Con l'implosione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, negli ambienti politici e mediatici della confinante penisola italiana è andata imponendosi abbastanza rapidamente una vulgata propagandistica vittimista e piagnucolosa sulle vicende della storia contemporanea al confine orientale. L'istituzione di un "Giorno del Ricordo" ha preteso di sancire l'oggettività e la fondatezza di questa visione; nei mass media e nella politica di rappresentanza la prassi consolidata è quella di rintuzzare ogni critica -specie se fondata- evitando con cura di entrare nel merito e accusando chi la muove di coltivare nostalgie inconfessabili.
Jože Pirjevec ha pubblicato Foibe nel 2009. Il volume comprende un suo saggio di vasto respiro sul contesto storico contemporaneo del confine orientale della penisola italiana e alcuni contributi centrati su temi specifici, curati da docenti e ricercatori per lo più gravitanti attorno ad atenei sloveni e croati. In tutti gli scritti il carattere dell'opera è quello storiografico, con poco spazio per l'aneddotica e la puntuale citazione di fonti di cui non vengono taciute eventuali lacune o incompletezze.
La trattazione di Pirjevec (Foibe: quale verità?) è la prima del volume, si estende per oltre duecento pagine e abbraccia oltre centosessant'anni di storia, rintracciando nei moti nazionalisti del 1848 e nel clima culturale contemporaneo i primi segni di un radicale cambio di atteggiamento nei confronti di una popolazione slovena e croata fino a quel momento considerata negli ambienti colti della penisola italiana e dell'Europa centrale come degna di un bonario interesse folkloristico. L'inedito presentarsi sulla scena di popolazioni slave animate da obiettivi politici e sociali propri iniziò a farle percepire alla élite cittadine come pericolose e sfacciate concorrenti, e il progressivo indebolirsi della monarchia asburgica ebbe luogo in un clima di crescente denigrazione degli s'ciavi dalla lingua incomprensibile, da cui l'Istra che contava (o che pensava di contare) cominciava a sentirsi assediata.
Nel proprio lavoro di confutazione della propaganda, Pirjevec si occupa anche di negarne gli assunti di partenza, primo tra tutti quello dell'uniformità etnica di Istra, Primorska e relativi grandi centri urbani, in cui il proletariato sloveno e croato si trasferiva per le opportunità di lavoro e la migliore qualità della vita che essi offrivano. Alcune perentorie pagine sono dedicate all'intervento della monarchia sabauda nella prima guerra mondiale, mosso da obiettivi imperialistici privi di alcun riguardo per quei principi etnici cui il Regno, uscito nel 1945 dalla peggior sconfitta immaginabile, cercherà per ironia della sorte di rifarsi per evitare che la Jugoslavia socialista annettesse tutto il territorio fino all'Isonzo e oltre. Altrettanta attenzione è dedicata al trattato di Rapallo nel 1920 e alla successiva trasformazione di Trst e della "Venezia Giulia" in un laboratorio ventennale di distruzione fisica delle sedi di dissenso, di assimilazione forzata, di snazionalizzazione e in buona sostanza di identificazione tra popolazione e regime fascista. Un'identificazione destinata successivamente a influire molto sulle sorti della regione -e non certo per il meglio- specie in considerazione del fatto che l'aggressione e lo smembramento del Regno di Jugoslavia a partire dall'aprile del 1941 furono affrontate con gli stessi criteri, nella certezza di un facile bottino. Nel 1943 gli oltre vent'anni all'insegna di una condotta eufemisticamente definibile come poco oculata porteranno, avvenuto lo sbandamento del Regio Esercito, a un'ondata di vendette destinata a raggiungere vette di estrema violenza. Pirjevec sottolinea il fatto che un certo uso delle cavità carsiche come sepoltura più o meno improvvisata e il loro auspicio come destinazione finale per nemici più o meno concreti e più o meno numerosi non si è certo affermato con l'arrivo degli "slavocomunisti". Durante il fascismo certa poetica spicciola (per lo più in lingua veneta) aveva esplicitato propositi identici: o gli s'ciavi capivano con le buone che era il caso di stare al proprio posto, o si sarebbe provveduto altrimenti.
In questo modo l'A. definisce il contesto in cui si sarebbe verificata l'ondata discontinua di vendette che precedette la rioccupazione tedesca dell'Istra, dopo la quale vennero recuperate da varie foibe le salme di 204 vittime immediatamente utilizzate dalla propaganda nazionalsocialista e soprattutto da quella fascista in produzioni granguignolesche, i cui dettagli macabri (in genere inventati di sana pianta) avrebbero avuto grande diffusione nei decenni successivi. La demonizzazione della popolazione slovena e croata, stigmatizzata nella sua endogena malvagità capace di crudeltà metafisiche, sarebbe entrata a far parte del linguaggio politico della regione per non uscirne più, al pari della indicazione del settembre 1943 come "giorno zero" della storia contemporanea della regione, presentato decontestualizzandolo e omettendo con cura qualsiasi riferimento agli eventi che lo avevano preceduto.
Pirjevec esamina quindi nel dettaglio gli avvenimenti degli ultimi mesi di guerra a Trst e in Istra, con particolare attenzione alla "corsa" per la liberazione della città e alla presenza delle forze jugoslave a Trst; in questo non pare animato dal presentare con particolare indulgenza -e men che meno in termini apologetici- l'operato della IV armata, della OZNA (la polizia politica) che ne faceva parte e del IX Korpus sloveno che posero spicciativamente le basi per un governo da repubblica popolare in tutti i territori liberati. L'A. rileva che a prescindere dagli abusi commessi nell'immediato -i cui numeri sono comunque molto esigui a fronte delle cifre a quattro o a cinque zeri allora come oggi riscontrabili nelle fonti propagandistiche- la macchina propagandistica "occidentale" rilevò materiali, dati e concezioni da quella nazionalsocialista e fascista e fece il possibile affinché il mito del maresciallo Tito ne venisse eroso il più possibile agli occhi dell'opinione pubblica. Il saggio dedica ampia trattazione a illustrare come l'interesse per le foibe e per il loro contenuto sia cresciuto in questo contesto e in questo clima, per fini tutt'altro che disinteressati e ad opera di figure e figuri prossimi -quando non collusi- al fascismo e al nazionalsocialismo; particolare cura Pirjevec pone nel produrre documentazione in grado di smentire il ricorrente assunto che vorrebbe un pozzo minerario alla periferia di Trst, lo šoht di Bazovica poi monumentalizzato, colmo di centinaia di vittime civili reclamate dalla su postulata crudeltà slavocomunista. Un dettagliato esame delle fonti disponibili nota l'inconsistenza delle pretese della propaganda, a tratti con addentellati non troppo edificanti (il sindaco democristiano Giovanni Bartoli pubblicò un lacrimoso e pasticciato Martirologio delle genti adriatiche negli stessi anni in cui lo šoht veniva -su sua autorizzazione- usato come immondezzaio) e soprattutto smentendone categoricamente qualsiasi cifra (il quotidiano sloveno Primorski dnevnik sosteneva con buoni argomenti nel 1959 che il numero degli scomparsi in tutta la provincia di Trst dopo l'8 settembre 1943 assommava alla fin fine a 111 persone). Secondo le evidenze documentali, durante gli anni del Territorio Libero la propaganda contraria alla Jugoslavia produsse una quantità di attestazioni esagerate o prive di riscontro, al punto che i funzionari alleati presenti nella zona, dopo plateali smentite alla luce dei fatti, smisero in pochi mesi di inoltrarne le istanze ai propri superiori.
L'A. dedica un accurato excursus alla formazione della narrazione scotomizzata della propaganda e ad una sua imposizione al mondo politico e all'agenda mediatica. La deliberata elevazione a postulato di un'operazione di revisionismo storico, che tutto l'arco costituzionale della penisola italiana ha avuto interesse ad avallare per motivi tanto vari quanto poco alati; con la stessa attenzione procede a qualificare, dati alla mano, come basata su "falsi storici, pressappochismo e infondatezza sulle cause di morte" la insistente opera di tale Marco Pirina e del centro studi Silentes loquimur, per i quali furono scomodati paragoni con Wiesenthal. Secondo l'uso comune nella penisola italiana, invece che i ricercatori e gli archivi i locuti che postulavano genoicidi senza mostrare prove che non fossero più volte state oggetto di veementi smentite (se non di vero e proprio scherno) andarono a interessare direttamente i giudici e i tribunali, con conseguenti processi finiti in niente dopo un bel numero di anni, obbligando una storiografia animata da ben altra serietà a tenere conto anche di questo.
Il lavoro di Pirjevec è seguito da saggi più brevi, centrati su aspetti specifici del tema.
Darko Dukovski affronta in particolare il tema de Le foibe istriane nel 1943, confermando in meno di trecento il numero di vittime estratte dopo la rioccupazione della regione da parte della Wehrmacht e la prassi, condivisa da tutte le formazioni armate in campo, di ricorrere spesso a questo genere di sepoltura. Dukovski sottolinea il verificarsi, nei mesi di settembre e ottobre del 1943, di arresti ed esecuzioni arbitrarie, di vendette pure e semplici e l'azione di individui dediti ad efferatezze tali da non essere compianti nemmeno dai loro stessi compagni d'armi, come Mate Stemberga. Al contempo ribadisce il carattere spiccatamente antifascista degli arresti e della repressione.
Lo scritto di Nevenka Troha affronta il problema de La questione delle "foibe" negli archivi sloveni e in quelli dello stato che occupa la penisola italiana e si apre evidenziando una carenza importante. Gli archivi inerenti la permanenza jugoslava a Trst nel maggio del 1945 sarebbero conservati in Serbia, dove al 2008 non erano accessibili e dove è verosimile che quelli dell'OZNA siano andati distrutti nei bombardamenti della NATO del 1999. Dalla documentazione rimasta risulta che le forze jugoslave agirono considerandosi l'unica formazione liberatrice e trattando il CLN di Trst come una formazione messa insieme all'ultimo momento attingendo uomini e armi dai collaborazionisti. I materiali sloveni documenterebbero anche la fitta campagna antislava organizzata immediatamente dal CLN locale approfittando opportunisticamente di ogni errore, e l'esistenza di un piano di epurazioni basato su elenchi prestabiliti e sulla raccolta di denunce, con la prova della sanzione di svariati eccessi. La documentazione non attesta in alcun modo l'esistenza di una "pulizia etnica" pianificata e men che meno di un preteso genocidio.
Argomento trattato da Gorazd Bajc è la questione de Gli angloamericani e le "foibe". Secondo Bajc i servizi statunitensi poterono raccogliere fin dal 1943 una fitta documentazione allarmata su quanto stava accadendo in Istra e in cui si auspicava una rapida occupazione della regione da parte delle formazioni armate occidentali. A differenza della propaganda, né gli statunitensi né le alte cariche dello stato che occupa la penisola italiana nascosero il fatto che gli eccessi commessi andavano considerati una risposta ai venti e più anni di deliberata oppressione fascista. Per il maggio 1945 britannici e statunitensi poterono contare su informazioni di prima mano ma non sempre concordanti tra loro, e in misura crescente classificate come "emotive". La scarsa conoscenza delle trascorse vicende non aiutò certo la comprensione di determinati comportamenti, a cominciare dagli arresti e dalle requisizioni ai danni dei fascisti che i combattenti jugoslavi considerarono un proprio diritto.
La documentazione alleata non contiene molto materiale sulle foibe propriamente dette e l'A. ne conclude che -qualsiasi cosa se ne pensasse allora e se ne pensi oggi nelle redazioni della penisola italiana- il fenomeno deve essere stato marginale. Se così non fosse stato, nel contesto della guerra fredda incipiente, con la Jugoslavia ancora saldamente alleata dell'Unione Sovietica, l'attenzione per certe vicende sarebbe stata senz'altro molto maggiore. Molto documentate invece sono le vicende dello shoht di Bazovica, in cui il CLN giuliano pretendeva fossero stati gettati almeno seicento corpi di quelle che la propaganda indicò come vittime della barbarie slavocomunista. E dei quali ripetute esplorazoni non trovarono traccia, dal momento che secondo le fonti alleate da quel pozzo minerario al febbraio 1946 furono estratti i corpi di centocinquanta soldati tedeschi e di un solo civile.
In tutti i fenomeni considerati le fonti alleate -che presentano una certa professionalità e che nel caso della Jugoslavia non avevano interesse (tutt'altro) a coprire o tralasciare alcunché- confermano una forte discrasia tra risultanze oggettive e pretese propagandistiche, sia per il caso delle foibe che per quello dei prigionieri politici e di guerra.
In coda al volume è un saggio di Guido Franzinetti su La riscoperta delle "foibe". Una scarna esposizione della procedura di costruzione revisionista che ha imposto ai mass media e alla politica di rappresentanza la vulgata vittimista che ogni anno, attorno al dieci febbraio, riprende vigore per qualche ora. Un lavorìo continuo in cui si sono assommate malafede pura e semplice, ricostruzioni romanzate, povertà metodologica, rifiuto sistematico di ricorrere a fonti documentali che potessero smentire conclusioni già tratte, accostamenti improponibili (uno su tutti, lo šoht di Bazovica e la Risiera di San Sabba) per porre fine a una mai esistita "congiura del silenzio".


Jože Pirjevec - Foibe. Einaudi, Torino 2009. 376 pp.