Nel settembre 2011 il gazzettaio fiorentino ha dato molta evidenza ad uno scritto che una ventina di presidi, o dirigenti scolastici secondo la definizione ora in uso nel "paese" dove mangiano maccheroni, ha diffuso per avvertire i propri sottoposti sulle conseguenze di una eventuale occupazione degli edifici scolastici.
Non è questa la sede, e non è questa l'occasione, per trarre conclusioni o fare bilanci in merito all'efficacia di certe forme di protesta. Quello che qui interessa è innanzitutto dileggiare l'ennesima iniziativa giornalinistica puramente irritante, al pari di certe querelle sui simboli religiosi cristiani, portata a conoscenza del pubblico essenzialmente a causa della fame che affligge redazioni capacissime di pubblicare qualunque cosa serva per tappare gli spazi bianchi tra una pubblicità e l'altra purché contribuisca al mantenimento del clima sociale fobico e demenziale, intriso di pressappochismo forcaiolo e di securitarismo d'accatto, di cui la feccia gazzettiera ha tanta parte di responsabilità.
Va specificato che la nostra poca stima per uno dei firmatari e per la galera che manda avanti quando non passa il tempo sul Libro dei Ceffi non risale certo ad oggi, e non ci siamo certo curati di tenerla nascosta.
L'"Occidente" sta subendo, peraltro in misura assai più ridotta di quello che meriterebbe, le conseguenze delle scelte sociali ed economiche che rispecchiano i "valori" del legislatore, a loro volta perfetto specchio di quelli del corpo elettorale: gli ultimi anni hanno visto un sostanziale svuotamento del sistema "democratico", il deliberato sfascio dello stato sociale, guerre incessanti, repressione generalizzata e capillare ed una delegittimazione ora esplicita ora strisciante di qualunque forma di vita associata, cui si accompagna la demonizzazione ossessiva di chiunque il potere consideri lontanamente capace di trasformarsi in un pur blando contestatore. Eppure i sudditi sono tutti rimasti al loro posto, grazie ai gazzettieri suddetti ed al politicame cui hanno tirato la volata.
Questo significa che in un contesto del genere difendere la "legalità" vuol dire difendere gli interessi e la volontà politica di un ridotto ed onnipotente numero di buoni a nulla che un "impegno politico" fatto per lo più di quotidiana applicazione dei principi basilari del marketing ha letteralmente salvato dall'indigenza, perché è impensabile che nel mercato del lavoro individui consapevoli pensino di affidare ad elementi come quelli che costituiscono il panorama politico "occidentale" qualcosa di più impegnativo di un secchio colmo di deiezioni umane.
La "legalità occidentale" sul piano internazionale significa guerre di aggressione; sul piano interno significa pacifico e continuato perpetrare di ingiustizie sociali in piena consapevolezza e senza alcun ritegno, in un contesto che a livello mediatico -ed in molti casi anche a livello sociale- considera in modo esplicitamente positivo qualunque comportamento distruttivo ed irresponsabile, purché abbia come fine ultimo l'arricchimento personale. Detto altrimenti, quello di "legalità", con particolare riferimento al "paese" dove mangiano maccheroni, è un concetto a fronte del quale resta difficile rimanere seri.
Agli autonominati "custodi della legalità" hanno dato risposta alcuni studenti di Pontedera; stranamente hanno trovato posto sulla stessa gazzetta "occidentalista" che ha pubblicato il perentorio avvertimento su citato, che per motivi che sinceramente ci sfuggono ha preferito pubblicare il testo anziché ignorarne gli autori o dar loro sbrigativamente di terroristi com'è prassi in questi casi.
Riportiamo per intero lo scritto anche se non ne condividiamo molte delle affermazioni perché è fonte di un certo conforto constatare che basta ancora qualche ragazzino per rimettere al suo posto un pugno di scaldasedie in vena di lezioni di vita.
Come sempre ci scusiamo con i nostri lettori per il nome dello stato che occupa la penisola italiana, ricorrente nel testo originale.
«Cari Presidi scriviamo da una terra lontana, parole che forse non siete più in grado di capire. Siamo gli studenti del collettivo delle scuole superiori di Pontedera, cinque scuole superiori, quasi cinquemila alunni. Insieme, in questo collettivo, dopo un anno di proteste condivise, dopo nove giorni di occupazione condotti senza far danni, facendo proposte, incontrando esperti, assessori, senatori, gruppi musicali. Siamo ancora insieme dopo una fiaccolata per festeggiare insieme l’Unità d’Italia e ancora insieme dopo un concerto di fine anno in difesa della scuola pubblica. Insieme, noi studenti, qualche professore, qualche genitore, qualche operaio della Piaggio, qualche amministratore e poco altro. Insieme a discutere, a fare politica, a impegnarci come in una fortezza, ultimo baluardo prima della deriva, ultimo baluardo che crede ancora nella scuola pubblica che difende ancora la cultura e la bellezza, quella vera, quella che ci guida per il domani e non quella inutile e triste di una escort».
«Ultimo baluardo di un paese alla deriva che non crede più nella solidarietà ma che diventa ogni giorno più solo e più cattivo. Noi siamo qui. Ancora a ritrovarci, ancora a guardarci negli occhi ancora a parlare, ancora. E voi? Voi dove eravate quando a poco a poco la scuola, e con essa il futuro di un intero paese, veniva scippata, derubata, quando a poco a poco tagliavano i bilanci, le ore, i professori, i banchi, la carta, le iniziative? Voi dove eravate mentre a poco a poco aumentavano le spese militari, le spese per la politica, le spese per le scuole private, per i privilegi, per le caste? Voi dove eravate quando si precarizzava il lavoro nel nome del libero mercato e della concorrenza, quando i vostri diplomati non sapevano dove sbattere la testa per trovare un lavoro? Voi dove eravate quando la cultura, che noi difendiamo era calpestata, derisa, ridicolizzata da grandi fratelli e idiozie televisive, quando l’informazione si faceva sempre di più disinformazione di regime? Forse dietro scrivanie ad applicare circolari contraddittorie e inapplicabili, contrarie al buon senso, contrarie a chi vuol difendere il diritto di una scuola pubblica di tutti e per tutti. Forse a dire che la legge è legge, che va applicata! Probabilmente dissero così anche i Presidi quando nel 1938 furono emanate le leggi razziali, forse dissero così, sicuramente dissero così».
«La Vostra generazione ci consegna un paese sull’orlo di un abisso economico, pieno di privilegi e di marciume, una mignottocrazia dove la cultura, quella che noi vogliamo difendere, ha meno valore di un calciatore panchinaro del Frosinone o di una velina semiscoperta di un programma in tarda serata. Ci dispiace ma non accettiamo le Vostre lezioni su come protestare, se Voi aveste saputo farlo a quest’ora non saremmo qui, a quest’ora avremmo un altro tipo di scuola. Ci dispiace ma la Vostra lotta, se lotta c’è stata, è fallita, le Vostre parole ormai sono vuote, forse inutili, smentite dai fatti, rinnegate dalla storia. Forse occuperemo, forse metteremo in atto altre forme di protesta o forse non faremo niente, ma non saranno le Vostre parole a dirci come fare. Incontriamoci, guardiamoci negli occhi, perché così bisogna fare, costruiamo insieme, senza ruoli. Ma niente lezioni e niente moralismi, per favore, la scuola non ne ha bisogno».

Collettivo scuole superiori di Pontedera