Traduzione da Strategic Culture, 28 agosto 2018.

A quanto pare la leadership cinese è arrivata alla conclusione che l'amministrazione Trump è decisa a ricorrere a tutte le armi del proprio arsenale di pressione finanziaria per azzoppare una Cina considerata come una rivale e per rinvivire il proprio dominio mondiale. Xi sembra aver previsto una lunga guerra di posizione per il prossimo futuro: una guerra che si combatterà sul piano geopolitico (nelle schermaglie sul Mar Cinese meridionale, sulla Corea del Nord, su Taiwan e sulla politica cinese per le infrastrutture continentali) quanto sul piano economico. Se le cose stanno così, c'è il rischio concreto che le schermaglie diventino spontaneamente uno scontro militare, limitato e contenuto oppure no.
Nella sostanza, Xi ha ragione. Fino a poco tempo fa Washington concordava con l'assunto culturale occidentale sul progredire lineare della storia: questo significa che l'introduzione di un'economia basata sul libero mercato e di spirito occidentale avvenuta all'epoca di Deng Xiaoping costituiva parte di un inevitabile incamminarsi della Cina sulla via di libertà politiche ed economiche sempre più ampie. I cinesi, insomma, sarebbero diventati "come noi".
Poi a Washington DC sono arrivati al limite, e hanno deviato sul percorso di un modo molto diverso di intendere le cose. Questo perché le riforme economiche di stampo liberale introdotte in Cina sono state tutte tese a ripristinare l'antica supremazia eeconomica mondiale e l'antica potenza cinese, e non a "conferire maggior potere all'individuo" secondo il modo occidentale di pensare. In questo contesto, rimanere ossequiente e conforme all'ordine globale ha per la Cina un senso fintanto che così facendo resta sul percorso giusto per diventare la prima potenza mondiale nel 2049, in tempo per i cento anni del Partito Comunista Cinese.
Come succede in tutte le tardive conversioni sulla via di Damasco, le élite responsabili della politica estera statunitense si sono trasformate in ferventi propagandisti della litania sulla minaccia costituita dalla Cina. Sorge allora una domanda: che senso ha ormai per la Cina proseguire nella sua istintiva politica di evitare il confronto con gli USA, specie quando è risaputo che Trump mantiene alta la pressione senza mai arrendersi e raddoppiando continuamente la posta? Come può la Cina mantenere la propria posizione quietista se Trump mette pressione nel Mar Cinese meridionale o in Corea del Nord, o se decide di fare sua Taiwam come bandiera della democrazia? Xi non può.
Da parte sua, la Russia ha davanti un Presidente degli USA arroccato sulla difensiva: da sempre assertore delle buone relazioni con la Russia, si è trovato costretto a rinverdire le sue credenziali antirusse a causa della perdurante vulnerabilità all'atmosfera isterica del Russiagate, al punto che sta diventando più realista del re -più intransigente verso i russi di quanto non lo siano i russofobi veri e propri- e più neoconservatore dei neoconservatori. Con tornate di sanzioni contro la Russia già in calendario al Congresso -dove il Presidente degli USA ha capacità di intervento davvero minima per limitarne la concretizzazione- i russi si devono preparare a un lungo periodo di frizioni sul piano economico. La crisi ameriKKKana è talmente profonda che il Presidente Putin, proprio come chiunque altro, non può immaginarsi cosa ne potrebbe venir fuori.
Più o meno lo stesso vale per l'Europa, l'Iran, la Turchia, il Pakistan e il Venezuela. Sarà un periodo in cui gli USA si serviranno dell'intero arsenale di strumenti di pressione ai loro ordini per ripristinare la supremazia mondiale statunitense e per allineare tutti quanti alla loro agenda. Trump sta alzando il livello dello scontro, con l'apparente intenzione di ottenere per novembre la prima resa, o la prima faglia politica in cui fare leva. E se questo non dovesse succedere?
Il "mercato", con poche eccezioni, considera la prospettiva di una vittoria dell'AmeriKKKa nella guerra commerciale come cosa sicura. Gli USA sono il mercato di consumo più importante ed esserne allontanati con le brutte lede gli interessi dei partner commerciali degli USA; questo significa che i dazi che gli altri imporranno per rappresaglia non colpiranno gli esportatori statunitensi nella stessa misura. Nella maggior parte dei casi gli USA esportano meno verso l'estero.
Un paese come la Cina esporta negli USA merci per un valore almeno doppio rispetto a quelle che importa; gli Stati Uniti, nell'ottica della Casa Bianca, hanno in questo caso il coltello dalla parte del manico perché le possibilità di imporre dazi da parte degli USA sono il doppio rispetto a quelle cinesi. Inoltre gli Stati Uniti si avvalgono dell'egemonia del loro dollaro per la guerra valutaria; creano un dollaro artificialmente forte che indebolisce i mercati emergenti e al tempo stesso danneggia la loro possibilità di fare pressioni, in quanto il loro debito e gli interessi da pagare, che sono denominati in dollari statunitensi, diventano eccessivamente alti in rapporto alle loro valute.
Questa concezione del mercato inteso come guerra commerciale rispecchia in qualche modo lo spirito militare ameriKKKano. Gli Stati Uniti dispongono di gran lunga dell'apparato militare più grande; possono far fuori chiunque ad eccezione della Russia, di conseguenza si dà per scontato che chiunque sfidi gli Stati Uniti sia destinato a perdere. Gli Stati Uniti dunque possono iniziare una guerra -ed effettivamente lo fanno- facendo sfoggio di una navigata capacità di distruzione che prende a bastonate qualunque avversario. A quel punto però come proseguire? Sembra che l'apparato militare statunitense non disponga di alcuna risposta sul conto delle fasi successive: si impantana e si ritrova perdente a fronte di rappresaglie asimmetriche. La sua unica risposta sono le guerre a durata indefinita.
Alastair Macleod del Mises Institute pensa che sia sbagliato tenere un approccio tanto ottimista nei confronti del mercato.
 
Le considerazioni secondo cui la Cina si trova nei guai a causa dei dazi e che è indebolita da un dollaro forte sono prive di fondamento. Questo è un campo in cui domina la geopolitica. Gli occasionali successi degli Stati Uniti in attacchi contro il rublo e contro lo yuan non sono altro che effimere vittorie di Pirro. Gli Stati Uniti non stanno affatto vincendo la loro guerra valutaria contro la Cina e contro la Russia. La Cina non sta affatto rinunciando al suo obiettivo strategico di diventare, alleandosi con la Russia, la superpotenza del continente euroasiatico al di là della portata dell'egemonia statunitense.
 
La Russia e la Cina stanno giocando e stanno vincendo per il lungo periodo. Entrambe stanno sondando Washington, e continueranno a farlo fino a novembre, per vedere se, per dirla con le parole del portavoce di Putin, esiste "un qualche terreno comune, per cercare di capire se sia possibile trovarne uno e se la controparte ha l'intenzione di farlo." Anche Pechino sta cercando di appurare se Trump sia intenzionato ad arrivare a un compromesso di un qualche genere sugli accordi commerciali con la Repubblica popolare che gli permetta di salvare la faccia in considerazione delle elezioni di metà mandato di novembre, oppure no. Questo tentare di capire che aria tira non va considerato una prova di debolezza e neppure un segno di prossima capitolazione. Russia e Cina stanno semplicemente comportandosi secondo prassi diligente prima che gli eventi li costringano ad alzare il livello dello scontro e ad arrivare ad un punto in cui i rischi saranno più gravi.
Quello che si nota meno -perché non è cosa che si presti ad evidenze rumorose- è il fatto che i preparativi per questa prossima fase da qualche tempo a questa parte vengono messi in atto in misura sempre maggiore. Magari si tratta di piccoli passi, ma si tratta pur sempre di cose di grande significato perché le piattaforme necessarie a contrastare il bullismo finanziario statunitense vengono poste in opera a ritmi accelerati, soprattutto da quando Trump ha iniziato a sanzionare un il mondo intero.
La prima cosa da prendere in considerazione il vecchio adagio per cui ogni crisi rappresenta anche una opportunità. Le spacconate di Trump e le sanzioni contro tutto e tutti stanno provocando una risposta forte. Quando l'AmeriKKKa sanziona tutti, Cina e Russia hanno facilmente campo libero per spingere altri paesi verso l'abbandono del dollaro come valuta commerciale e verso l'adozione delle monete locali. E questo è proprio quello che sta succedendo. Nel mercato del greggio è quasi cosa fatta. L'arrivo dello Shanghai Futures Exchange ha simbolicamente segnato l'inizio della fine del mondo uscito da Bretton Woods, ed è verosimile che gli stati del Golfo si arrendano per forza di cose all'inevitabile.
I mercati vedono la vendita del debito pubblico statunitense (i buoni del tesoro USA) da parte della banca centrale della Repubblica Popolare Cinese come una spada di Damocle che la Cina tiene sul capo degli Stati Uniti; al tempo stesso però i mercati credono che la Cina non farà mai una cosa del genere perché abbasserebbe il valore del suo patrimonio. Sarebbe un gesto contrario agli interessi cinesi. Non ci si chiede mai, comunque, perché la Cina dovrebbe detenere titoli del genere, se gli Stati Uniti le impediscono di usare i dollari che possiede per acquistare titoli nominati in dollari.
La Cina è sempre stata attenta a non turbare i mercati; questo è un fatto. Può anche essere però, che i mercati non stiano correttamente interpretando la strategia cinese. Ci si potrebbe aspettare che l'unica risorsa della Cina sia quella di vendere i buoni del Tesoro statunitensi, come la Russia ha appena fatto. Come sempre però, questa sarebbe da parte dei mercati una considerazione di breve respiro sul conto delle possibilità di quel paese. La Cina invece sta tenendo presente una prospettiva di lungo periodo. Si ricordi cosa disse nel 2016 il maggiore generale Qiau Liang: "gli Stati Uniti hanno bisogno di un forte ritorno di capitali per sostenere la vita quotidiana degli ameriKKKani e per sostenere l'economia statunitense. Date le circostanze, [qualsiasi paese che] blocchi il ritorno di capitali negli Stati Uniti diventa nemico degli Stati Uniti. Si tratta di una cosa che dobbiamo capire molto bene... Per arginare efficacemente gli Stati Uniti gli altri paesi devono pensare di più a come interrompere il flusso di capitali alla volta degli Stati Uniti, quando formulano i loro piani strategici."
Quello che la Cina può fare e che sta effettivamente facendo con i titoli denominati in dollari è quello di utilizzarli in un'altra maniera rilevante. La Cina non li sta vendendo ma li sta usando, senza tanto chiasso, per sostenere i propri alleati fondamentali le cui valute periodicamente soffrono delle campagne di vendita orchestrate da Wall Street. Questo significa che la Cina sta silenziosamente sostenendo la Turchia e l'Iran, nel caso dell'Iran più che altro acquistandone il greggio. La Cina quindi sta silenziosamente mandando all'aria e indebolendo quel dollaro forte con cui Trump intenderebbe mettere all'angolo la Turchia e l'Iran. Si tratta di guerra finanziaria asimmetrica sul lungo periodo.
L'Iran, la Turchia e anche il Pakistan sono snodi fondamentali delle iniziative infrastrutturali cinesi; cosa ancora più importante, hanno un ruolo strategico significativo per la sicurezza nazionale della Cina. In Cina si nutre molta preoccupazione per i musulmani di stirpe turca, gli uiguri dello Xinjang, migliaia dei quali hanno già combattuto come jihadisti in Siria. La Cina non vuole che questi combattenti tornino in patria, né vuole che i musulmani si radicalizzino in Cina o nei paesi ai suoi confini occidentali.
In questo processo di radicalizzazione il Presidente Erdogan ha avuto un ruolo importante. I cinesi vogliono che smetta di stuzzicare le popolazioni etnicamente turche che vivono in Cina e nei paesi confinanti; in cambio la Cina si impegna a sostenere la lira turca. L'economia cinese sarebbe vulnerabile anche al blocco statunitense dello stretto di Malacca; per tamponare questo punto debole la Cina ha bisogno del Pakistan e del corridoio che arriva al porto di Gwadar. E l'Iran è assolutamente fondamentale per la sicurezza nazionale sia della Cina che della Russia.
Cina e Russia stanno silenziosamente realizzando una zona economica che attraversa l'Asia centrale e che non dipende dal dollaro, è equipaggiata per passare da una valuta all'altra ed è sostenuta dal credito, in opposizione ai tentativi ameriKKKani di mandarla in frantumi. La Russia, che ha già sganciato in ampia misura la propria economia dal dollaro, ha la specifica funzione di assicurarsi che l'Europa non cessi di essere un mercato per le merci cinesi a causa dell'imperversare di Trump, e che il proposito di Trump di riconquistare il predominio nel campo dell'energia continui a restare un pio desiderio.
Considerati nel loro insieme dal punto di vista quantitativo, si tratta di piccole mosse; esse rappresentano tuttavia una riduzione nel ricorso al dollaro al di fuori della sfera interna agli stati uniti qualitativamente significativa. L'ampiezza dell'area del dollaro al di fuori del territorio statunitense sta perdendo pezzi. L'importanza di un fatto come questo non dovrebbe essere trascurata: gli Stati Uniti possono contare sugli alti standard di vita che li caratterizzano perché possono acquistare beni a buon mercato e pagarli con dollari di carta che vanno ad aumentare il debito statunitense e che gli altri sono obbligati ad accettare perché commerciano ricorrendo alla valuta mondiale di riserva. Il livello di vita degli ameriKKKani è di fatto sostenuto dal resto del mondo.
Gli Stati Uniti possono permettersi di mantenere il proprio apparato militare soltanto perché, a differenza di qualsiasi altro paese, sforano il bilancio per sovvenzionare una forza di sproporzionata grandezza senza badare a spese; almeno fino ad oggi a colmare gli ammanchi di bilancio ci pensavano gli stranieri.
L'AmeriKKKa può permettersi di esercitare pressioni in campo finanziario proprio grazie al dollaro forte. Attenzione: non si tratta solo del risultato dei tassi mantenuti a livelli minimi dalla Fed; Trump ne è perfettamente consapevole: "Il denaro si sta riersando sul nostro amato DOLLARO come poche volte in passato," ha scritto Trump su Twitter il 16 agosto. E questo succede solo a causa della pressione finanziaria.
Con un dollaro forte le valute dei partner commerciali si deprezzano, mentre si impennano gli interessi e il valore dei capitali da essi dovuti. In questi casi il Fondo Monetario Internazionale li richiama all'ordine imponendo austerità e vendita del patrimonio nazionale. Il giochetto cui Russia e Cina intendono mettere fine è proprio questo. Russia e Cina hanno messo in piedi delle alternative alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale cui paesi come la Turchia possono ricorrere invece di doversi rassegnare a seguire le direttive del Fondo Monetario Internazionale.
Alasdair Mcleod nota la dicotomia che esiste fra la visione a breve termine di Trump e quella a lungo termine di Russia e Cina:
 
Al momento e probabilmente solo per i pochi mesi che mancano alle elezioni di metà mandato previste per novembre il Presidente Trump sta costringendo i suoi nemici a far fronte a difficoltà valutarie con le sue politiche commerciali aggressive che contemplano il ricorso alle sanzioni e l'utilizzo del dollaro come arma. Si tratta di un trucco che le varie amministrazioni statunitensi hanno usato per diverso tempo...
Le iniziative del Presidente Trump in campo commerciale... Stanno allontanando vari paesi dalla sfera di influenza degli Stati Uniti. Alla fine questo comportamento si rivelerà controproducente. Gli speculatori che contano sulla visione a breve termine di Trump e sulle politiche di normalizzazione della Fed al momento stanno facendo salire il valore del dollaro... Cosa che sembra destinata [nel più lungo periodo] a portare ad un suo crollo.
Il dollaro sta salendo solo grazie a considerazioni basate sul breve periodo e non è guidato dal nulla di più concreto della speculazione. Venuta meno questa, torneranno ad affermarsi le prospettive a lungo termine, che contemplano la crescita delle necessità di bilancio e i deficit commerciali... Oltre alla salita dei prezzi alimentata da una combinazione di precedente espansione monetaria e di tasse in più dovute ai dazi commerciali.
 
La prospettiva di lungo termine adottata da Russia e Cina può essere proprio questa oggi come oggi il dollaro forte e i timori in campo geopolitico stanno provocando una corsa al bene rifugio rappresentato dai titoli ameriKKKani facilmente smerciabili. La recente stima del fabbisogno statunitense ha incrementato il flusso di dollari rientranti grazie allo scudo fiscale previsto per il denaro liquido fatto rientrare dai conti esteri delle società. In questo momento gli Stati Uniti possono esercitare questa leva finanziaria e sembra che tutto vada bene: la borsa sale, gli agenti pensano che quella nella guerra commerciale sarà una vittoria facile e gli indicatori economici, a detta della Fed, "sono solidi".
Solo che Russia e Cina possono permettersi di attendere. I dollari che dall'estero "si riversano [in AmeriKKKa] come poche altre volte in precedenza" stanno sottraendo ossigeno, ovvero liquidità in dollari, un po' dappertutto. Finiranno presto per esaurirsi, o porteranno ad una contagiosa crisi del credito di cui l'Europa sarà verosimilmente la prima vittima e che sarà innescata proprio dal drenaggio di liquidità provocato per consentire a Trump di esercitare maggiore pressione.
A questo punto i rapporti di forza fra Stati uniti da una parte e Russia e Cina dall'altra si invertiranno e saranno queste ultime a poter fare pressione.