Nell'ottobre 2008 una pagina del Corrierone informa i lettori dell'imminente uscita di un libro scritto da Ferruccio de Bortoli, che del Corriere della Sera è stato direttore alcuni anni fa, prima di approdare ad altri lidi.
Sotto la direzione de Bortoli il Corriere della Sera ha gettato allegramente alle ortiche la propria reputazione di organo di "informazione" moderato, costruita con anni di lavoro continuo e con l'aiuto di penne che godevano del rispetto e della considerazione di un pubblico vasto e relativamente trasversale, per occupare la cronaca quotidiana con il peggio che si potesse mettere insieme pur di giustificare l'imperialismo statunitense e la visione "occidentalista" del mondo.
Da questo punto di vista, la pubblicazione degli "scritti" di Oriana Fallaci ha costituito solo il raggio di una ruota che ne comprendeva svariati altri. Unito al coro monocorde dei media più facilmente fruibili dal suolo peninsulare, alle televisioni sempre accese, sempre blateranti, sempre più dementi, sempre più inutili, il Corriere della Sera si è validamente adoperato per anni, in piena consapevolezza, perché le più putride menzogne partorite dai personaggi più impresentabili ricevessero la massima eco e venissero percepite non come legittimi punti di vista su un problema o su una situazione geopolitica, ma come gli unici atteggiamenti adottabili sotto pena della gogna mediatica, se non della galera, per chiunque avesse da obiettare.
Non stiamo parlando di un secolo fa; stiamo parlando dell'altro ieri. Il tempo per metabolizzare certe lezioncine che vanno dall'impresentabile vicenda Trivulzio agli infelici corsivi di Buzzati sulla tragedia del Vajont, fino al linciaggio corale di Pietro Valpreda c'è stato, ed è stato molto. L'atteggiamento di certe redazioni, dunque, non può essere giustificato altro che dalle tirature e dalla malafede.
La direzione di De Bortoli, in altre parole, ha contribuito non poco affinché nella pubblica opinione venissero seminati i germi dell'infernale e demente situazione in cui oggi siamo costretti a dibatterci, facendo del nostro meglio per non soffocare.
WIkipedia ci fa sapere che Ferruccio de Bortoli si occupa di giornalismo dal 1973. Nell'ottobre 2008, nel suo L'informazione che cambia (Ed. La Scuola), de Bortoli taccia di "scandalosa" la situazione dell'informazione contemporanea e va giù pesantuccio con considerazioni condivisibili finché si vuole, ma che lasciano un paio di interrogativi in sospeso.
Ci chiediamo, innanzitutto, come mai a de Bortoli ci siano voluti trentacinque anni per accorgersene.
In secondo luogo, l'aggressione all'Iraq e la "guerra al terrorismo" (ossia la licenza per l'imperialismo yankee di fare quel che vuole, come vuole e dove vuole) hanno avuto nel Corriere della Sera, ai tempi della direzione di de Bortoli, una delle sponde mediatiche più acritiche. Il Corriere della Sera corrispondeva, ed ancora in grandissima parte corrisponde, al pessimo ritratto che de Bortoli fa dell'informazione giornalistica contemporanea. Visti i lunghi e documentati precedenti, Ferruccio de Bortoli su quale credibilità pensa di poter contare? "Le ragioni per dire no", pubblicato a febbraio 2003 sei nanosecondi prima che l'americanismo di complemento diventasse virtualmente obbligatorio pena l'esclusione da ogni spazio mediatico di qualche rilievo, a rileggerlo oggi (cinque anni e centinaia di migliaia di morti dopo) suona tra il triste e l'imbarazzante col suo affastellare "trincee comuni", "Occidente libertà e democrazia" e sionismo di default; arrivava comunque a danni ultimati, due anni dopo quel "Siamo tutti americani" (per coscrizione, e guai a chi fiata, ci sarebbe stato da aggiungere) che ha segnato l'incipit di un coro ossessivo e spaventoso ancora lontano dal tacere.