Nel luglio 2008 "Repubblica" dà ogni giorno spazio ad oziosi "sondaggi" cui tale Ilvo Diamanti fornisce lungo e lacrimoso commento. Da questi "sondaggi" risulta un unico dato interessante: l'allarmismo e la malafede giornalaie sono finalmente riuscite, dopo un decennio di menzogne e di falsità ammannite quotidianamente ai sudditi in una misura mai vista nei trent'anni precedenti, a creare proprio quel clima di allarme sociale e di paura ubiqua che permettono ai professionisti della ciancia e ai politicanti in cravatta di campare praticamente di rendita e di derubricare a crimine qualunque comportamento e qualunque fenomeno sociale non comporti il passaggio di denaro da chi lavora a chi vende fumo.
Il brano che segue è tratto da
Incontri con uomini straordinari, scritto da George Ivanovic Gurdjieff ed uscito postumo nel 1960. Gudjieff lo attribuisce ad un "vecchio letterato persiano" che lo avrebbe pronunciato in Persia ai tempi della sua giovinezza. Il contesto cui si fa riferimento, quindi, è quello russo-persiano dell'inizio del XX secolo. Lasciamo al lettore il compito di trarre conclusioni, ferma restando l'ingenuità dell'autore originale, secondo il quale tra "giornalismo" e "detentori di potere" esisterebbe competizione.


Le esigenze della civiltà contemporanea hanno generato un’altra forma molto specifica di letteratura, che viene chiamata giornalismo.
Non posso passare sotto silenzio questa nuova forma letteraria, perché, a parte il fatto che non porta assolutamente nulla di buono per lo sviluppo dell’intelligenza, essa è diventata, a mio avviso, il male dei nostri tempi, nel senso che esercita un’influenza funesta sui rapporti umani. Questo genere di letteratura si è molto diffuso negli ultimi tempi perché — ne sono fermamente convinto — esso corrisponde meglio di ogni altro alle debolezze e alle esigenze determinate negli uomini dalla loro crescente mancanza di volontà. Finisce così per atrofizzare la loro ultima possibilità di acquisire i dati che permettevano loro, finora, di prendere più o meno cura della loro reale individualità - unico mezzo per raggiungere il ricordo di sé, fattore assolutamente indispensabile per il processo di perfezionamento di sé.
Inoltre, questa letteratura quotidiana, priva di princìpi, isola completamente il pensiero degli uomini dalla loro individualità, di modo che la coscienza morale, che di tanto in tanto ancora appariva in loro, adesso ha cessato di partecipare al loro pensiero. E sono ormai privati dei dati che fino a quel momento avevano assicurato loro un’esistenza più o meno sopportabile, non fosse che nel campo dei rapporti personali.
Per sfortuna di noi tutti questo genere di letteratura, che invade ogni anno di più la vita quotidiana degli uomini, fa subire alla loro intelligenza, già molto indebolita, un indebolimento ulteriore, consegnandola inerme a ogni genere di inganni e di errori; essa li mette fuori strada a ogni passo, li distoglie da qualsiasi modo di pensare più o meno fondato e, invece di un giudizio sano, stimola e fissa in loro alcune tendenze indegne, quali: incredulità, ribellione, paura, falso pudore, dissimulazione, orgoglio, e così via.
Per dipingervi in modo sommario tutto il male fatto all’uomo da questa nuova forma di letteratura, vi racconterò alcuni avvenimenti provocati dalla lettura dei giornali: non ho motivo di dubitare della loro veridicità, poiché il caso ha voluto che vi partecipassi.
A Teheran, un mio amico intimo, un armeno, morendo, mi aveva designato come suo esecutore testamentario.
Egli aveva un figlio, già di una certa età, costretto dai suoi affari a vivere con una numerosa famiglia in una grande città europea.
Ora, all’indomani di un pranzo fatale, li trovarono tutti morti, lui e tutti i membri della sua famiglia. Nella mia qualità di esecutore testamentario, dovetti subito recarmi sul luogo della terribile disgrazia.
Venni a sapere che, i giorni precedenti, il padre di questa sfortunata famiglia aveva seguito, su uno dei quotidiani ai quali era abbonato, un lungo servizio su un salumificio modello, in cui venivano preparate, in condizioni igieniche eccellenti, delle salsicce fatte, così si diceva, con prodotti garantiti genuini.
Inoltre, egli non poteva aprire né questo giornale né nessun altro, senza imbattersi in inserzioni che raccomandavano questo nuovo salumificio.
In breve la tentazione divenne irresistibile e, benché le salsicce non piacessero molto — né a lui né d’altronde ad alcuno dei suoi familiari, perché essi erano cresciuti in Armenia, dove non si mangiano salumi —, non poté fare a meno di comprarne. La sera stessa le mangiarono per cena, e furono tutti avvelenati.
Colpito da questo avvenimento straordinario, riuscii in seguito, con l’aiuto di un agente della polizia segreta, a scoprire quanto segue.
Una ditta molto importante aveva comprato a basso prezzo un enorme quantitativo di salsicce destinate all’estero che però, in seguito a un ritardo nella spedizione, era stato respinto. Per sbarazzarsi al più presto dell’intera partita, la ditta in questione non aveva lesinato il denaro ai giornalisti ai quali aveva affidato questa malefica campagna pubblicitaria sui giornali.
Altro esempio: durante uno dei miei soggiorni a Baku, lessi io stesso, per vari giorni di seguito, sui giornali locali che mio nipote riceveva, lunghi articoli le cui colonne occupavano più della metà del giornale, dove si facevano i più sperticati elogi a un’attrice e alle sue prodezze con dovizia di particolari.
Si parlava di lei con tanta insistenza e in termini così esaltati che perfino io, uomo vecchio, mi infiammai, e una sera, lasciando da parte tutti i miei affari e rinunciando alle mie abitudini, andai a teatro per vedere la stella.
E che cosa credete che abbia visto?... Qualcosa che corrispondesse almeno un po’ a ciò che si scriveva su di lei in quegli articoli che riempivano metà del giornale?...
Nulla di simile.
Nel corso della mia vita, avevo incontrato numerosi rappresentanti di quest’arte, alcuni buoni, altri pessimi, e posso dire senza esagerazione che già da molto tempo venivo considerato un conoscitore in materia.
Ora, senza neppure tener conto delle mie concezioni personali sull’arte, ma considerando semplicemente la cosa da un punto di vista ordinario, devo riconoscere che non avevo mai visto nulla di paragonabile a questa celebrità... per la mancanza di talento e l’assenza delle nozioni più elementari circa l’arte di interpretare una parte.
In ogni suo gesto sulla scena c’era una tale mancanza di presenza, come si suol dire, che io personalmente, neppure in uno slancio di altruismo, avrei affidato a questa stella la parte di sguattera in casa mia.
Come venni a sapere in seguito, un certo industriale di Baku — il tipico raffinatore di petrolio, che aveva fatto fortuna — aveva anticipato una bella somma ad alcuni giornalisti, promettendo di raddoppiarla se fossero riusciti a rendere celebre la sua amante, fino a poco tempo prima cameriera presso un ingegnere russo, che egli aveva sedotta in occasione delle sue visite di affari.
Ed ecco un altro esempio.
Leggevo di tanto in tanto, su un giornale tedesco molto diffuso, lunghi panegirici di un certo pittore, e questi articoli mi portarono a pensare che questo artista fosse una specie di fenomeno dell’arte contemporanea.
Siccome mio nipote si era fatto costruire una casa nella città di Baku e aveva deciso, in previsione del suo matrimonio, di farla arredare in modo sontuoso, gli consigliai di non lesinare sul denaro e di mandare a chiamare quell’artista famoso perché dirigesse i lavori di decorazione e dipingesse alcuni affreschi. (Sapevo che quell’anno egli aveva avuto la fortuna di trivellare alcuni pozzi di petrolio ad alta resa che lasciavano sperare in un rendimento ancora migliore). Così le enormi spese sarebbero per lo meno servite ai suoi discendenti, che avrebbero ricevuto in eredità gli affreschi e altre opere di questo maestro eccelso.
Così fece mio nipote. Andò lui stesso a cercare l’illustre artista europeo. E presto giunse il grande pittore, trascinandosi appresso un’intera schiera di assistenti e operai e, così mi sembrò, perfino il proprio harem — nel significato europeo della parola, beninteso. Poi, senza fretta, si mise all’opera.
Il risultato del lavoro di questa celebrità contemporanea fu, innanzitutto, che il matrimonio venne rimandato, e, in secondo luogo, che si dovette spendere parecchio denaro per risistemare tutto, facendo poi ridipingere e decorare le pareti in modo più conforme alla vera pittura da semplici artigiani, persiani questa volta.
Nel caso presente, bisogna rendere giustizia ai giornalisti: fu quasi disinteressatamente che essi aiutarono quel pittore da strapazzo a far carriera, da modesti imbrattacarte quali erano. Come ultimo esempio, vi racconterò una fosca storia di cui fu responsabile uno dei pontefici di quella specie di letteratura contemporanea particolarmente perniciosa.
Nel periodo in cui abitavo nella città di Khorasan, un giorno incontrai a casa di un comune amico due giovani sposi europei, e strinsi amicizia con loro.
Essi si fermarono parecchie volte a Khorasan, ma ogni volta per pochissimo tempo.
Mentre viaggiava in compagnia della giovane moglie, il mio nuovo amico raccoglieva osservazioni e faceva delle analisi per determinare gli effetti della nicotina di vari tipi di tabacco sull’organismo e lo psichismo degli esseri umani.
Avendo raccolto in vari paesi dell’Asia tutte le informazioni di cui aveva bisogno, ripartì per l’Europa con sua moglie e si mise a scrivere un’opera importante in cui esponeva le conclusioni delle sue ricerche.
Ora, per mancanza di esperienza, la giovane donna non aveva ancora imparato a prendere in considerazione l’eventualità che si presentassero ‘periodi neri’, e, durante quei viaggi, aveva dato fondo a tutte le loro risorse. Così, per permettere al marito di portare a termine il suo libro, si vide costretta a lavorare come dattilografa in una grande casa editrice.
Questa casa editrice era frequentata da un certo critico letterario che la incontrava spesso. Innamoratosi di lei, come si suol dire, o semplicemente desideroso di soddisfare la sua concupiscenza, egli tentò di indurla ad avere un legame con lui. Ma lei, da donna onesta che conosceva il proprio dovere, non cedette alle sue proposte.
Mentre in questa sposa fedele di un marito europeo trionfava la morale, quel tipico individuo contemporaneo, sudicio in ogni senso, nutriva, tanto più forte in quanto la sua concupiscenza non era stata soddisfatta, il desiderio di vendetta abituale in gente del suo stampo, cosicche egli riuscì, con i suoi intrighi, a farle perdere il posto senza il minimo motivo. Poi, quando suo marito ebbe terminato e pubblicato la sua opera, per rancore, quel critico si mise a scrivere sui quotidiani di cui era collaboratore e perfino su altri giornali e riviste tutta una serie di articoli in cui dava del libro un’interpretazione assolutamente falsa. In breve, egli lo screditò a tal punto che esso fu un fiasco completo; nessuno si interessò di quel libro né lo comprò. Gli intrighi di uno dei rappresentanti malefici di una letteratura priva di princìpi ebbero questa volta il risultato di spingere un onesto ricercatore a porre fine ai propri giorni. Quando questi ebbe esaurito tutte le sue risorse e non ebbe più neanche di che comprarsi il pane per sé e per la sua cara moglie... dopo essersi messi d’accordo, tutti e due si impiccarono.
I critici letterari, a causa dell’influenza che la loro autorità di scrittori esercita sulla massa degli uomini ingenui e facili da suggestionare, a mio avviso sono mille volte più nocivi di tutti quei mocciosi di giornalisti.
Per esempio, io conoscevo un critico musicale che per tutta la sua vita non aveva mai toccato uno strumento, e che dunque non aveva nessuna coinprensione pratica della musica: non sapeva neppure che cosa fosse un suono, né quale fosse la differenza esistente tra le note do e re. Ciò nonostante, le anomalie inerenti alla civiltà contemporanea gli avevano consentito di occupare un posto di responsabilità come critico musicale, e di diventare successivamente un’autorità per i lettori di un giornale in piena prosperità la cui diffusione era considerevole. I suoi giudizi del tutto incornpetenti avevano finito per inculcare nei lettori opinioni definitive, mentre la musica sarebbe potuta essere per loro ciò che essa è in realtà: una fonte di corretta comnprensione di uno degli aspetti della conoscenza.
Il pubblico non sa mai chi è che scrive. Conosce soltanto il giornale, il quale appartiene a un gruppo di esperti commercianti.
Che cosa sanno esattamente coloro che scrivono su quei giornali, e che cosa succede dietro le quinte della redazione? Il lettore lo ignora completamente. Perciò prende per oro colato tutto ciò che trova sui giornali.
Su questo argomento, la mia convinzione si è andata rafforzando in questi ultimi tempi, ed è diventata salda come roccia e ogni uomo capace di pensare in modo più o meno imparziale può fare la stessa constatazione: coloro che cercano di svilupparsi con i mezzi loro offerti dalla civiltà contemporanea, al massimo riescono ad acquistare una facoltà di pensare degna della prima invenzione di Edison e, in fatto di sensibilità, sviluppano in sé soltanto ciò che Mullah Nassr Eddin avrebbe chiamato “la finezza di sentimenti di una vacca”.
I rappresentanti della civiltà contemporanea, trovandosi a un grado di sviluppo morale e psichico molto inferiore, sono, come dei bambini che giocano col fuoco, incapaci di misurare la forza con la quale si esercita l’influenza della letteratura sulla massa.
Se devo credere all’impressione che mi è rimasta dopo avere studiato la storia antica, le élites delle civiltà di un tempo non avrebbero mai permesso che una simile anomalia continuasse così a lungo.
Ciò che dico d’altronde può venire confermato da informazioni che ci sono giunte circa l’interesse che provavano per la letteratura quotidiana i dirigenti del nostro paese, non tanto tempo fa, nell’epoca in cui eravamo fra le grandi potenze, nell’epoca cioè in cui Babilonia ci apparteneva ed era l’unico centro di cultura universalmente riconosciuto.
Secondo queste informazioni, anche laggiù esisteva una stampa quotidiana, sotto forma di papiri stampati, in quantità limitata, naturalmente. Ma a questi organi letterari potevano collaborare soltanto uomini di una certa età, che fossero qualificati, conosciuti da tutti per i loro sicuri meriti e la loro vita onesta. Esisteva perfino una regola secondo la quale questi uomini venivano ammessi ad adempiere alla loro carica soltanto dopo avere prestato giuramento. Portavano allora il titolo di “collaboratori giurati”, come oggi esistono i membri di una giuria, gli esperti giurati, eccetera.
Oggigiorno, invece, qualsiasi sbarbatello può diventare giornalista, purché sappia esprimersi in modo garbato e, come si dice, letterario.
Ho imparato peraltro a conoscere molto bene lo psichismo di questi prodotti della civiltà contemporanea che sommergono con le loro elucubrazioni quei giornali e quelle riviste, e ho potuto valutare il loro essere perché, per tre o quattro mesi, ho avuto occasione di stare al loro fianco, ogni giorno, nella città di Baku, e di avere con loro frequenti conversazioni.
Mi trovavo a Baku, dove ero andato a passare l’inverno da mio nipote. Un giorno, alcuni giovani vennero a chiedergli una delle grandi sale al pianterreno di casa sua — dove prima aveva avuto intenzione di aprire un ristorante — come sede per la loro Nuova Società degli Uomini di Lettere e Giornalisti.
Mio nipote accolse subito tale richiesta e, a partire dall’indomani, quei giovani si riunirono ogni sera a casa sua per tenervi ciò che essi chiamavano le loro assemblee generali e i loro dibattiti scientifici.
A queste riunioni venivano ammessi anche gli estranei, e siccome io non avevo nulla da fare la sera, e la mia camera si trovava accanto alla sala dove si incontravano, andavo spesso ad ascoltare i loro discorsi. Ben presto alcuni di loro mi rivolsero la parola e, a poco a poco, fra noi si stabilirono rapporti amichevoli.
Per la maggior parte erano ancora giovanissimi.
delicati ed effeminati. In alcuni, i lineamenti del viso rivelavano che i loro genitori probabilmente si erano dedicati all’alcol o ad altre passioni per mancanza di volontà, o che i proprietari di quei visi si abbandonavano di nascosto a cattive abitudini.
Benché Baku sia una piccola città, se la si confronta con la maggior parte delle grandi città della civiltà contemporanea, e benché i campioni di umanità che si riunivano laggiù fossero tutt’al più “uccelli che volano bassi”, non mi faccio scrupolo alcuno a generalizzare mettendo tutti i loro colleghi nello stesso sacco.
E sento di averne il diritto perché più tardi, durante i miei viaggi in Europa, ho spesso incontrato dei rappresentanti di questa letteratura contemporanea, che mi hanno fatto sempre la stessa impressione: quella di somigliarsi tutti come gocce d’acqua.
Erano diversi soltanto per il loro grado di importanza, che dipendeva dall’organo letterario al quale essi collaboravano, cioè dalla fama e dalla diffusione del giornale o della rivista che pubblicava le loro elucubrazioni, o ancora dalla solidità della ditta commerciale alla quale apparteneva quest’organo, con tutti i suoi operai letterari.
Molti fra loro si autodefinivano, non si sa perché, “poeti”. Oggigiorno, in Europa, chiunque scriva una breve assurdità di questo genere:

Verde reseda
rosso mimosa
la divina posa di Lisa
è molle acacia
di pianto intrisa

riceve dalla sua cerchia il titolo di poeta; alcuni fanno perfino stampare questo titolo sul loro biglietto da visita.
Tra questi operai del giornalismo e della letteratura contemporanea lo spirito di corpo è molto sviluppato: essi si sostengono a vicenda e si lodano in ogni occasione in modo esagerato.
Mi sembra anzi che questa caratteristica sia la causa principale della loro proliferazione, della loro falsa autorità sulla massa, e dell’adulazione incosciente e servile dimostrata dalla folla per quelli che si potrebbero definire, con la coscienza a posto, delle perfette nullità.
In queste assemblee, uno di essi saliva sul palco per leggere, ad esempio, qualcosa del genere dei versi che ho appena citati, o per esaminare perché il ministro di questo o quel paese, durante un pranzo ufficiale, si fosse espresso su una certa questione nel tal modo e non nel tal altro. Poi, il più delle volte, l’oratore terminava il suo discorso con una dichiarazione di questo genere:
“Cedo la parola a questo eccellentissimo luminare della scienza del nostro tempo, il signor Tal dei Tali, chiamato nella nostra città per un affare della massima importanza e che ha avuto l’estrema cortesia di voler assistere alla nostra assemblea. Avremo ora il grande piacere di ascoltare la sua incantevole voce”.
E quando questa celebrità saliva a sua volta sul palco, prendeva la parola in questi termini: “Signore e Signori, il mio collega è stato così modesto da chiamarmi celebrità...”. (Va notato per inciso che egli non aveva potuto afferrare ciò che aveva detto il suo collega, poiché era venuto dalla sala accanto, la cui porta era chiusa).
“A dire il vero, se mi si paragona a lui, non sono neppure degno di sedere in sua presenza. Non sono io il luminare, bensì lui: è conosciuto non solo in tutta la nostra grande Russia, ma nell’intero mondo civilizzato. Il suo nome verrà pronunciato con esaltazione dai nostri discendenti, e nessuno dimenticherà mai ciò che egli ha fatto per la scienza e per il bene dell’umanità.
“Se questo fulcro di verità vive oggi in questa città insignificante, non è per caso, sembra, bensì per importanti motivi da lui solo conosciuti. Il suo vero posto non è fra noi, bensì accanto alle antiche divinità dell’Olimpo”.
Ed era soltanto dopo questi preamboli che la nuova celebrità pronunciava alcune assurdità, su un tema di questo genere: Perché i Sirikitsi dichiararono guerra ai Parnakalpi.
Dopo queste assemblee scientifiche, c’era sempre una cena annaffiata da un paio di bottiglie di vino scadente. Molti dei convitati si infilavano in tasca degli antipasti — chi una fetta di salame, chi un’aringa con un pezzo di pane — e se per caso uno di loro veniva colto sul fatto, diceva con aria noncurante: “E per il mio cane: quel briccone ha le sue abitudini, vuole sempre la sua parte quando rincaso tardi”.
L’indomani, si poteva leggere su tutti i giornali locali il resoconto della serata e dei discorsi, scritto in uno stile incredibilmente ampolloso, naturalmente senza che si accennasse mai alla modestia della cena né ai furterelli di fette di salame... per il cane.
E sono queste le persone che scrivono sui giornali a proposito di ogni genere di verità e di scoperte scientifiche. Il lettore ingenuo, che non vede gli scrittori e non conosce il loro modo di vivere, si fa un’opinione sugli avvenimenti e sulle idee secondo i vaneggiamenti di questi letterati da strapazzo che non sono né più né meno che uomini malati e privi di esperienza, che ignorano completamente il vero significato della vita.
Tranne rarissime eccezioni, in tutte le città d’Europa, quelli che scrivono libri o articoli sui giornali appartengono proprio alla specie di questi giovani sventati, che sono diventati tali per motivi ereditari o per loro debolezza specifica.
Per me, non v’è alcun dubbio: fra tutte le cause delle anomalie esistenti nella civiltà contemporanea, la più evidente, quella che occupa il posto predominante, è proprio questa letteratura giornalistica, per l’azione demoralizzante e perniciosa che esercita sullo psichismo degli uomini. Peraltro sono profondamente stupito che nessun ‘detentore di potere’ se ne sia mai accorto, e che ogni Stato consacri quasi più di metà del proprio bilancio al mantenimento della polizia, delle carceri, dei municipi, delle chiese, degli ospedali, ecc... e che paghi innumerevoli funzionari, preti, medici, agenti della polizia segreta, procuratori, agenti per la propaganda, ecc... tutto ciò con l’unico scopo di salvaguardare l’integrità fisica e morale dei suoi cittadini, senza spendere un solo centesimo né intraprendere una qualsiasi azione per distruggere fino alle radici questa causa evidente di ogni genere di crimini e di malintesi.