una fonte molto vicina a Netanyahu a condizione di rimanere anonima; "vale a dire, chi è al lavoro per chi? Netanyahu sta lavorando per Trump, o è il Presidente Trump a servizio di Netanyahu? Almeno dall'esterno e dopo un attento esame, sembra che i due agiscano in perfetta sincronia". Dall'interno la sensazione è anche più forte; "esiste una tale coordinazione fra i due leader e i loro due uffici -l'Ufficio Ovale alla Casa Bianca e l'ufficio del Primo Ministro a Gerusalemme- che a volte sembra che siano un unico grande organismo", ha detto a Caspit un ufficiale superiore della difesa dello stato sionista.
"Per adesso l'azzardo sta funzionando: gli iraniani non hanno (ancora) risposto, e adesso hanno un'altra buona ragione per mostrare prudenza: la battaglia per l'opinione pubblica europea" dice Barnea. "Trump può anche aver dichiarato il ritiro degli Stati Uniti e agire di conseguenza. Ma sotto l'influenza di Netanyahu e del suo nuovo esecutivo ha scelto di spingersi anche oltre. Le sanzioni economiche contro l'Iran saranno molto più pesanti, assai più di quanto lo fossero prima della firma dell'accordo. "Colpiscili al portafoglio," aveva suggerito Netanyahu a Trump; se li colpisci al portafoglio soffocheranno, e se soffocheranno cacceranno gli ayatollah. La scorsa notte, con l'uscita dagli accordi sul nucleare, Trump ha abbracciato calorosamente questo approccio."
Insomma, a detta di sue stesse fonti lo stato sionista ha questa prospettiva: colpire ovunque l'Iran in Siria, isolarlo diplomaticamente (cosa assai meno plausibile) e colpirne l'economia. Il "regime" iraniano si troverà "costretto" a gettare l'economia del paese in un "vortice mortale" e la valuta iraniana finirà in caduta libera. Questo, se di deve credere alla narrativa dei falchi sionisti e ameriKKKani.
Va detto che l'escalation e lo scambio di missili attraverso la frontiera sionista del 9 e 10 maggio scorsi non è iniziata per colpa degli iraniani; non ci sono truppe del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica a ridosso del Golan. Non è stato l'Iran a prendere l'iniziativa, ma lo stato sionista, che ha colpito bersagli siriani come ha fatto regolarmente nel corso delle settimane precedenti. In questo caso tuttavia lo stato sionista ha cercato di accusare l'Iran (la preannunciata apertura dei rifugi nel Golan occupato rappresentava in qualche modo un avallare un'incombente provocazione) e di mettere Tehran sotto ulteriore pressione.
In concreto è stata Damasco a rompere lo status quo lanciando venti missili conto il Golan occupato senza tenere conto delle richieste di moderazione provenienti da Mosca; si tratta di un evento di maggiore portata di quanto lo sarebbe stato il lancio di missili da parte iraniana. Lo scambio di salve di missili è stato il primo caso, da decenni a questa parte, di fuoco siriano contro bersagli sionisti nel Golan.
Si tratta della prima "conseguenza non voluta" dell'annuncio di Trump: le provocazioni sioniste contro la Repubblica Islamica dell'Iran hanno paradossalmente costretto il governo siriano a tirare in ballo le alture del Golan occupato in qualità di prossimo campo di battaglia: "Se lo stato sionista continua con gli attacchi, la Siria penserà di lanciare missili o razzi al di là del territorio del Golan, per raggiungere lo stato sionista", ha previsto l'editorialista esperto in eventi bellici mediorientali Elijah Magnier.
Contrariamente a quanto se ne dice sui principali media, la lotta di Trump contro l'Iran ha ramificazioni geopolitiche assai più ampie che non l'inasprimento delle tensioni che esistono tra Iran e stato sionista. Nelle prossime settimane assisteremo senz'altro ad ulteriori casi di "conseguenze non volute" per gli USA.
Le implicazioni di più vasta portata dell'interpretazione sionista della "sintonia fra Trump e Netanyahu" su esposta -sempre che l'interpretazione sia corretta, e probabilmente lo è- implicano un mutamento strategico. Non è più l'Arte del Giungere a un Accordo a dettare la linea bellica, quella che implica uno scambio fra le parti e in ultima analisi un accordo negoziato.
Barnea e altri osservatori sionisti possono aver ragione: Netanyahu e i suoi falchi hanno spinto Trump un passo oltre. Adesso siamo all'Arte del Rovesciamento dei Governi, alla guerra di logoramento contro l'Iran. All'assedio medievale, detto altrimenti.
Non solo l'Iran, ma anche la Corea del Nord, la Russia e la Cina dovranno fare molta attenzione. Sembra che la volontà di Kim Jong Un di parlare di abbandono del nucleare con Trump abbia galvanizzato e in qualche modo legittimato l'entusiasmo di trump per uno stile basato sull'Arte del Giungere a un Accordo, per le minacce di ferro e fuoco e per la tattica del bastone e della carota. A quanto sembra Netanyahu è riuscito a far giungere alle narici di trump l'odore di un piatto succulento come il rovesciamento del governo iraniano e a indurlo a seguirne la scia fino alle sue zampe nella speranza di conseguire un grosso successo. Promettere tempeste di fuoco -Trump pare proprio sicuro- è una carta sicura per ottenere l'altrui capitolazione.
Il problema è che Trump può trovarsi ad aver costruito un castello di carte. E quali buone carte aveva in mano Trump, da convincere Kim Jong Un a sedersi al tavolo delle trattative? O al contrario è Kim Jong Un a intravedere in un incontro con Trump proprio il prezzo che è necessario e sufficiente pagare affinché la Cina gli copra le spalle nel caso l'accordo che scambia la denuclearizzazione con la deameriKKKanizzazione della regione non funzionasse, e per portare avanti una sua diplomazia per la riunificazione con una Corea del Sud che adesso per la prima volta si è detta disponibile senza stare a considerare i desideri ameriKKKani?
Trump è al corrente di questa possibilità? Alle spalle della Corea c'è la potenza cinese. La Cina è il principale, quasi l'unico, partner commerciale della Corea del Nord; di fatto controlla l'applicazione delle sanzioni stabilite. E la Cina ne ha man mano stretto le maglie. La Cina ha invocato a lungo e con insistenza dei colloqui fra Kim Jong Un e Washington: Xi vuole che il vicino rinunci al nucleare e si riappacifichi con il Sud. Kim sta assecondando i desideri della confinante potenza, ma non c'è dubbio che abbia chiesto alla Cina di coprirgli le spalle nel caso andasse tutto storto.
Il fatto che con l'Iran Trump abbia fatto un passo indietro sull'Arte del Giungere a un Accordo in favore dell'Arte del Rovesciamento dei Governi non è di buon auspicio per la strategia cinese nei confronti della Corea del Nord. Se Trump pretende che Kim Jong Un capitoli -e se non lo ottiene la Cina avrà poche altre scelte se non mettersi nel mezzo, per impedire che Trump si dia ad exploit a base di nasi sanguinanti o a tentativi di rovesciare il governo nordcoreano. La Cina non vuole che Kim capitoli, né che venga deposto; non ha alcuna intenzione di ritrovarsi con un satellite statunitense o con missili statunitensi alla frontiera.
Questo abbandono della negoziazione in favore di un approccio centrato sul rovesciamento dei governi può indurre Trump ad equivocare l'atteggiamento condiscendente di Kim Jong Un, con la "conseguenza indesiderata" di trovarsi a scoprire che la Cina sostiene Kim Jong Un, e non lui. Le ripercussioni possono essere di vasta portata.
Lo stato sionista, in maniera simile, per decenni è andato vaticinando il rovesciamento dello stato iraniano ad opera degli iraniani stessi, proprio come i funzionari sionisti hanno vaticinato a cadenza regolare la debolezza di Hezbollah e la disaffezione dei libanesi nei suoi confronti... fino alle elezioni libanesi di maggio.
L'economia iraniana è stata in un certo senso poco reattiva, questo va detto; ma non è per nulla debole e men che meno si trova in una spirale mortale come vanno sostenendo i mass media. Di sicuro esiste disoccupazione giovanile, ma la situazione è la stessa in gran parte d'Europa. Il 2018 inoltre non è il 2012; L'Iran non si troverà isolato finanziariamente o politicamente dopo l'editto di Trump. In concreto l'inizativa di ameriKKKani e sionisti stringerà ulteriormente l'alleanza dell'Iran con la Cina e con la Russia. L'Iran guarderà certamente ad est.
Per i russi il messaggio ameriKKKano non potrebbe essere più chiaro: USA e stato sionista vogliono tenere aperta la piaga siriana perché è una piaga in cui lo stato sionista può mettere il dito quando vuole, in primo luogo per negare al Presidente Putin il conseguimento di un qualunque successo in politica estera, ma anche per mantenere Damasco in condizioni di debolezza. E Trump vuole che il governo iraniano capitoli su tutta la linea, o venga rovesciato.
Con l'uscita statunitense dall'accordo sul nucleare iraniano e la consegna di Gerusalemme allo stato sionista, Putin si ritrova un Medio Oriente destabilizzato, conflittuale e fragile. Proprio quello che la Cina e la Russia non volevano. I percorsi della Siria, dell'Iran e della Russia si incrociano adesso fittamente. Ci possono essere delle divergenze, ma la Siria rappresenta la ragione del loro combattere insieme, da veri compagni d'armi; ed è anche la ragione per cui, in una prospettiva più ampia, si comportano di comune accordo come parte di un'alleanza militare e strategica con la Cina.
Siria, Iran e Russia costituiscono un'alleanza di fatto, il cui campo strategico propriamente inteso è il Medio Oriente nel suo complesso, sia che lo si consideri dal punto di vista dell'inziativa cinese sulle vie commerciali, o della corrispondente struttura Russa del blocco territoriale fondato sull'energia. Tutti hanno interesse a mantenerlo stabile, non a destabilizzarlo. Le due mosse di Trump, l'abbandono dell'accordo e la questione di Gerusalemme, sono come granate a frammentazione scagliate nella struttura degli interessi strategici russi e cinesi.
L'abbandono della negoziazione a favore di un approccio che punta al rovesciamento dei governi di cui Trump è adesso protagonista sottopone Mosca a minacce di un tipo differente. Di sicuro Putin è consapevole del fatto che lo "stato profondo" in USA vuole che la quinta colonna filoatlantista, la base di potere economico di cui dispone a Mosca, lo tolga dalla carica e che la Russia abbracci l'ordine mondiale a guida ameriKKKana.
Forse Putin ha pensato che in qualche modo Trump avrebbe avuto ragione della "guerra civile" interna all'amministrazione statunitense e avrebbe trovato il modo di proseguire sulla strada della distensione. Purtroppo i segnali che arrivano sono inequivocabili: nelle dichiarazioni della Difesa statunitense la Russia è passata da "competitore" a "potenza revisionista" a minaccia numero uno (anche più del terrorismo) e infine a minaccia di tale livello da richiedere l'aggiornamento dei sistemi missilistici statunitensi, il rinnovo della flotta di sommergibili nucleari e il rimaneggiamento dell'arsenale atomico. Da lì si è passati a una dottrina di utilizzo delle armi nucleari basata su condizioni, e ultimamente ad un passo ulteriore, il rovesciamento del governo.
Comprensibilmente, Putin intende evitare un conflitto militare con gli USA se appena fosse possibile; al tempo stesso però si rende condo del fatto che se non pone limiti precisi all'azione degli USA e di Netanyahu, arriverà il momento in cui i falchi statunitensi lo presagiranno debole, e la cosa li farà solo insistere ancora di più. Putin ha cercato di mediare fra stato sionista e Iran, ma l'ardore antiiraniano venato di ideologia redentrice professato da Pompeo e da Trump gli ha messo i bastoni fra le ruote. Nei confronti degli USA anche Putin deve dunque prepararsi al peggio, comunque evitando di inficiare anzitempo le condizioni che permetterebbero al suo collega Xi Jinping di condurre il complesso confronto con Washington in materia di traffici e tariffe e di Corea del Nord.
La "conseguenza indesiderata" più notevole sarà che Putin e Xi decideranno che il mutato atteggiamento di Trump ha segnato il momento di tracciare un limite invalicabile e di decidersi a farlo rispettare. Se si arriva a tanto, tutto cambia. Trump è in grado di capirlo?