Primavera 2010. Da qualche anno un portale intenet che consente lo scambio di ogni informazione possibile tra il mezzo miliardo almeno di utenze sottoscritte sembra avviato a sostituire ogni altra forma di comunicazione. L'utente medio di questo affare dà solitamente pubblica testimonianza di un conformismo e di una pochezza già allarmanti per contro proprio. In qualche caso, come quello che si va qui a stigmatizzare, si sorpassa ogni limite.

Negli ultimi anni una parte consistente dell'utenza mondiale di internet ha creduto bene di fornire ad un amriki di meno di trent'anni una quantità impressionante di dati personali e di affari propri.
Il giovane amriki, ovviamente, tutta questa roba la usa per i suoi affari e ci sarebbe stato se mai da stupirsi del contrario.
In cambio di tutto questo, che comporta anche la riduzione di intere esistenze a sommarie schedature, a foto segnaletiche, ad archivi standard, l'amriki Zuckerberg permette l'accesso ad una tecnologia che, a sentir lui, consentirebbe a chi ne accetta le condizioni di "connettersi e mantenersi in contatto con le persone della sua vita". Viene da pensare che cosa sia o non sia la vita di qualcuno, quest'amriki pensi di saperlo meglio del diretto interessato.
Oltre alla foto segnaletica, si può "condividere" con gli altri utenti qualunque contenuto mediatico. Il risultato, a prima impressione, è quello di uno sconfortante minestrone conformista, di una sagra della ciarla in libertà che sta arrivando a sostituire molte delle altre forme di comunicazione, dàndo luogo a volte anche a disavventure tragicomiche perché gli individui incorsi nelle attenzioni della gendarmeria e peggio grazie alla scellerata facondia dimostrata sul web sono cresciuti di numero in modo impressionante da quando esiste quella che è a tutti gli effetti un'autoschedatura mondiale.
Un'autoschedatura mondiale che fa impallidire le potenzialità di qualunque "informatore" i gendarmi possano pensare di schierare, nonostante non vi sia obiettivamente garanzia alcuna che a ciascuna schedatura corrisponda effettivamente un individuo in carne ed ossa; i casi di presunte identità usurpate, distorte, inventate o costruite ovviamente non si contano, aiutate dal fatto che i soggetti schedati tendono abitualmente a trattare le presunte identità schedate come rappresentative in tutto e per tutto degli individui che essi identificano, senza alcuna garanzia in merito, come i corrispondenti reali.
Ed il peggio non è neppure questo, non è neppure questo gigantesco equivoco, che tende a declassare la realtà a fastidioso doppione previrtuale.
Non sono questi i peggiori aspetti di questa maschera demoniaca.
Si darà qui breve nota di uno dei risvolti meno piacevoli della grande idea del signor Zuckerberg. Una delle molte questioni in merito alle quali l'utenza è meno informata e meno consapevole di quanto dovrebbe.

Nel maggio 2009 in una strada boscosa vicino ad Antella, un paese al limite sud della conurbazione fiorentina, un certo Lapo Santiccioli ha secondo ogni evidenza ucciso una certa Giulia Giusti, prima di suicidarsi a sua volta. Mettendo in piazza come al solito i retroscena dell'episodio, le gazzette di quei giorni citano esplicitamente questo meraviglioso portale amriki.

Ad oltre un anno dai fatti, la pagina di Giulia Giusti citata nell'articolo non siamo riusciti a rintracciarla.
L'immagine qui sopra, invece, è la screenshot della schedatura su Facebook di un Lapo Santiccioli, ed al momento in cui scriviamo risulta essere l'unica scheda intestata a questo nome e cognome.
Dottor House, qualunque cosa sia.
E la foto, poi.
Bello ed aitante che pare proprio vivo.

"Tu che passi per i boschi di Fonte Santa, sappi che qui, accanto a te, in pieno giorno è scesa la notte più profonda. Il 9 maggio 2009, alle ore 13, questi boschi hanno visto scorrere il sangue innocente di nostra figlia Giulia, barbaramente uccisa a soli 22 anni. Ricordati di lei nelle tue preghiere. Come le lacrime ed il pianto di noi genitori inondano questa trra e scendono in essa assieme al sangue di nostra figlia, così l'immenso dolore ha scavato nel profondo, lacerando per sempre il nostro cuore. Il babbo e la mamma di Giulia Giusti posero in sua memoria."

Giulia Giusti aveva ventidue anni.

Anche Anna Maria Mantini aveva ventidue anni. Un giorno del 1975, a Roma, fu freddata con un colpo di pistola in piena fronte mentre apriva la porta di casa. A sparare era stato uno dei gendarmi che si era appostato sul pianerottolo per arrestarla.

Qualcuno ha pensato di resuscitarla a suo modo, schedandola su Facebook.
Schedandola.
Mettendola insieme ai fan di roba che si chiama Gigi d'Alessio o Nutella o Gormiti.
Ai fautori di stravaganti posizioni sessuali, ai sostenitori di questo o quel palloniere, agli approvatori di cattiverie spicciole contro tizio o contro caio.
Insieme a gente che si fa violentare l'anima e la coscienza da quella roba che chiamano "programmi televisivi" e poi si ritrova addirittura a scriverne. Alla pubblicità di "Posizioni per dirigenti", "Scarpe di marca" con lo sconto, "Week end romantici", "Donne mature".

Chissà in quanti riconoscono davvero "le persone della loro vita" tra questi morti già da vivi, che fanno vivere i morti.