La concezione "occidentalista" della Repubblica Araba d'Egitto.

Il sobborgo cairota di Manshiet Nasser.

Nel 2011, con l'acume, la competenza, l'obiettività e la buonafede che li contraddistinguono ogni giorno di più, i gazzettieri hanno tentato di servire ai sudditi di tutto l'"Occidente" una lettura degli avvenimenti nordafricani e mediorientali che non contraddicesse i primari obiettivi del civilization export ed il previsto andamento di avvenimenti la cui presentazione gazzettiera assume forme talmente mendaci e distorte da rendere ridicolo qualsiasi dubbio in proposito.
Lo script è lo stesso da anni e le origini ne vanno fatte risalire nella loro ultima formulazione alla propaganda amriki che ha preceduto, accompagnato e seguito le guerre d'aggressione dell'ultimo decennio e le intromissioni negli affari altrui avvenute nello stesso periodo, le cosiddette "rivoluzioni colorate". Questo copione consiste nel presentare non soltanto come desiderabili, ma come gli unici ammissibili, i risultati di una weltanschauung neoliberista in cui l'unico rapporto con qualunque individuo, gruppo od organizzazione venga percepita come antagonista è costituito dalla distruzione.
Nulla deve opporsi alla tabula rasa che è prerequisito indispensabile all'impianto delle strutture sociali ed economiche desiderabili, destinate ad essere accolte passivamente da una popolazione shocked and awed dalle aggressioni militari (vere o minacciate che siano) e dalla perentoria delegittimazione della propria cultura. Il risultato finale deve essere non soltanto l'individuo definito esclusivamente dai consumi, ma da consumi "occidentalmente" desiderabili: autoschedarsi sul Libro dei Ceffi seduti ad un caffè di Damasco, indossare le monture dei pallonieri "occidentali" sulle montagne del Pamir non devono avere la valenza residuale che comunque hanno già da molto tempo: devono diventare dei costitutivi essenziali.
L'essenza gazzettiera della "primavera araba" è dunque fatta di giovani donne poco vestite, secondo il copione che impone di presentare come caratteristica ordinaria della quotidianità delle giovani donne libanesi comportamenti come quello di aggirarsi in mezzo alla neve alta con pochi vestiti addosso e una bottiglia di alcolico tra le mani. Ad un principio di realtà che si ostina a smentire le istanze "occidentaliste" non deve essere lasciato spazio alcuno.
Poi succedono cose come quelle che Sherif el Sebaie va prevedendo da mesi.
Il comportamento abituale dei gazzettieri ogni volta che la realtà inizia a prenderli a colpi di spranga consiste nel mettere a tutto la sordina. In gergo gazzettiero si dice "cambiare l'agenda setting". A questa abitudine internet permette di porre parziale rimedio, diffondendo scritti e considerazioni non in linea con la pornocrazia "occidentalista".
Per certe blogger di stile damasceno sembra si stiano preparando tempi grami, e la cosa non ci dispiace affatto.


Sherif El Sebaie - L'Egitto e la crema che sprofonda

"Io vi posso prevedere già ora che la minoranza laica soccomberà - non so se elettoralmente o fisicamente - nello scontro che inevitabilmente avverrà se continuerà a credere che i Salafiti siano davvero solo uno "spauracchio" in chiave antioccidentale e che non abbiano seguito nella società, meravigliandosi del loro numero e chiedendosi "da dove cavolo sono usciti fuori, tutti questi"". Lo scrivevo su questo blog il 31 luglio scorso. E così è avvenuto: a dimostrazione del fatto che avevo ragione quando scrivevo che "conosco i miei polli". I risultati del primo turno delle elezioni egiziane hanno finalmente certificato i fatti. I "fighetti di Tahrir" erano solo degli utili idioti: non hanno fatto nessuna rivoluzione, hanno solo accelerato un processo che era già in corso e che senza il loro generoso e incosciente contributo, forse ci avrebbe messo ancora qualche anno prima di compiersi definitivamente.
Sono gli stessi fatti che il sottoscritto esponeva su questo blog mentre qualche imbecille scriveva che ero un "agente del regime di Mubarak che detesta i giovani della borghesia colta cairota". In realtà io non ho fatto altro che scrivere, con un po' di anticipo, ciò che oggi Le Monde, in un editoriale intitolato "La grande solitudine dei progressisti", constata dati alla mano: il blocco laico progressista è uscito dalle consultazioni elettorali con le ossa rotte. Nessuno dei rappresentanti o dei candidati sostenuti dai "ragazzi di piazza Tahrir" e dagli storici movimenti di opposizione è riuscito a passare al primo turno. L'Egitto ha massicciamente votato a favore dei movimenti islamisti e un buon 20% è andato ai salafiti. E come se ciò non bastasse, il 90% degli egiziani sta dalla parte del consiglio supremo delle forze armate. In altre parole: i laici progressisti e i fighetti di Tahrir che continuano a manifestare rimangono scollati dalla realtà esattamente quanto - se non in una misura maggiore di - prima, quando sostenevano (con qualche gallina italica al seguito) che gli islamisti "si erano parecchio indeboliti", che "erano messi davvero male" e che i Salafiti erano uno "spauracchio confezionato soprattutto ad uso dell’Occidente, visto che prendere per il naso gli egiziani è parecchio più difficile". Continuo ancora a chiedermi dove sono vissuti questi signori - i cui quotidiani in Egitto parlano addirittura di "Sorpresa salafita" - in tutti questi anni.
L'Egitto è sempre stato come una grossa pentola messa su un fuoco lento. Per molto tempo, in superficie ha galleggiato una crema gustosa, quella che tanto piace alla Gauche Sardine italiota: intellettuali e scrittori da bestseller che criticavano il regime, registi che gareggiano con film di denuncia ai festival internazionali, borghesi che iscrivono i figli all'università americana, giovani fighetti che fanno opposizione passando da un convegno di facebook all'altro. Sotto quella crema c'è una minestra fatta di contadini, di operai, di gente semplice che si dibatte tra povertà e analfabetismo, che cerca di campare e sopravvivere giorno per giorno. E ancora più sotto, depositato sul fondo, un sedimento di integralismo e intolleranza: tenuto a bada fino all'altro giorno da un apparato repressivo, apparentemente immobile ma molto impegnato nel sociale. A differenza della crema, rimasta nei fatti separata dalla minestra come l'olio rimane separato dall'acqua, il substrato apparentemente immobile sul fondo della pentola intaccava la minestra e la permeava giorno dopo giorno, man mano che aumentava la temperatura.
Era solo una questione di tempo, e tutti lo sapevano: prima o poi il fondale sarebbe risalito in superficie e la crema sarebbe andata a fondo. Ciò che nessuno si aspettava, però, era che la crema facesse di tutto per accelerare questo processo, aumentando la temperatura e mettendo in ebollizione la pentola, nella convinzione - ingenua e errata - che avrebbe intaccato la minestra da cui è sempre rimasta isolata. Il giorno in cui la crème della società egiziana è scesa in piazza è lo stesso identico giorno in cui ha incosciamente e eroicamente deciso di andare a picco. Ora, esattamente come anticipato, gli appartenenti alla "crème" - come faranno gli occidentali che in questi mesi hanno fatto il tifo per i fighetti - si preparano a saltare dalla barca che hanno fatto affondare e lasciare il paese (vedi questo articolo del Mail & Guardian). E, come previsto, le conseguenze di tutto ciò ricadranno sui poveracci che non si possono permettere questo lusso. Come ha scritto Miguel Martinez,"chiunque abbia studiato un pochino di storia, sa che uno dei risultati inevitabili di ciò che sta succedendo sarà il genocidio, nel senso della distruzione di intere comunità umane le cui origini risalgono a secoli fa. E’ già successo ad armeni, assiri e greci in Turchia; agli ebrei in Iraq, Libia e Marocco; sta succedendo adesso ai cristiani in Iraq (e in una buona misura anche ai sunniti), ai neri in Libia e succederà ai copti in Egitto; e poi toccherà agli aleviti e ai cristiani della Siria, cui seguirà, forse il collasso anche del Libano".