Traduzione da Strategic Culture, 17 febbraio 2020.
 
Si pensi all'esempio della Giordania o del Libano: due paesi con un modello economico a pezzi. Il Libano finanzia il proprio considerevole deficit con le rimesse degli immigrati. La Giordania ha un disavanzo del 6% sul PIL che fino ad oggi è stato ripianato da prebende versate ogni anno dai paesi del Golfo e dagli USA. Il contributo della UE è relativamente piccolo. Questi flussi provenienti dall'esterno sono ormai agli sgoccioli, o stanno per arrivarci: il basso prezzo del greggio sta svenando le finanze dei paesi del Golfo, e alcuni di essi non hanno più intenzione di finanziare a pioggia il deficit giordano. Si limiteranno a offrire prestiti per motivi di affari.
Che fare, a chi rivolgersi per avere d'ora in poi protezione e finanziamenti visto che è assai improbabile che si arrivi all'autosufficienza? Non è un problema semplice. Le riforme radicali autentiche sono considerate essenziali da tutti, ma vengono bloccate nella pratica da qualche élite o da qualche leader settario. Di qui la tentazione di fare quello che si è sempre fatto: cercare il modo di barcamenarsi e di battere cassa fra i diversi schieramenti politici.
Tutto questo non tiene conto di un dato essenziale: la linea politica di Trump e il suo mai celato disprezzo per la "aurea mediocritas liberale" non lasciano alcuno spazio al barcamenarsi dei paesi del Medio Oriente. Trump polarizza di proposito ogni questione, lasciando solo due possibilità opposte.
L'effetto complessivo dei metodi di Trump -cui si accompagnano pressioni fortissime- nel contesto di decenni di sostegno statunitense all'egemonia securitaria dello stato sionista può arrivare alla fine. Può finire non -per così dire- con una giungla, ma con un vasto deserto in cui i pochi mezzi di produzione indipendenti della regione vengono devastati da guerre incessanti e in cui imperano la guerra finanziaria e sanzioni feroci e ubique. Gli ulivi di Idlib in Siria, un tempo produttivi, sono ridotti a dei ceppi. I terreni agricoli di al Hasakah sono in rovina. E questi non sono che due esempi.
Insomma, stiamo portando avanti un modello economico al collasso. Un modello economico che è al collasso non solo per la Giordania e per il Libano, che devono già vedersela con questa prospettiva, ma anche per i ricchi stati del Golfo. Senza l'adozione di riforme sostanziali, che saranno verosimilmente bloccate da questa o da quella élite corrotta, i più ricchi paesi del Medio Oriente potrebbero toccare il fondo della cassa fra il 2027 e il 2034 perché secondo le proiezioni pubblicate questo mese dal Fondo Monetario Internazionale la regione si sta indebitando. In capo ad altri dieci anni, sempre secondo la stessa fonte, finirebbero anche tutti i proventi non derivati dal petrolio. E in questo quadro si verrebbe a trovare una popolazione giovane in sovrannumero, disoccupata, incattivita e pronta a esplodere.   
Ed ecco un'altra aurea mediocritas liberale mandata in fumo da Trump, tratta dal quotidiano dello stato sionista Haaretz. Joathan Tobin rimarca che il problema che la lobby filosionista AIPAC deve affrontare è dato semplicemente dal fatto che il clima politico non è più favorevole al modo in cui essa ha portato avanti le proprie istanze negli ultimi decenni. Secondo l'articolo, all'inizio era facile per l'AIPAC comportarsi come un ombrello in grado di coprire i sostenitori dello stato sionista, che fossero di destra, di sinistra o di centro; avevano un'agenda comune che contemplava il sostegno al governo dello stato sionista e la sicurezza dello stato ebraico.
Il primo ostacolo al mantenimento di un atteggiamento bipartisan almeno di facciata da parte dell'AIPAC sta nel fatto che l'amministrazione Trump ha concesso allo stato sionista e ai suoi sostenitori ameriKKKani più o meno tutto quello che essi erano andati chiedendo alla Casa Bianca nel corso degli ultimi quarant'anni. Il ritiro di Trump dall'accordo per il nucleare iraniano lo ha messo in sintonia con la battaglia senza esclusione di colpi che la lobby sta conducendo per affossare il concretizzarsi della politica estera di Barack Obama.
Col riconoscimento di Trump di Gerusalemme come capitale dello stato sionista e il suo sostegno per la sovranità sulle alture del Golan, con la pretesa che l'Autorità Palestinese smetta di sovvenzionare i terroristi e le loro famiglie, uniti a un piano di pace fortemente sbilanciato in favore dello stato ebraico, i democratici non hanno più alcuna agibilità politica per contendere a Trump il titolo di "amico di Israele".
Peggio ancora, non esiste alcuna mezza misura per il Partito Democratico, e neppure per la diaspora "democratica" araba mediorientale. Come spiega Max Blumenthal in una conversazione con Robert Scheer, la macchina della Clinton farà di tutto per fermare Bernie Sanders (il titolo dell'intervista si concentra sulla svolta a destra dei democratici clintoniani e sulla politica dello stato sionista). La discussione si centra poi si Bernie Sanders, che potrebbe diventare il primo presidente ebreo degli Stati Uniti se la macchina del partito non riuscirà a distruggerlo prima, come insinua Blumenthal. I mercati finanziari sembrano pensare che Sanders possa vincere la nomination solo per essere sconfitto a novembre da Trump. Cosa che agli investitori del mercato statunitense andrebbe bene.
Riguardo allo stato sionista "Mi sembra [che ci sia] una vera contraddizione [nel] Partito Democratico, di cui siete almeno un po' consapevoli," disce Scheer. "Donald Trump suscita molta repulsione. E molti democratici davvero non amano [Il primo ministro dello stato sionista Benjamin] Netanyahu. Ora, i sondaggi mostrano che gli ebrei sono, e lo sapete, aperti alla questione palestinesi come qualsiasi altro settore dell'elettorato. Bernie Sanders, che è l'unico candidato ebreo, è l'unico che ha osato parlare dei palestinesi, dire che anche loro sono degli esseri umani e che hanno dei diritti. Per questo lo hanno attaccato come attaccano te [Blumenthal], dicendo che è un ebreo che odia se stesso.
Insomma, sperare che dopo il 2020 ci possa essere un presidente democratico più accomodante può rivelarsi un pio desiderio. In concreto è verosimile che Sanders venga fermato prima della nomination o magari sconfitto dopo, alle elezioni. In un modo o nell'altro, l'"accordo del secolo" resterà in vigore.
E questo è il punto. Di concerto con Jared Kushner, Netanyahu ha tolto di mezzo, un pezzetto per volta, la prospettiva di una soluzione basata su due stati. E lo ha fatto ponendo condizioni che erano fatte apposta per non poter essere rispettate. Inoltre ha tolto la terra sotto i piedi ai "moderati" della regione, dimostrando che il "processo di pace" di Oslo poteva essere strozzato senza che lo stato sionista avesse a patirne qualche sofferenza. L'"accordo del secolo" ha potuto essere lanciato nel silenzio della comunità internazionale, si è potuta trasferire l'ambasciata USA a Gerusalemme senza che nessuno reagisse, Gerusalemme è "diventata" la capitale indivisa dello stato sionista, e il Golan è stato assegnato allo stato sionista. Tutto, senza incorrere in alcuno di quei detrimenti che a detta dei "moderati" mediorientali e dello stato sionista ne sarebbero stati conseguenza. Anzi, contrariamente alle aspettative dei moderati, che vaticinavano l'isolamento per lo stato sionista, in occasione del recente vertice sull'olocausto i leader mondiali si sono riversati a Gerusalemme.
Torniamo alla Giordania. Dopo la polarizzazione radicale verso lo stato sionista operata da Trump il clima politico per l'AIPAC "non è più quello favorevole in cui la lobby ha perseguito i propri scopi per molti decenni"; lo stesso vale per la Giordania, e per la stessa ragione.
Una volta che sarà avvenuta l'annessione della valle del Giordano, ed è probabile che non ci vorrà molto, la Giordania per lo stato sionista perderà importanza; conterà solo come discarica per i profughi palestinesi. La CIA, già ben inserita nei servizi di intelligence giordani, si adopererà per favorire gli interessi dello stato sionista. Il resto è scritto: al Libano verrà ordinato di assimilare la popolazione palestinese concedendole pieni diritti, cosa che sta già verificandosi, ed è probabile che poi toccherà alla Giordania.
Di questi tempi è entrato nell'uso dire che la Giordania si trova fra l'incudine e il martello. Anche un'espressione tanto scoraggiante implica la possibilità di scegliere tra l'uno e l'altro, cosa che invece la Giordania non può fare. Cosa può offrire la Giordania al Golfo, oltre al fatto di essere una monarchia e somigliare in questo alle altre monarchie regionali? Le future entrate della Giordania sarebbero assicurate da un atteggiamento maggiormente ostile verso l'Iran? Sarà, ma intanto l'Arabia Saudita ha già tagliato gli stanziamenti per la Giordania, e gli altri paesi del Golfo se la stanno vedendo con ristrettezze finanziarie proprie. Il cespite principale consiste nell'esasperare ulteriormente le minacce di re Abdallah contro l'asse sciita, ma questo potrebbe solo complicare i rapporti economici del regno con i propri vicini, che con l'Iran hanno rapporti migliori della Giordania.
Non si tratta di accanirsi contro la Giordania o contro il Libano. Trump sta deliberatamente facendo piazza pulita della mediocritas liberale e con questo vuol fare emergere nude e crude le dinamiche fondamentali e la distribuzione del potere fra le parti. In breve, vuole ridurre qualsiasi negoziato a un aut aut: o fai come dico io, o ti distruggo finanziariamente. Sono i sistemi dell'immobiliare newyorkese. Quando un inquilino si mette di mezzo a una grossa operazione, gli si toglie la terra di sotto i piedi. Gli si stacca la corrente, gli si chiude l'acqua, e alla fine gli si infesta di topi ogni cosa. L'alternativa è questa: o ti togli dai piedi, o se rimani ti rendo la vita impossibile.
I palestinesi hanno il ruolo dell'inquilino sgradito, secondo quelli di Kushner; che si trovino una sistemazione da qualche altra parte, in Giordania o in Libano. Insistere imperterriti sulla prospettiva ormai svaporata dei due stati o intraprendere qualsiasi altra iniziativa non aiuterà certo i giordani a evitare certe proposte di compromesso. L'essenza degli aut aut è questa.
Su questo non c'è dubbio. La politica degli aut aut cui Trump ricorre in Medio Oriente costituisce una profonda minaccia per i paesi arabi. Alcuni di essi potrebbero non sopravvivere intatti a questo periodo. Tra l'altro il redattore del quotidiano libanese al Akhbar Ibrahim al Amine ha scritto l'11 febbraio: "Sembra che gli ameriKKKani abbiano deciso di far crollare il Libano, e che i sauditi abbiano fatto propria la stessa idea... [e] per il resto degli attori regionali, sembra si voglia lasciarli in condizioni di grande confusione...".
Oggi come oggi potrebbe non apparire tanto chiara, ma la natura di questa minaccia si paleserà presto. Gli ameriKKKani non le capiscono, le conseguenze del creare una base di disperati, di disoccupati e di orientati al radicalismo in tutto il Medio oriente? Qualcuno le capisce, non sono mica stupidi. Per chi non le vuole capire, politica significa semplicemente procedere all'operazione a lungo termine che consiste nella fondazione della Grande Israele. Come ha detto il romanziere ameriKKKano Upton Sinclair a quanti si mostrano coscienti, "è [comunque] difficile portare un uomo alla consapevolezza, quando il suo stipendio dipende proprio dal non essere consapevole".