Fine di aprile 2008. Air France, abituata ad avere a che fare con persone ed organizzazioni dotate di un minimo di serietà, ha fatto venire meno il proprio interesse per la decotta compagnia di bandiera legata allo stato che occupa la penisola italiana.
Pare che Alitalia sia riuscita a farsi letteralmente odiare dal suo stesso target e che la farandola di "privatizzazioni" aeroportuali e dei servizi a terra che ha preceduto ed accompagnato il successo delle compagnie low cost abbia aggiunto danno a danno unendo, come di prammatica ma guai a dirlo o a scriverlo, un aumento dei costi ad un peggioramento della qualità dei servizi forniti. Tutta roba ampiamente prevedibile stanti i precedenti in altri settori.
Ma Roma non fu distrutta in un giorno e ci vuole il suo bel po' di tempo anche per distruggere una compagnia aerea: tra i primissimi segnali che forse c'era qualcosa di strano in Alitalia si deve ricordare che per un certo periodo, alla metà degli anni Ottanta del passato secolo, trasportare persone deve essere stato l'ultimo tra gli obiettivi aziendali. Secondo il management -anzi, il mannaggiament- di Alitalia, nel 1988 uno mica prendeva l'aereo per andare a Baires o a New York: lo prendeva per comprare un profumo o un foulard. Una convinzione folle, come d'altronde era fatto di follia -a cominciare dagli sprechi- il clima di quegli anni, ma che portò all'eliminazione di decine di posti sulle tratte intercontinentali, sostituiti da boutiques dei più pagati sarti -pardon, degli stilisti più innovatori- presenti nella penisola.
Il resto lo hanno fatto vent'anni di interessi lobbystici, di manager strapagati, di esternalizzazioni opinabili, di peones retribuiti a pacche sulle spalle e di cecità completa su un settore in piena rivoluzione.
Atterrando a Tashkent, il viaggiatore rimane piuttosto colpito dai molti Il-76 fermi ma tenuti con ogni cura; le linee aeree uzbeke usano altri velivoli, di solito Tupolev e Antonov, ed hanno tolto dall'uso i trasporti buoni ad atterrare anche sulle pietraie, per il resto così diffusi sulle rotte meno battute.
Atterrando a Malpensa o a Fiumicino, il viaggiatore rimane invece colpito dai pochi aerei Alitalia che vede, con livree desuete, ali grigio depressione e dall'aria di vecchio anche se appena entrati in servizio. Perfino una compagnia aerea dell'Asia centrale, in un aeroporto che serve una ventina di voli al giorno, dà una miglior impressione di efficienza e di voglia di ben fare. Un'efficienza basata sul lavoro concreto, che riguarda appunto il trasportare le persone, e non le livree firmate delle hostess. L'ossessione per il design e per il gadget di marca è un particolare rivelatore ed è buona misura della visione economica e sociopolitica peninsulare, che ha metodicamente distrutto o sminuito le industrie serie di cui disponeva, a cominciare da quella chimica, pensando di poterle sostituire con i lustrini e le paillettes.
Il servizio a bordo? Su AirlineMeals.net c'è una recensione, firmata da Csaba e riguardante un volo Budapest - Milano del settembre 2005, che circa la magra colazione passata in classe economica sugli MD80 parla chiaro: "E questa sarebbe una colazione? E' la peggiore che mi sia mai capitata su un aereo ed il personale era molto maleducato e privo di professionalità. Il succo di frutta era buono [meno male, N.d.R.]". Ad ogni poeta manca un verso. Il problema è che non si tratta di una recensione isolata e non è meppure la più negativa.
Anche l'agonia di Alitalia ha le sue pagine farsesche; Air France chiude la porta dopo che la vicenda era divenuta terreno di scontro elettorale; adesso il cerino è finalmente in mano a colui che tutto promette e che tutto vince, chiamato alla prova di chiudere la vicenda evitando per lo meno il consueto ridicolo.