I kababi sono aumentati di molto negli ultimi anni anche nelle città toscane, con nostra visibile soddisfazione. Tolti i pur importanti motivi ideologici e politici, questa soddisfazione è dovuta al ben più concreto fatto che, rispetto al fast food di tipo yankee l'offerta di questi locali -molti dei quali tenuti, a Firenze, da curdi, azeri e turchi- è, a parità di costi, molto più sana ed economica. Kebab e felafel sono meno elaborati, meno calorici, meno grassi di quanto non lo sia un pasto a base di patate strafritte e di hamburger grondanti salse a base di zucchero ed olio vegetale.
La cosa, ovviamente, non poteva non attirare l'attenzione dei Custodi dei Valori Occidentali, dove il termine "valori" va inteso nel suo unico significato di "introiti". Uno di questi Custodi -non un Custode di sommo grado: diciamo piuttosto un valletto- ha scimmiottato un'analoga iniziativa lucchese ed ha presentato in questi giorni in consiglio comunale una mozione che invita il sindaco "ad integrare il Regolamento Comunale per la disciplina e l'esercizio del commercio al dettaglio su aree private in sede fissa con il divieto espresso di autorizzare attività di preparazioni gastronomiche e vendita di kebab e similari".
Il pretesto -perché di pretesto si tratta- sarebbe il "depauperamento della tipicità degli esercizi di ristoro del centro di Firenze", insieme ad una molto presunta "incompatibilità con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio edilizio e storico-artistico nonché di conservazione ambientale del centro storico dovuta alla particolarità degli arredi e delle attrezzature necessarie a tale tipo di vendita e somministrazione". Voilà: l'ennesima ordinanza-leggina-grida fatta per rompere i coglioni a chi lavora sbarrerebbe il centro storico alle orde di binlàdeni mediorientali affamati di carne halal e lo restituirebbe alla trippa, al lampredotto ed alla bistecca. Sèh, come no. Detto in termini più realistici, in centro a Firenze deve esserci posto solo per i ricchi e per i locali dei ricchi, che la roba precotta dei grossisti la cucinano e la vendono a caro prezzo, con ordine, senza baccano e con tutto contato. Invece i kababi fanno fumo e fanno accodare la gente sul marciapiede, tutta roba che fa decrescere il "valore" delle case levando due palanche di tasca ai padroni dei palazzi e ai "professionisti dell'immobile", il cui mondo ideale è una sconfinata city londinese. Per non parlare delle catene planetarie del cibo spazzatura, stufe di subir la concorrenza dei Mahmoud e degli Ali qualunque, che continua imperterrita alla faccia dei fantastiliardi spesi in pubblicità irte di balle ed in nuovi punti vendita.
Naturalmente, la pensiamo anche questa volta in modo diametralmente opposto: la natura degli esercizi commerciali a Firenze è stata violentata da decenni dalle botteghe dei sarti più famosi -pardon, dagli stores dei brands a più alto valore aggiunto-, dalle banche -ce n'è una ad ogni angolo di strada- dai fast food e dai supermercati, senza che nessuno trovasse da ridire con la sola esclusione di qualche "idealista" prontamente sfottuto; il ritorno in massa dei kababi, dei minimarket, dei negozi etnici restituisce un pezzo di città all'utilizzo umano e lo sottrae -per altro in maniera più simbolica che effettiva- alla lobby dei politicanti ripulitori ed al loro elettorato.