Nel gennaio del 2006 Harakat al-Muqawama al-Islamiyya -il Movimento Islamico di Resistenza, abbreviato in Hamas- partecipò, tra la degnazione venata di scherno condiscendente della "libera informazione" occidentale, alle elezioni indette dall'Autorità Nazionale Palestinese.
E le vinse, dimostrando a quanti avessero ancora bisogno di conferme in questo senso che la "libera informazione" occidentale è una cosa e la realtà un'altra, tutt'altro che coincidente. Inutile dire che il risultato elettorale poco in linea con le aspettative suscitò reazioni stizzite sia nei mass media che nelle cancellerie.
Il libro di Paola Caridi fu pubblicato pochi mesi dopo l'estromissione di Fatah dalla striscia di Gaza avvenuta nel 2007 e ripercorre i primi vent'anni di storia di Hamas, dalla nascita all'epoca della prima intifada fino al periodo postelettorale su accennato. Lo stile è quello dell'inchiesta, in cui si mescolano citazioni da interviste e testimonianze in prima persona. Il lungo stallo politico seguito agli eventi del 2007 ha in parte congelato le dinamiche politiche di Gaza e della Cisgiordania, rendendo la lettura ancora attuale. L'introduzione muove dalla vittoria elettorale del 2006; il libro intende definire la natura, i fondamenti ideologici, l'agenda e la pratica politica di Hamas per giungere a dare qualche ragione del suo successo. Già il primo capitolo inquadra la natura del movimento islamico palestinese nella sua doppia natura di organizzazione sociale e di resistenza. Un exursus sulle origini di Hamas prende le mosse da alcune note storiche sulla città di Gaza e dalle vicende dei Fratelli Musulmani in Palestina, per arrivare alla riunione con cui, nel 1987, Harakat al-Muqawama al-Islamiyya venne fondato a casa di Ahmed Yassin nel corso della prima intifada.
Le istantanee sul mondo di Hamas del secondo capitolo non aggiungono solo del colore; descrivono i principali campi di azione del movimento e introducono uno degli interrogativi centrali del testo, quello sul successo politico ed elettorale di una formazione che la "libera informazione" occidentale ha sempre avuto cura di ritrarre nel peggior modo possibile.
L'autrice indica nella vicinanza alla popolazione e nella capacità di interpretarne l'umore e di coglierne le necessità autentiche regolando di conseguenza l'agenda politica e organizzativa il fondamento dell'affermazione di Hamas. Le testimonianze raccolte dalla Caridi forniscono elementi utili ad un'interpretazione seria di alcuni temi su cui la "libera informazione" punta in modo reiterato, come la poligamia o l'uso dello hijab. Il successo elettorale di Hamas deve non poco al suffragio femminile, cosa che la "libera informazione" ha collocato senza troppo curarsene tra le questioni da non sollevare.
L'incipit del terzo capitolo affronta uno dei cavalli di battaglia preferiti della "libera informazione" occidentale, la "Carta" fondativa del 1988 per cui Hamas perseguirebbe indefessamente la distruzione dello stato sionista. L'A. rileva come dal 2005 almeno Hamas abbia tentato di superare le consegne della fondazione senza smentirle, facendo rilevare come le costituzioni di vari paesi "occidentali" prendano le mosse da obiettivi altrettanto perentori senza che nessuno se ne serva per rapportarvisi in concreto. Lo scritto prosegue affontando la questione dei rapporti tra Hamas e stato sionista, prendendo in considerazione il relativo assecondamento su cui Hamas poté contare per le proprie attività sociali e assistenziali nei primi anni successivi alla fondazione; lo stato sionista non aveva motivo di ostacolare oltre un certo limite un movimento in cui, all'epoca, vedeva una forza quietista e conservatrice in grado di contrastare i movimenti laici. Una politica destinata a cambiare radicalmente negli anni a venire, tra espansioni territoriali, omicidi mirati spesso riusciti -come quello dello stesso Ahmed Yassin- a volte meno, come la tentata eliminazione in Giordania di Khaled Meshaal, che per lo stato sionista ebbe conseguenze piuttosto serie sul piano diplomatico.
Il quarto capitolo riguarda il rapporto di Hamas col proprio braccio armato e identifica le motivazioni che hanno spinto Hamas ad appropriarsi della figura di Izz al Din al Qassam, il predicatore morto in età assai matura combattendo contro gli occupanti britannici diventato personificazione dell'impegno religioso, che diventa civile e resistenziale al tempo stesso. La ricostruzione cronologica di Paola Caridi consente anche di contestualizzare (e in sostanza di smentire, se non di deridere) l'assunto della propaganda sionista e "occidentale" sulla malvagità metafisica di chi ricorre all'arma dell'attentato suicida. Hamas iniziò a ricorrervi dopo il massacro di Hebron di cui fu autore Baruch Goldstein il 25 febbraio 1994, e smise di ricorrervi non perché in questo dissuaso dagli omicidi mirati messi a segno dallo stato sionista, che non sono riusciti né a decapitare la resistenza né a toglierle sostegno, come le elezioni del 2006 avrebbero dimostrato- ma perché la popolazione palestinese non approvava più questo genere di iniziative. Il libro illustra anche come i tentativi di arrivare a una tregua con lo stato sionista, condotti attorno al 2003 anche con il mediatore britannico Alastair Crooke, fossero stati tutti rigettati dai vertici sionisti. Il testo si occupa anche dei rapporti tra Hamas e l'Autorità Nazionale Palestinese e Fatah in particolare; rapporti destinati a un graduale deterioramento. Il quinto capitolo tratta de La svolta di marzo, la decisione di Hamas di partecipare alle elezioni legislative palestinesi del 2006. Nel 2004 la morte di Arafat aveva preceduto un'intensa campagna di omicidi selettivi ad opera dello stato sionista, deciso a indebolire Hamas e a farle perdere consensi e sostegno. Un tentativo non soltanto fallito, ma anche controproducente. Fu nel quadro del successivo ritiro sionista da Gaza e dell'affermazione (in qualche caso clamorosa) alle elezioni amministrative tenutesi nello stesso periodo che i vertici di Hamas, dopo un ampio dibattito tra la diaspora palestinese, Gaza, Cisgiordania e popolazione detenuta, decisero per la presentazione di liste proprie alle elezioni legislative. L'unico e parziale precedente in materia risaliva a dieci anni prima.
Caridi illustra come Il giorno che sconvolse l'ANP nel febbraio 2006 giunse senza il "convitato di pietra" Ariel Sharon, ritiratosi per malattia poche settimane prima. E illustra le reazioni poco composte delle cancellerie e della "libera informazione" occidentale davanti a risultati per nulla in linea con quanto auspicato. Poi passa ad un esame un po' più serio delle motivazioni che portarono Hamas alla vittoria, in un esercizio compiuto di democrazia rappresentativa; la conoscenza delle aspirazioni e delle necessità dell'elettorato, la riscoperta del retaggio culturale e formativo dei Fratelli Musulmani, la contrapposizione come espressione della società civile a un Fatah che era cresciuto come partito-stato. Il partito termina con l'esame delle vicissitudini dell'esecutivo guidato da Hamas, alle prese con un boicottaggio internazionale voluto e capeggiato dagli stessi paesi "occidentali" (USA in testa) che avevano voluto le elezioni, tenutesi con una regolarità attestata dagli stessi osservatori internazionali.
L'ultimo capitolo è dedicato al precipitare dei rapporti tra Hamas e Fatah e all'estromissione di quest'ultimo dalla striscia di Gaza, avvenuta manu militari nel 2007, e alla successiva cristallizzazione dello stato di cose deciso dalle armi. Il volume si chiude con un epilogo riassuntivo che negli spunti di riflessione presentati tiene fede al proposito di descrivere Hamas senza nessuna indulgenza né verso il ritratto che ne presenta incessantemente la pubblicistica filostatunitense e filosionista né verso gli errori e le manchevolezze del Movimento Islamico di Resistenza.


Hamas. Che cos'è e cosa vuole il movimento radicale palestinese. Feltrinelli, Milano 2009. 288 pp.