Traduzione da Strategic Culture, 11 marzo 2019.
 
 
Il 27 febbraio si è tenuto l'undicesimo e forse il più importante incontro fra il Presidente Putin e il Primo Ministro Netanyahu, scrive l'affidabile giornalista Elijah Magnier. "Il visitatore sionista si è sentito dire senza mezzi termini dal suo ospite che Mosca non ha alcun potere per chiedere all'Iran di andarsene o di far cessare il transito di armamenti diretti a Damasco. Mosca... ha [anche] fatto sapere a Tel Aviv che Damasco e decisa a rispondere a qualsiasi altro bombardamento e che la Russia non si considera coinvolta [ovvero non si considera parte in questo conflitto]".
L'ultima frase ha bisogno di qualche spiegazione in più. In questo momento stiamo entrando nella successiva fase della strategia sino-russa per il contenimento della politica statunitense che consiste nel disseminare disordini di ogni genere e nel versare aceto nelle piaghe aperte della regione. Cina e Russia non desiderano entrare in guerra contro gli Stati Uniti. Il presidente Putin ha detto in varie occasioni che se i russi venissero spinti sul baratro non avrebbero altra scelta che reagire, cosa le cui possibili conseguenze vanno oltre il prevedibile.
Insomma, le recenti guerre ameriKKKane hanno mostrato con chiarezza la miopia politica che le contraddistingue. Certo, dal punto di vista militare sono state altamente distruttive, ma non hanno certo conseguito gli attesi dividendi politici; anzi, le loro conseguenze politiche sono state più che altro l'erosione della credibilità statunitense e dell'attrattiva degli USA come modello degno di imitazione da parte del mondo. Da nessuna parte sta emergendo un Medio Oriente a immagine e somiglianza del modello ameriKKKano. 
I responsabili della politica estera di Trump non sono interventisti liberali vecchio stile che cercano di massacrare i tirannici mostri della regione e di promettere l'innesto dei valori ameriKKKani: questa specie di neoconservatori statunitensi, e la cosa forse non sorprende, si sono allineati al Partito Democratico e a quei leader europei desiderosi di assumere un atteggiamento considerato moralmente virtuoso che li metta in contrapposizione all'approccio mercanteggiante di Trump, postulato come amorale.
In ogni caso Bolton e gli altri appartengono a quella scuola neoconservatrice convinta che se si ha un potere o lo si usa uno si perde. Solo che non hanno voglia di dannarsi con tutte quelle ciance a base di democrazia e di libertà e, come Carl Schmitt, pensano che l'etica sia roba da teologi, non una cosa di cui devono occuparsi loro. Se gli Stati Uniti non possono più imporre direttamente al mondo determinati risultati politici corrispondenti ai loro dettami, la loro priorità deve essere quella di ricorrere ad ogni mezzo necessario per assicurarsi che nessun rivale politico possa affermarsi al punto di tenere loro testa. In altre parole, l'instabilità e le piaghe aperte diventano ottimi strumenti per impedire ai rivali di accumulare peso e posizioni sul piano politico. Insomma, se non si può dettar legge, si possono almeno mettere i bastoni tra le ruote a chi cerca di farlo.
In che modo tutto questo emerge nel messaggio del Presidente Putin a Netanyahu? Innanzitutto i due si sono incontrati quasi immediatamente dopo la visita a Tehran del presidente Assad. Questo vertice si è tenuto mentre crescono le pressioni sulla Siria da parte degli Stati Uniti e dell'Unione Europea per cercare di sminuire il successo siriano nella guerra di liberazione, pur sempre un successo, anche se conseguito con un sostanziale aiuto da parte degli alleati. L'obiettivo dichiarato è quello di subordinare la ricostruzione del paese ad una sua riconfigurazione politica secondo i desideri statunitensi ed europei.
Anche il vertice di Tehran si è tenuto per contrastare il ritorno degli effetti della inveterata mentalità che a Washington vuole che si arrivi ai ferri corti con l'Iran.
Il vertice di Tehran ha innanzitutto fatto proprio il principio per cui l'Iran rappresenta il principale interesse strategico della Siria e al tempo stesso la Siria rappresenta il principale interesse strategico dell'Iran.
La seconda questione in programma era il modo di organizzare la presa della deterrenza nel quadrante settentrionale del Medio Oriente in modo da arginare gli sforzi del signor Bolton per mandare all'aria la regione e tentare di indebolirli. Indebolendo al tempo stesso la Russia e la Cina, che ha grossi interessi nell'approvvigionamento di fonti di energia e nella viabilità di una sfera commerciale asiatica.
Il presidente Putin ha semplicemente illustrato a Netanyahu i principi di questo ipotetico piano di contenimento, ma lo stato sionista aveva già ricevuto da altri -da Sayyed Nasrallah e da informazioni filtrate da Damasco- lo stesso messaggio. In sostanza la Russia ha intenzione di non farsi coinvolgere da qualsiasi conflitto armato mediorientale; non intende farcisi trascinare. Mosca intende mantenere aperte le porte. I missili antiaerei S300 sono in Siria e sono pronti, ma a quanto sembra Mosca intende conservare una costruttiva ambiguità sulle regole di ingaggio cui questi sofisticati armamenti saranno soggetti.
Allo stesso tempo, la Siria e l'Iran hanno messo in chiaro che d'ora in poi reagiranno a qualsiasi attacco aereo sionista contro difese siriane "strategicamente significative". Sembra che in una prima fase la Siria reagirebbe verosimilmente lanciando missili contro il Golan occupato; nel caso lo stato sionista aumentasse la posta, a diventare bersaglio dei missili sarebbero obiettivi militari strategici all'interno del suo territorio. A fronte di un ulteriore escalation, la possibilità sarebbe quella di mettere in campo anche i missili iraniani e di Hezbollah.
Tanto per chiarire, l'Iran sta dicendo che i suoi consiglieri militari sono effettivamente ovunque in Siria laddove si trovano truppe siriane. Questo significa che qualsiasi attacco diretto contro le truppe siriane può essere considerato dall'Iran come un attacco contro il proprio personale.
Siria ed Iran stanno lavorando all'edificazione di un sistema di deterrenza complesso e differenziato caratterizzato da una "ambivalenza costruttiva" ad ogni livello. Ad un primo livello, la Russia ostenta una assoluta ambiguità sulle regole di ingaggio dei suoi missili S300 in Siria. Su un altro livello, la Siria si mostra ambigua, a seconda del grado dell'escalation sionista, sul dove opererà precisamente la sua ritorsione: solo il Golan o l'intero territorio dello Stato sionista? Infine Iran e Hezbollah si mostrano ambigui riguardo a un loro possibile coinvolgimento, dicendo che i loro consiglieri possono trovarsi in qualsiasi punto del territorio siriano.
Netanyahu è tornato dal suo incontro con Putin dicendo che nulla cambiava nella politica dello stato sionista sugli attacchi contro le forze iraniane in Siria; la stessa cosa che dice ogni volta. Questo, nonostante Putin avesse chiarito che la Russia non è in grado di costringere l'Iran ad andarsene facendo pressioni sul governo siriano. I siriani avevano ed hanno il diritto di scegliere i propri alleati strategici. Il primo ministro dello Stato sionista adesso è stato però formalmente avvertito del fatto che gli attacchi saranno suscettibili di reazioni in grado di impressionare brutalmente il suo pubblico, ad esempio con lanci missilistici diretti nel cuore del territorio dello Stato sionista. Netanyahu sa anche che i sistemi di difesa aerea siriani, anche con l'esclusione dell'intervento degli S300, sono altamente efficaci qualsiasi cosa ne dicano i commentatori dello Stato sionista. Netanyahu sa che le difese missilistiche dello Stato sionista, ovvero la Iron Dome e la David's Sling, non godono di molto credito presso l'esercito ameriKKKano.
Netanyahu azzarderà altri attacchi significativi contro la infrastruttura strategica siriana? Elijah Magnier cita alcune fonti ben informate: "Tutto dipende da come andranno le elezioni nello stato sionista. Se il primo ministro Netanyahu pensa di avere abbastanza possibilità di essere rieletto, non si azzarderà tanto presto a mettersi nuovamente a tu per tu con la Siria e con i suoi alleati. La battaglia verrà rinviata. Se invece crede che sarà sconfitto alle elezioni, ci sono molte possibilità che dia la parola alle armi. Uno scontro serio tra lo Stato sionista da una parte e la Siria e l'Iran dall'altra sarebbe motivo sufficiente per rinviare la consultazione. Netanyahu non ha molte scelte: o vince le elezioni e rimanda il processo per corruzione che pende sul suo capo, o finisce in galera".
Una tesi che può sembrare stringente, ma i calcoli su cui si posa potrebbero rivelarsi troppo miopi. È chiaro che il piano basato sulla deterrenza differenziate che Putin ha messo in chiaro, per come è stato formulato in Siria, ha uno scopo più ampio. Il linguaggio degli Stati Uniti e l'Europa stanno usando in questo momento indicato abbastanza chiaramente che il loro impegno militare in Siria è abbondantemente giunto al termine. Ma al tempo stesso, insieme all'abbandono di ulteriori operazioni militari nel paese, nell'amministrazione statunitense sta prendendo campo un ordine di idee rivolto verso un qualche genere di scontro con l'Iran.
Netanyahu ha sempre perorato rumorosamente quest'idea. Ma nello stato sionista non è noto come persona solita assumersi rischi dal punto di vista militare. In politica interna, il suo invocare lo "sfalciare l'erba palestinese" non è cosa che comporti rischi. Anche l'apparato militare e di sicurezza dello Stato sionista non hanno mai accarezzato la prospettiva di una guerra vera e propria contro l'Iran a meno che non la si faccia col pieno coinvolgimento statunitense. Per qualsiasi primo ministro dello Stato sionista sarebbe comunque molto rischioso scatenare una guerra totale in Medio Oriente senza essersi prima assicurato un solido consenso da parte del proprio apparato di sicurezza.
Il signor Bolton invece da lungo tempo invoca la guerra contro l'Iran, l'ho fatto per esempio nel suo editoriale pubblicato dal New York Times nel marzo 2015. Fino a poco tempo fa si dava per scontato che fosse Netanyahu a tirare per la giacca gli ameriKKKani per portarli in guerra contro l'Iran. Siamo sicuri che i ruoli non si siano invertiti? Siamo sicuri che non siano adesso John Bolton, Mike Pence e Pompeo a cercare non proprio la guerra, ma di mettere l'Iran sotto massima pressione in ogni campo con le sanzioni, fomentando insurrezioni antiiraniane tra le minoranze etniche presenti nel paese e con il costante punzecchiamento militare sionista, nella speranza che esso reagisca oltremisura e finisca nella trappola di Bolton che vorrebbe "trovarsi l'Iran proprio dove vuole lui"?
Le iniziative per la deterrenza servono proprio questo, servono a mettere un argine agli Stati Uniti. La faccenda è stata messa in piedi ricorrendo a ogni sorta di legami deliberatamente ambigui fra i diversi attori, per indicare che qualsiasi tentativo degli Stati Uniti di alimentare il caos nel Levante o in Iran che superi un certo limite non definito rischia di far piombare lo stato sionista che essi proteggono in una guerra regionale di più vasta portata e dalle conseguenze imprevedibili. Il problema non è tanto se Netanyahu è disposto a correre un rischio del genere, ma se Bolton è disposto a rischiare lo stato sionista.