Traduzione da Strategic Culture, 3 febbraio 2020.

Questa settimana è stato pubblicato l'"accordo del secolo" del Presidente Trump. Per lo più è stato considerato un mero progetto politico per le necessità sul piano interno, sue o di Netanyahu, oppure come un'operazione di stritolamento dei palestinesi, che potrebbe funzionare oppure no. Esiste tuttavia un'altra dimensione, implicita e appena in subordine, che sta dietro questi espliciti intenti politici.
C'è stato almeno uno storico statunitense che ha sostenuto che gli USA non sono uno stato nazionale come gli altri e che andrebbero considerati come i primi esponenti di un sistema, come potenza e civiltà al tempo stesso al pari di Roma, di Bisanzio e dell'Impero ottomano. Storicamente i primi esponenti di un sistema hanno sempre cercato di inculcare la loro specifica concezione della civiltà nelle lontane lande tributarie o limitrofe al loro potere. Questo significa che una concezione universalistica può anche caratterizzare un singolo stato, ma finisce giocoforza per dispiegarsi in tutto il mondo e a influenzare i nostri ineluttabili destini.
Non è difficile capire di cosa stiamo parlando, se quanto sopra si riferisce all'AmeriKKKa. Sul piano politico si tratta del libero mercato, del capitalismo liberale, dell'individualismo, della politica del laissez-faire. Se vi va, ci potete aggiungere anche la metafisica ebraico-cristiana. Per la maggioranza degli ameriKKKani l'aver vinto la Guerra Fredda, con la sconfitta e il crollo del comunismo, è stata una spettacolare conferma di quanto la loro concezione di civiltà fosse superiore. La sconfitta dell'URSS non è stata soltanto una sconfitta politica; per l'intero paradigma culturale ameriKKKano essa ha rappresentato un trionfo dalla portata più significativa: è stata una vittoria di civiltà.
Cosa c'entra tutto questo con quello che è successo il 28 gennaio nella Sala Est della Casa Bianca? Tutto questo ci permette di cogliere qualcosa di meno ovvio rispetto alla linea politica resa esplicita da quanto abbiamo visto. Qualcosa che è più una sensazione che non qualcosa di considerato in modo esplicito.
Questo perché il sionismo ebraico -come ha specificato Netanyahu la scorsa settimana- a parte il suo laicismo di facciata non è soltanto un costrutto politico: è anche, per così dire, un progetto veterotestamentario. Luarent Guyénot nota che quando si afferma che il sionismo ha un fondamento biblico, questo non implica necessariamente che esso sia religioso. Esso può servire come leitmotiv fondante anche per gli ebrei che religiosi non sono, come difatti succede. Per i sionisti laici, la Bibbia costituisce sì una "narrativa nazionale", ma anche una particolare visione della civiltà, a puntello di uno stato moderno (lo stato sionista).
Ben Gurion non era religioso; non era mai entrato in una sinagoga, mangiava maiale a colazione, eppure poteva affermare: "Io credo nella nostra superiorità morale e intellettuale, nella nostra capacità di fare da modello per la redenzione della razza umana. Dan Kurzman, nella sua biografia Ben Gurion, Prophet of Fire (1983) scrive che "[Ben Gurion] era una versione moderna di un Mosè, un Giosuè, un Isaia; era un messia che si sentiva destinato a creare uno stato ebraico esemplare, un 'lume sulle nazioni' che avrebbe aiutato la redenzione di tutto il genere umano". Questa è la visione universalistica essenziale (alla base di uno stato sovrano). Questa sottintesa e misconosciuta convinzione di essere un eletto, di costituire un esempio, chiaramente condiziona l'agire politico; ad esempio porta ad agire al di fuori delle leggi.
Ben Gurion non era un caso speciale da nessun punto di vista. Il suo inebriamento biblico era condiviso da quasi tutti i leader sionisti della sua generazione e di quella successiva. E lo stato sionista di oggi non è più laico come un tempo, ma sta retrocedendo allo iaveismo; si sta allontanando dall'apparato giuridico dello stato laico fondato dai sionisti per abbracciare la legge ebraica tradizionale così come viene rivelata nel Tanakh, il Vecchio Testamento dei cristiani. Implicitamente, quando Netanyahu dichiara tranquillamente che siccome lui è il "capo" non dovrebbe essere estromesso dal potere, torna a rifarsi alla tradizione ebraica piuttosto che alla normativa laica. Insomma, lo stato sionista sta diventando più biblico, non meno biblico.
Insomma, torniamo al 28 gennaio. Un portavoce dello stato sionista dice che Trump ha assicurato il destino dello stato sionista; e non sta solo lisciando il pelo al presidente USA. Sottolineare il concetto di "destino" singifica sottintendere questo retroterra nascosto: "Il sionismo non può essere un movimento nazionalista come gli altri," scrive Guyénot, "perché esso è in sintonia con il destino di Israele così come viene esplicitato nella Bibbia... Lo stato sionista, dunque, è una nazione molto particolare. E il fatto che esso non abbia alcuna intenzione di comportarsi come una nazione qualsiasi è sotto gli occhi di tutti. Il destino dello stato sionista è quello di essere un impero".
Un impero come lo si trova in Isaia, che descrive i tempi messianici come una Pax Judaica in cui "tutte le nazioni" pagheranno tributo "alla montagna di Yahvè, alla casa del dio di Giacobbe"; tempi in cui "la Legge verà da Sion e la parola di Yahvè da gerusalemme", e Yahvè "sarà giudice tra le nazioni e sarà arbitro tra molti popoli".
Proseguendo nella lettura, si trova: "le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli" (60:5); "Perché il popolo e il regno che non vorranno servirti periranno e le nazioni saranno tutte sterminate" (60:12); "Tu succhierai il latte dei popoli, succhierai le ricchezze dei re" (60:16); "Vi godrete i beni delle nazioni, trarrete vanto dalle loro ricchezze" (61:5-6). Tutto molto chiaro; non si tratta di comune nazionalismo.
Sono storicamente troppo criptiche, queste citazioni? Cosa c'entrano con quanto successo il 28 gennaio? C'entrano, e parecchio. L'idea di essere degli eletti, di avere una missione e un destino eccezionali vengono intesi alla lettera da molti ameriKKKani, proprio come dagli ebrei. Per quanto riguarda il 28 gennaio alla luce di questo concetto e di questa condizione di implicita superiorità, diventa chiaro che l'"accordo" di Trump non riguarda certo una soluzione basata su due stati. Perché mai Trump dovrebbe incoraggiare l'affermarsi di uno stato rivale, o se è per questo di qualsiasi cosa che si metterebbe di traverso al cammino che porterebbe lo stato sionista a diventare la potenza-civiltà dominante in Medio Oriente? Il 28 gennaio si è trattato innanzitutto di mettere all'angolo i palestinesi, per costringerli a interiorizzare il fatto che non hanno altra alternativa che offrire la loro lealtà al "leader di sistema" regionale, che è lo stato sionista. Secondariamente, come fase due, dovranno conformare il loro comportamento a quello di entità sunnite subordinate sotto l'ombrello della Pax Judaica regionale.
Certe vecchie profezie possono anche non occupare il posto più importante nella coscienza quotidiana di molti contemporanei, ma sono vive e presenti nel mondo ebraico. E sono ben presenti anche in un settore fondamentale dell'elettorato statunitense: la base evangelica di Trump. E un ameriKKKano su quattro si dice evangelico. Essi considerano la concretizzazione del destino di Israele una necessità escatologica; sono stati loro a insistere perché l'ambasciata statunitense venisse trasferita a Gerusalemme, sono stati loro a sostenere le affermazioni di Trump sulla sovranità dello stato sionista sul Golan, sono loro che sostengono l'annessione allo stato sionista degli insediamenti dei coloni, ci sono loro dietro il ritiro degli USA dagli accordi sul nucleare iraniano. Non è verosimile che gli evangelici votino per i democratici, ma se si limitano a stare con le mani in mano e non votano per Trump, questo potrebbe far pensare ad un mutamento degli equilibri elettorali per le elezioni presidenziali di novembre.
Gli avvenimenti del 28 gennaio hanno fatto felici gli evangelici, sicuramente. L'impero civilizzatore di Israele, pensano, adesso è al sicuro almeno tra la riva destra del Giordano e il mare. L'avverarsi di queste profezie, per questi cristiani sionisti, significa che l'avvento del Redentore si avvicina.
Questa idea di trovarsi in una condizione privilegiata ci aiuta a comprendere un paradigma più ampio, centrato sull'espressione "ebraico-cristiano". I capi dell'AmeriKKKa di oggi tendono sempre più a riferirsi agli USA come a una realtà dalla cultura ebraico-cristiana. L'espressione potrebbe non essere uno ossimoro: la cristianità non era forse intesa come una cesura fondamentale con la legge letterale dell'ebraismo? San Paolo ha proclamato che la cristianità questo era, e non altro. Il punto è questo: autoclassificarsi ebraico-cristiani implica un quale sottile cambiamento, implica un inconscio ebraicizzarsi di alcune élite ameriKKKane? Che direzione sta prendendo la nostra visione culturale fondante? All'inizio, ai tempi in cui il sionismo aveva un orientamento a maggioranza laico, lo stato sionista è stato visto come un avamposto avanzato dei valori cristiani occidentali. Gli eventi del 28 gennaio fanno pensare che il percorso di questi valori possa aver preso la direzione contraria.
Come mai tutto questo armamentario ebraico-cristiano? Cosa sta succedendo? Dopo la caduta di Roma, attorno all'800, i vertici  della chiesa franca si rivolsero proprio al Vecchio Testamento e ne fecero la base per la legittimazione della guerra culturale contro la cristianità ortodossa orientale, spregiativamente indicata come "greca" e chiaramente connotata da un paganesimo di sapore orientale e dall'apostasia. Fecero abbondante affidamento sui testi veterotestamentari anche per regnare Dei Gratia; la sovranità aveva origine divina tanto per i papi quanto per gli imperatori come Carlo Magno, che pretendevano dai sudditi fedeltà e disciplina senza riserve. Il rifarsi dei franchi alla ebraico-cristianità fu il fondamento del feudalesimo europeo, portò alla distruzione dei Catari intesa come punizione esemplare per la scarsa disciplina, e vide l'imposizione del suo modello di civiltà in Medio Oriente, tramite crociate che erano operazioni militari. La cristianità occidentale era imbevuta di tradizione testuale ebraica, all'epoca. E tornò vieppiù ad esserlo con l'affermarsi del protestantesimo. La cristianità ortodossa, la cristianità orientale, invece non lo era. Le due chiese si erano divise in modo inconciliabile con il grande scisma del 1054.
Ecco dunque. L'ottica di civiltà dello stato sionista può non essere identica a quella ameriKKKana, ma le storie degli archetipi culturali ameriKKKani, come l'Abramo cui viene ordinato di sacrificare il figlio, vengono dalla bibbia degli ebrei. L'esercizio del potere da parte dell'AmeriKKKa non è mai stato, per così dire, più ispirato ai Franchi di quanto non lo sia oggi. E l'esercizio di questo potere viene giustificato ricorrendo in modo sempre maggiore al vocabolario dello stato sionista, come nel caso dell'assassinio mirato di Qassem Soleimani.
Il messaggio essenziale degli avvenimenti del 28 gennaio è questo: quando la destra ameriKKKana (come Steve Bannon) parla senza sosta del bisogno di sostenere il retaggio ebraico-cristiano dell'AmeriKKKa, quasi sicuramente lo fanno perché vedrebbero un piano sionista per la diffusione della Pax Judaica in Medio Oriente come una brillante vittoria di civiltà anche per l'AmeriKKKa. Trump può anche non essere pronto a scendere in guerra per lo stato sionista, ma sono in diversi nell'ambiente a considerare vitale per l'AmeriKKKa un'altra vittoria nello scontro di civiltà.
Esserne consapevoli offre forse un altro punto di vantaggio nella comprensione della politica contemporanea. Perché gli evangelici ameriKKKani sono tanto ostili verso l'Iran? perché l'Iran rappresenta l'ostacolo più grande alla egemonica Pax Judaica dello stato sionista. Più che altro, la sconfitta o il crollo della Repubblica Islamica rappresenterebbero per l'AmeriKKKa e per lo stato sionista una vittoria di civiltà quasi a pari con la vittoria dell'AmeriKKKa nella guerra fredda contro il comunismo? Ritirarsi dall'accordo sul nucleare iraniano ha a che fare con questo, almeno per gli evangelici? Si tratta di un passo verso un'AmeriKKKa nuovamente vincente, per il mantenimento di una supremazia di sistema connotata in senso ebraico-cristiano?