Il 12 gennaio 2010 un terremoto rovinoso colpisce lo stato caraibico di Haiti facendo più di centomila vittime e finendo di devastare le già malmesse infrastrutture del paese. Dal momento che l'"occidentalismo" ha la menzogna come concretizzazione di qualunque attribuzione causale, non sorprende che l'evento sia stato trattato con l'abituale incompetenza e con la consueta pochezza con cui gli "occidentalisti" ammanniscono abitualmente fandonie ai sudditi per conto dei loro padroni.
Un certo Nicola Porro ha scritto questo per una gazzetta "occidentalista". Una specie di temino in classe di una ventina di righe, in cui nel titolo si dà ad un non meglio definito anticapitalismo la colpa del terremoto ad Haiti, e nel testo si mettono insieme divagazioni di filosofia spicciola e statistiche. Uno dei tanti, troppi monumenti all'incompetenza, alla cialtroneria ed al servilismo che in "occidente" passano sotto il nome di "libertà di informazione" permettendo ai loro autori di trarre reddito da un quarto potere la cui essenza è costituita da menzogne impunite.
In tempi meno sovvertiti, in cui si aveva ancora l'insana idea che prima di mettersi alla macchina da scrivere si dovesse avere lo scrupolo di documentarsi almeno un minimo, a simili esempi di gazzettismo gurdjieffiano non sarebbe stata affidata neanche la redazione tipografica della pagina con la programmazione dei cinema a luci rosse.
Miguel Guillermo Martinez Ball è uno dei tanti blogger rimasti ai bei tempi antichi in cui raziocinio e senso critico avevano ancora diritto di cittadinanza nel mainstream, e con ben altra serietà (e sciaguratamente minore pubblico) ci ricorda alcuni aspetti della storia recente di Haiti che, non sorprendentemente, vanno proprio nella direzione opposta a quella in cui Nicola Porro vorrebbe che andassero. Sugli aspetti di merchandising citati dall'articolo in link possiamo testimoniare direttamente, ricordando benissimo non soltanto di aver ricevuto come souvenir dagli Stati Uniti d'AmeriKKKa, nel corso degli anni Ottanta, proprio degli articoli Disney made in Haiti, ma di aver posseduto anche diverse magliette di cotone della stessa provenienza. La città di Port Au Prince è stata colpita duramente dal terremoto. Notando il fatto che non esistono neppure statistiche concordi sul numero degli abitanti, Martinez afferma:

"...Qualunque sia il numero, è evidente che il vero disastro è quello, e dipende in larga misura da scelte umane e politiche. A cavallo degli anni Settanta e Ottanta, l'immensa macchina dei think tank statunitensi, che trasformano gli interessi delle imprese americane in decisioni politiche, scelse di appoggiare il pittoresco dittatore Jean-Claude "Baby Doc" Duvalier, allo scopo di trasformare Haiti nella "Taiwan dei Caraibi", sostituendo l'agricoltura con la produzione industriale per l'esportazione, grazie al costo assai ridotto della manodopera locale. [...]
USAID, l'agenzia politico-umanitaria dell'Impero, usò il bastone e la carota per cacciare i contadini dai campi e mandarli nelle fabbriche: le eccedenze agrarie statunitensi, ampiamente sussidiate, furono riversate nel paese sia come "aiuti diretti", sia come prodotti venduti a bassissimo costo - il dittatore provvide ad abolire praticamente i dazi.
Il risultato inevitabile fu la distruzione della società contadina.
Grazie ad altri aiuti, i contadini poterono costruirsi baracche fragilissime, ovviamente nei pressi del polo industriale, cioè a Port-au-Prince.
E lì quelli che trovarono lavoro si dedicarono a inscatolare prodotti provenienti dal nuovo sistema agricolo industrializzato, che aveva bisogno di pochissima manodopera; oppure a produrre cappellini da baseball e magliette della Disney - nel solo 1993, Michael Eisner, amministratore delegato della Disney, guadagnò 203 milioni di dollari, pari a 325.000 volte lo stipendio di un suo operaio haitiano.
Poi, siccome viviamo in un mondo flessibile, gli Stati Uniti mollarono tutto il progetto, lasciandosi dietro le conseguenze.

In altre parole, la debolezza economica e del tessuto sociale haitiano a tutto putrebbe essere ascritta meno che ad un "anticapitalismo" messo in mezzo apposta per far contento il target di gazzette che non perdono mai occasione per coltivare con cura il proprio pubblico, rinforzandolo nelle sue convinzioni basate sulla malafede, sull'incompetenza e su un'autocoscienza da scarafaggi.
Si dà qui traduzione integrale degli articoli in link.

Pubblicato Giovedi 14 gennaio 2010 da CommonDreams.org
Quello che non vi sentite dire su Haiti (e che invece dovreste conoscere)
di Carl Lindskoog

Nelle ore seguenti il devastante terremoto di Haiti la CNN, il New York Times ed altri media importanti hanno adottato un'interpretazione comune circa le cause di una distruzione così grave: il terremoto di magnitudo 7.0 è stato tanto devastante perché ha colpito una zona urbana estremamente sovrappopolata ed estremamente povera. Case "costruite una sull'altra", edificate dagli stessi poveri abitanti, ne hanno fatta una città fragile. Ed i molti anni di sotosviluppo e di sconvolgimenti politici avrebbero reso il governo haitiano impreparato ad un tale disastro.
Questo è piuttosto vero. Ma la storia non è tutta qui. Quello che manca è una spiegazione del perché così tanti haitiani vivono a Port Au Prince e nei suoi sobborghi e perché tanti di loro sono costretti a sopravvivere con così poche risorse. Infatti, anche se una qualche spiegazione è stata azzardata, si tratta spesso di spiegazioni false in maniera vergognosa, come la testimonianza di un ex diplomatico statunitense alla CNN secondo la quale la sovrappopolazione di Port Au Prince sarebbe dovuta al fatto che gli haitiani, come la maggior parte dei popoli del Terzo Mondo, non sanno nulla di controllo delle nascite.
Gli americani avidi di notizie potrebbero anche spaventarsi apprendendo che le condizioni cui i media americani attribuiscono l'amplificazione dell'impatto di questo tremendo disastro sono state in gran parte il prodotto di politiche americane e di un modello di sviluppo a guida americana.
Dal 1957 al 1971 gli haitiani hanno vissuto sotto l'ombra oscura di "Papa Doc" Duvalier, un dittatore brutale che ha goduto del sostegno degli Stati Uniti, perché è stato considerato dagli americani come un affidabile anticomunista. Dopo la sua morte il figlio di Duvalier, Jean-Claude soprannominato "Baby Doc", è diventato presidente a vita all'età di diciannove anni ed ha regnato su Haiti fino a quando non è stato rovesciato nel 1986. E' stato nel corso degli anni '70 ed '80 che Baby Doc, il governo degli Stati Uniti e la comunità degli uomini d'affari hanno lavorato di concerto per mettere Haiti e la sua capitale sulla buona strada per diventare quello che erano il 12 gennaio 2010.
Dopo l'incoronazione di Baby Doc, pianificatori americani dentro e fuori il governo statunitense hanno avviato un loro piano per trasformare Haiti in una "Taiwan dei Caraibi". Questo piccolo e povero paese situato convenientemente vicino agli Stati Uniti è stato messo in condizioni di abbandonare il suo passato agricolo e di sviluppare un robusto settore manifatturiero esclusivamente orientato all'esportazione. A Duvalier e ai suoi alleati fu detto che questo era il modo di modernizzare e di sviluppare economicamente il paese.
Dal punto di vista della Banca mondiale e dell'Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) Haiti ha rappresentato il candidato ideale per questo lifting neoliberista. La povertà radicata delle masse haitiane poteva essere utilizzata per costringerle ad accettare lavori a bassa remunerazione, come il cucire palle da baseball o l'assemblare altri prodotti di consumo.
USAID però aveva piani precisi anche per l'agricoltura. Non soltanto le città haitiane dovevano diventare punti di produzione di articoli da esportare: anche la campagna doveva seguirne le sorti, e l'agricoltura haitiana fu riorganizzata per servire alla produzione di articoli da esportare e sulla base di una produzione orientata al mercato estero. Per raggiungere questo scopo USAID, insieme con gli industriali cittadini e con i latifondisti, si è data da fare per impiantare industrie di trasformazione dei prodotti agricoli, al tempo stesso incoraggiando la pratica, già in uso, di rovesciare molte eccedenze agricole di produzione statunitense sul popolo haitiano.
Era prevedibile che questi "aiuti" da parte degli americani, innescando cambiamenti strutturali nell'agricoltura, avrebbero costretto i contadini di Haiti che non erano più in grado di sopravvivere a migrare verso le città, soprattutto verso Port Au Prince, dove si pensava si sarebbro concentrate le maggiori opportunità di occupazione nel nuovo settore manifatturiero. Tuttavia, quanti arrivarono in città scoprirono che i posti a disposizione nel settore manifatturiero non erano neppure lontanamente abbastanza. La città divenne sempre più affollata e si svilupparono grandi insediamenti fatti di baracche. Per rispondere alle necessità abitative dei contadini sfollati si mise all'opera un modo di costruire economico e rapido, a volte edificando le abitazioni letteralmente "l'una sull'altra".
Prima che passasse molto tempo, tuttavia, i pianificatori americani e le élite haitiane hanno deciso che forse il loro modello di sviluppo non aveva funzionato così bene ad Haiti, e l'hanno abbandonato. Le conseguenze degli stravolgimenti introdotti dagli americani, ovviamente, sono rimaste.
Quando il pomeriggio e la sera del 12 gennaio 2010 Haiti ha subìto quel terrificante terremoto, e via via tutte le scosse di assestamento, le distruzioni sono state, senza dubbio, notevolmente peggiorate dal concreto sovraffollamento e dalla povertà di Port-au-Prince e delle aree circostanti. Ma gli americani, pur scioccati, possono fare di più che scuotere la testa ed elargire qualche caritatevole donazione.
Essi possono mettersi davanti alle responsabilità che il loro paese ha per quelle condizioni che hanno contrinuito ad amplificare l'effetto del terrremoto sulla città di Port Au Prince, e possono prendere cognizione del ruolo che l'America ha avuto nell'impedire ad Haiti il raggiungimento di un grado di sviluppo significativo.
Accettare la storia monca di Haiti offerta dalla CNN e dal New York Times significa addossare agli haitiani la colpa di essere stati le vittime di una situazione che non era frutto del loro operato. Come scrisse John Milton, "coloro che accusano gli altri di essere ciechi, sono gli stessi che hanno cavato loro gli occhi."

Carl Lindskoog è una attivista di New York City; come storico sta completando un dottorato presso la City University di New York. È possibile contattarlo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..


L'inferno di Disney ad Haiti
Haiti Progres, "This Week in Haiti,"
Vol. 13, no. 41, 3-9 gennaio 1996

Può anche darsi che gli occhioni languidi ed il seducente sorriso di Pocahontas, la più recente star a cartone animato della Walt Disney, questo Natale abbiano affascinato i bambini di tutto il mondo. Ma ad Haiti Pocahontas rappresenta l'inferno sulla terra per molte delle giovani donne che lavorano nelle zone manifatturiere del paese, secondo un recente rapporto pubblicato il mese scorso.
I lavoratori che cuciono i capi d'abbigliamento firmati dai rassicuranti personaggi di Disney non guadagnano neppure abbastanza per sfamarsi, per non parlare delle loro famiglie. Questo è quanto afferma il National Labor Committee Education Fund in Support of Worker and Human Rights in Central America (NLC), un'organizzazione newyorkese. "Gli appaltatori haitiani che producono pigiami di Topolino e di Pocahontas per le ditte statunitensi che lavorano su licenza della Walt Disney Corporation in qualche caso pagano i lavoratori anche meno di quindici gourdes (un dollaro USA) per una giornata di lavoro. Dodici centesimi all'ora, in chiara violazione anche della legge locale", scrive il NLC.
Oltre che con i salari da fame, le lavoratrici haitiane che producono abiti per i giganti della grande distribuzione statunitense devono vedersela con le molestie sessuali e con orari di lavoro estenuanti. "Haiti ha bisogno di svilupparsi economicamente e le lavoratrici haitiane hanno bisogno di lavorare, ma non al prezzo di vilolare i diritti fondamentali ddei lavoratori. Pagare undici centesimi l'ora chi cuce vestiti per Kmart non è sviluppo, è delinquenza", rincara la dose il NLC.
Negli ultimi due decenni, funzionari del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti hanno sempre indicato nello sviluppo del settore della "trasformazione" l'antidoto alla povertà di Haiti. Nei primi anni '80, circa 250 fabbriche occupavano oltre 60.000 lavoratori haitiani a Port Au Prince. Il salario minimo era di 2,64 dollari al giorno. Ma molte di queste caienne hanno abbandonato Haiti dopo la caduta del dittatore Jean-Claude Duvalier nel 1986. Altre se ne sono andate poco dopo l'elezione di Jean-Bertrand Aristide nel 1990, che basò la sua campagna elettorale sulla retorica nazionalista, e ancora di più hanno lasciato il paese dopo il colpo di stato del 1991.
Le miserabili condizioni della Haiti di oggi la rendono un concorrente ideale nel mercato del lavoro mondiale, dicono i funzionari del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, e le zone industriali manifatturiere sono di nuovo al centro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) per Haiti perseguito adesso dall'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale (FMI).
Nonostante questo il recupero delle zone industriali manifatturiere rimane debole. Solo 72 manifatture con circa 13.000 persone erano state ripristinate al settembre 1995, secondo una agenzia del governo haitiano. Le istituzioni finanziarie internazionali sostengono che Haiti deve abbassare gli altri costi legati alla produzione di manufatti, come le spese portuali e telefoniche ed il costo dell'energia elettrica. Pertanto, la Banca mondiale sta facendo pressioni affinché siano aziende degli Stati Uniti ad assumere il controllo di questi settori chiave attraverso la privatizzazione delle industrie di proprietà pubblica ad Haiti. Intanto, spiegano gli strateghi del SAP, i salari devono essere conservati bassi e "competitivi".
Ma il National Labor Committee (NLC) ed i lavoratori haitiani sostengono che le zone manifatturiere ad Haiti, come quelle del resto dei Caraibi e dell'America centrale, sono in realtà zone in cui la schiavitù è legalizzata. "Mentre i proprietari delle fabbriche di Haiti e le società americane stanno approfittando dei salari bassi, i lavoratori haitiani stanno lottando ogni giorno per sfamare se stessi e le loro famiglie," ha indicato l'NLC in una relazione intitolata "Come diventre ricchi pagando la gente undici centesimi l'ora".
In particolare, il rapporto rileva come i proprietari delle fabbriche stiano cercando di non versare ai lavoratori di Haiti il nuovo salario minimo di 36 gourdes al giorno (due dollari e quaranta centesimi) ed afferma che più della metà delle 40 aziende che operano nel settore manifatturiero tessile ad Haiti, al momento della ricerca dell'NLC nell'agosto 1995, stessero violando la legge sul salario minimo. Il Presidente Aristide ha sollevato il salario minimo, lo scorso mese di maggio, da 15 a 36 gourdes al giorno. Anche se è stato il primo aumento dei salari dal 1984, l'NLC deve rilevare che il nuovo salario minimo "vale meno in termini reali di quanto il vecchio salario minimo di 15 gourdes valesse nel 1990 ... Dal 1 ottobre 1980, quando il dittatore Jean-Claude ( "Baby Doc") Duvalier fissò per la prima volta il salario minimo a 13,20 gourdes, il suo valore reale è diminuito di quasi il 50%".
Nelle dodici pagine del rapporto lo NLC riserva alcune delle sue critiche più taglienti ai giganti multinazionali statunitensi, come la Sears, Wal-Mart e Walt Disney Company, che appaltano alle imprese degli Stati Uniti e di Haiti. In una fabbrica di abbigliamento di qualità in cui si producono pigiami di Topolino, i dipendenti hanno riferito che l'estate scorsa avevano lavorato 50 giorni senza pause, fino a 70 ore alla settimana, senza un giorno di riposo. "Una lavoratrice ha detto al NLC che avrebbe dovuto cucire 204 paia di pigiami di Topolino ogni giorno e che la giornata le sarebbe stata pagata 40 gourdes (due dollari e sessantasette centesimi). Lei era stata in grado di farne soltanto 144 paia, per le quali era stata pagata 28 gourdes (un dollaro e ottantasette)", scrive il NLC. Il rapporto osserva che Michael Eisner, amministratore delegato della Disney, ha guadagnato 203 milioni dollari nel 1993, circa 325.000 volte il salario dei lavoratori ad Haiti. "Se un lavoratore tipico haitiano lavorasse a tempo pieno sei giorni alla settimana a cucire i vestiti per la Disney, impiegherebbe circa 1.040 anni per guadagnare quello che Michael Eisner ha guadagnato in un solo giorno nel 1993", conclude il rapporto.
Nel complesso, lo NLC si è trovato davanti ad un "modello esemplare di abusi, tra i quali c'è quello dei salari bassi; così bassi che il proprietario della fabbrica ha riferito all'NLC che 'i lavoratori non possono lavorare bene perché non mangiano abbastanza'". Secondo la relazione una famiglia a Port Au Prince ha bisogno di almeno 363 gourdes ogni settimana, ventiquattro dollari e venti, per il cibo, il riparo e l'istruzione. "Ma un percettore di salario minimo, lavorando 8 ore al giorno 6 giorni alla settimana, porta a casa 216 gourdes, ovvero meno del 60% del fabbisogno di base di una famiglia", dice il rapporto.
Lo NLC addossa gran parte della colpa per il deterioramento delle condizioni dei lavoratori haitiani all'USAID, che ha impegnato 8 milioni di dollari di denaro dei contribuenti americani per la promozione degli investimenti esteri ad Haiti lo scorso anno. "Il governo americano ha mostrato un grande impegno a sostenere con decisione gli investimenti statunitensi ad Haiti, ma non ha mostrato alcun paragonabile impegno nei confronti dei lavoratori che producono per le aziende investitrici", sostiene l'NLC, rilevando che l'USAID ha reiteratamente esercitato pressioni sul governo di Haiti perché i salari rimanessero bassi.
L'NLC fa capo ai sindacati tessili degli Stati Uniti, e nota che i salari bassi ad Haiti saranno utilizzati per cercare di abbassare i salari degli altri lavoratori nelle Americhe. "I salari haitiani sono estremamente interessanti e sono più bassi di quelli della Repubblica Dominicana, della Giamaica, dello Honduras, di El Salvador, del Guatemala e del Nicaragua, altri paesi fitti di zone industriali manifatturiere. In altre parole, Haiti contribuisce a definire il tetto dei salari per l'intero emisfero occidentale", dice il rapporto. Haiti è attualmente sempre in prima fila nella corsa verso il ribasso.

[Per ulteriori informazioni, o per ordinare copie della relazione, contattare The National Labor Committee Education Fund, 15 Union Square West, New York, NY 10003-3377 Tel. 212-242-0700] Tutti gli articoli sono protetti da copyright. Haiti Progres, Ltd. La loro riproduzione è favorita citando la fonte.
"This week in Haiti" è la sezione in inglese del settmanale Haiti Progres. Per informazioni su altre notizie in francese e in creolo, si prega di contattare il giornale al numero 718-434-8100, fax 718-434-5551, o per e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..