Traduzione da Foreign Policy in Focus.

Quando gli Stati Uniti, il Regno Unito e la "coalizione dei volenterosi" aggredirono l'Iraq nel marzo del 2003, milioni di persone presero parte a proteste in tutto il mondo. Tuttavia, quella guerra all'insegna dello "Shock and awe" era solo l'inizio. La successiva occupazione dell'Iraq da parte dell'Autorità Provvisoria della Coalizione, a guida statunitense, portò il paese alla bancarotta e rase al suolo le sue infrastrutture.
Non è solo una questione di sicurezza. Nonostante l'inaudita violenza che ha accompagnato la discesa dell'Iraq dentro l'incubo del settarismo sia stata ben documentata in molti degli studi che hanno preso in considerazione una guerra che va avanti da dieci anni, il fatto che è spesso passato in secondo piano è che gli Stati Uniti, a volerla dire con termini molto generosi, hanno governato il paese spettacolosamente male.
Non che prima di essere occupato l'Iraq fosse un paese fiorente. Dal 1990 al 2003 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU aveva imposto all'Iraq le sanzioni più pesanti che si fossero mai viste. Insieme alle sanzioni, tuttavia, esisteva un complesso sistema di supervisione e di assunzione di responsabilità di cui facevano parte il Consiglio di Sicurezza, nove enti delle nazioni Unite e lo stesso Segretario Generale.
Il sistema non era certamente perfetto e gli effetti delle sanzioni sulla popolazione irachena erano devastanti. Ma quando sono arrivati gli Stati uniti ogni parvenza di supervisione da parte di organi internazionali è svanita del tutto.
Sotto le enormi pressioni esercitate da Washington, nel maggio del 2003 il Consiglio di Sicurezza riconobbe formalmente l'occupazione dell'Iraq da parte dell'Autorità Provvisoria della Coalizione (CPA) nella risoluzione numero 1483. Tra le altre cose, questa risoluzione conferiva alla CPA un controllo completo su ogni attività irachena.
Allo stesso tempo, il Consiglio smantellò ogni forma di controllo e di assunzione di responsabilità in vigore fino a quel momento: nessun ente delle Nazioni Unite avrebbe riferito sulla situazione umanitaria, nessun organismo del Consiglio di Sicurezza avrebbe avuto la responsabilità di controllare l'occupazione. Si sarebbe fatto qualche controllo sui fondi e solo a spese concluse, ma nessuno delle Nazioni Unite avrebbe direttamente supervisionato il mercato del petrolio. E nessuna organizzazione umanitaria si sarebbe assicurata del fatto che il denaro iracheno sarebbe stato speso in modo da recare beneficio al paese.


Condizioni umanitarie preoccupanti

Nel gennaio del 2003 le Nazioni Unite prepararono un piano operativo che prendeva in considerazione l'impatto di una possibile guerra. Anche se un'invasione del paese si fosse risolta con un "impatto di medie dimensioni", le Nazioni Unite si aspettavano che dal punto di vista umanitario la situazione ne sarebbe stata seriamente compromessa.
Dal momento che la popolazione irachena dipendeva in misura tanto grande dal sistema di distribuzione delle derrate alimentari controllato dal governo (una delle conseguenze delle sanzinoi internazionali) le Nazioni Unite riferirono che sovvertire il governo iracheno avrebbe messo a repentaglio anche la sicurezza alimentare. E dal momento che la popolazione già soffriva di una malnutrizione generalizzata, il rovesciamento del governo avrebbe avuto conseguenze pressochè letali, mettendo il trenta per cento dei bambini iracheni sotto i cinque anni in condizioni di rischiare la vita. Le Nazioni Unite rilevarono anche il fatto che se gli impianti di depurazione delle acque e di raccolta dei rifiuti fossero rimasti danneggiati a causa della guerra, o se la produzione e la distribuzione di energia elettrica avessero smesso di funzionare, gli iracheni avrebbero perso la possibilità di accedere all'acqua potabile, cosa che avrebbe fatto impennare il tasso di malattie epidemiche correlate alla mancanza di acqua. E se l'elettricità, i trasporti e le strutture mediche fossero rimaste compromesse, il sistema sanitario non sarebbe stato in grado di fronteggiare efficacemente la situazione. 
Durante l'occupazione, molte di queste circostanze si verificarono puntualmente. Un rapporto delle Nazioni Unite del giugno del 2003 affermava che nel dopoguerra acquedotti e fognature di Baghdad e di altri governatorati del centro e del sud del paese erano "in condizioni critiche". Nella sola Baghdad, secondo il rapporto c'erano danni nel quaranta per cento della rete idraulica, cosa che si traduceva nella perdita della metà dell'acqua potabile a causa di crepe e rotture. Peggio ancora, l'ONU riferì che nessuno dei due impianti di depurazione della città era in condizioni di funzionare, cosa che portava a massicci sversamenti di acque nere nel fiume Tigri.
La situazione alimentare era altrettanto grave. L'ONU appurò che il sistema agricolo era ormai collassato, a causa di "una diffusa insicurezza, dei saccheggi, del completo crollo dei ministeri e degli enti statali -gli unici che fornissero i beni e i servizi essenziali per la produzione agricola- e dei significativi danni subiti dagli impianti produttori di energia".
Il sistema sanitario peggiorò in modo drammatico. Meno del cinquanta per cento della popolazione poteva accedere a cure mediche, in parte a causa dei pericoli che lo spostarsi comportava. Oltre a questo, la relazione dell'ONU valutava in un settantacinque per cento la percentuale delle istituzioni sanitarie colpite da saccheggi nel caos dell'immediato dopoguerra. Nel giugno del 2003 tutto il sistema sanitario funzionava al trenta o cinquanta per cento della potenzialità che aveva prima della guerra e questo ebbe delle conseguenze immediate. All'inizio dell'estate i casi di malnutrizione acuta erano raddoppiati, la dissenteria era in piena diffusione e c'era poca assistenza medica disponibile. In agosto New York fu colpita da un black out: a Baghdad ci si scherzava su, dicendo cose come "Speriamo che non aspettino che siano gli americani ad aggiustare il guasto".
La CPA affidò ogni incombenza umanitaria all'esercito statunitense, non ad organizzazioni specializzate nella gestione delle crisi umanitarie, e marginalizzò gli organismi umanitari delle Nazioni Unite. Nei quattordici mesi in cui la CPA esercitò il potere la situazione umanitaria non fece che peggiorare. Malattie prevenibili come la dissenteria e il tifo imperversarono. La malnutrizione peggiorò e carpì la vita di sempre più neonati, di sempre più madri, di sempre più bambini. In tutto si verificarono centomila "morti in eccesso" nel corso dell'invasione e dell'occupazione; una cifra ben al di sopra e ben al di là dei tassi di mortalità ai tempi di Saddam Hussein, anche all'epoca delle sanzioni applicate sotto il controllo internazionale.
La CPA aveva delle priorità chiare. Dopo l'invasione, intanto che i saccheggi e le rapine imperversavano, le autorità di occupazione fecero poco per proteggere gli impianti di depurazione e gli acquedotti, o addirittura gli ospedali pediatrici. Al contrario, si adoperarono con prontezza per proteggere gli uffici del ministero del petrolio, assoldarono un'organizzazione statunitense perché mettesse fine agli incendi nei campi di perforazione, e fornirono protezione immediata agli stessi campi petroliferi.


La corruzione

Se tutto questo non bastasse, la CPA era anche profondamente corrotta. La maggior parte delle entrate dell'Iraq, che provenissero dalle vendite di petrolio o da altri cespiti, finivano ad onorare contratti in favore di imprese statunitensi. Fra i contratti di importo superiore ai cinque milioni di dollari, il settantaquattro per cento spettava ad imprese statunitensi e la maggior parte del rimanente a imprese di paesi loro alleati. Solo il due per cento andava ad imprese irachene.
Nel corso del periodo di occupazioni, cifre ragguardevoli semplicemente sparirono dalla circolazione. La Kellog Brown and Root (KBR), una controllata della Halliburton, venne retribuita in oltre il sessanta per cento di tutti i contratti che la riguardavano con fondi stanziati in favore dell'Iraq, nonostante questo modo di fare fosse stato spesso criticato dai revisori per questioni di onestà e di competenza. Nelle ultime sei settimane dell'occupazione gli Stati uniti spedirono in Iraq cinque miliardi di dollari in contanti, perché venissero spesi prima che si insediasse un governo a guida irachena. Secondo i revisori, i fondi per l'Iraq venivano sistematicamente depredati dai funzionari della CPA. Secondo uno dei loro resoconti, "Un contractor ha ricevuto un pagamento da due milioni di dollari in un borsone stipato di mazzette di banconote". "Un funzionario ha ricevuto sei milioni e settecentocinquantamila dollari in contanti, e l'ordine di spenderli una settimana prima che il governo iracheno prendesse il controllo sugli stanziamenti in favore dell'Iraq".
I funzionari americani secondo ogni apparenza non si preoccupavano minimamente dei grossolani abusi commessi con il denaro che veniva loro affidato. In un caso particolare la CPA ha trasferito qualcosa come otto miliardi ed ottocento milioni di denaro iracheno senza esibire alcun giustificativo di spesa. L'Ammiraglio David Oliver era il principale responsabile per le questioni finanziarie della CPA; quando gli fu chiesto qualcosa in proposito rispose che "non ne aveva idea" e che non pensava che la questione avesse una qualche importanza. "Miliardi di dollari dei loro soldi?" chiese a sua volta all'interlocutore "E che differenza fa?".
In conclusione, nulla di tutto questo dovrebbe risultare particolarmente sorprendente: la corruzione, l'indifferenza per le necessità della vita quotidiana, la preoccupazione unica per il controllo della ricchezza petrolifera irachena. Era tutto ovvio fin dal momento in cui il Consiglio di Sicurezza, sotto le smisurate pressioni statunitensi, approvò la risoluzione 1483.
Con la sistematica rimozione di ogni forma di controllo nei confronti dell'amministrazione che essi stessi avevano imposto all'Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati gettarono le basi per il saccheggio delle ricchezze di un intero paese, favorita dalla loro assoluta indifferenza per i bisogni e per i diritti della popolazione. Dieci anni dopo l'inizio della guerra, la disastrosa esperienza di governo della CPA in Iraq accompagna l'orribile discesa del paese in un abisso di violenza come un oscuro retaggio.