Uscito per Feltrinelli nel 1998 e ripubblicato da DeriveApprodi soltanto quindici anni più tardi, Compagna luna è il primo libro di Barbara Balzerani. L'autrice ha militato per dieci anni -fra il 1975 e il 1985- in una organizzazione armata irregolare; in una nota introduttiva alla nuova edizione definisce il suo scritto come il tentativo di ripercorrere una storia collettiva attraverso le diverse stagioni di un'esistenza, la sua. Nelle stesse righe ricostruisce anche le sorti della pubblicazione, ben accolta e recensita fino a quando un perentorio articolo di Antonio Tabucchi non pose (provvisoriamente) termine alla sua vita editoriale.
La prefazione di Mimmo Sammartino sottolinea che tocca anche a testi come questo, romanzo ricco di riferimenti autobiografici e aneddotici, raccontare la storia di anni comunemente definiti "di piombo" e che Erri de Luca preferì definire "di rame", per la velocità da corrente elettrica con cui si diffondevano l'energia vitale e lo spirito critico che li caratterizzavano. E che tocca ad autori come questo sottolineare che non possono esistere "colpevoli per sempre" cui è lecito togliere la parola, specie a detenzione scontata.
L'A. scrive per chi conosce "il disagio di un mondo di rappresentazioni che sempre meno significano la memoria e l'esperienza di ciascuno" per restituire parte della propria memoria e della propria esperienza; questa è la sostanza dei tredici capitoli del testo, in cui si susseguono aneddotica autobiografica e riflessioni.
Nell'articolo cui si è fatto cenno, pubblicato sul "Corriere della Sera" nel luglio del 1998, Antonio Tabucchi vi trovava "un fastfood di manualistica rivoluzionaria dove si danno la mano, a loro insaputa, un Lenin di propaganda ed un D’Annunzio di periferia, una mistica militare, reticenze, allusività, stereotipi, il linguaggio delle sentinelle del colonello Gheddafi ed un kitsch che ricorda i libretti di Henver Hoxha, i sentimenti di Sanremo e l’oggettistica dei santuari dove piangono le madonne".
Chi scrive invece -si licet parva componere- non ha l'abitudine al fast food e nemmeno quello alla manualistica rivoluzionaria per cui non ha colto in Compagna luna alcuna atmosfera di questo tipo.
Vi ha trovato piuttosto, in un linguaggio stringato dove pesa ogni parola, la testimonianza di una provincia industriale dove il lavoro alle dipendenze di un padronato paternalista bastava appena per una vita tollerabile, dove malattia professionale e licenziamento erano la stessa cosa, dove vigeva ancora una immutabilità di ruoli che nulla riusciva a scalfire. Vi ha trovato l'abbandono della provincia come rottura di un assetto immutabile, la politica di piazza del 1969, il tentato colpo di stato del 1970 e gli interrogativi che ne derivarono nel mondo dell'attivismo politico, con la sinistra istituzionale che "in cambio di un sostanziale arretramento di posizioni" prometteva "un riparo dalle mai sopite tentazioni della destra fascista", e lo riuscito colpo di stato cileno di tre anni dopo, "frustata in pieno viso" che spinse molti al "mai più senza fucile". Non vi ha trovato alcun fratello mitra, ma la ribadita consapevolezza del salto consapevole e della ridefinizione dello scontro che il ricorso alle armi comporta. Le armi di una formazione irregolare accolta dalla tranquilla presa di distanza di maîtres à penser spesso dalla carriera assicurata, tra i quali sarebbe prevalsa una conventio ad excludendum che a seconda dei casi ne bandiva gli appartenenti dalle file comuniste, dalla politica o direttamente dal genere umano. Vi ha trovato evidenziati i limiti di un femminismo che nella militanza imponeva l'adozione di stereotipi maschili in armi già deleteri per conto proprio. Vi ha trovato una descrizione del sequestro di Aldo Moro priva di qualsiasi compiacimento, con anzi l'aperta ammissione di aver sottovalutato la resilienza di un nemico che non avrebbe fatto una piega neanche davanti agli appelli del prigioniero, continuando ad asserire che i suoi rapitori altro non erano che espressione di una eterodirezione purché fosse, anziché il più esacerbato frutto di un clima di cui era il primo responsabile. Vi ha trovato una narrazione che non tralascia le incertezze, non sorvola sugli errori, descrive nel dettaglio le sensazioni dell'isolamento e della vita alla giornata di chi combatte un nemico incommensurabilmente più forte che a un certo punto poté contare sulla devastante collaborazione di prigionieri che cambiavano fronte da un giorno all'altro "con lo scopo dichiarato di distruggere quanto rimane di quello che fino a ieri dichiaravano che avrebbero difeso con la loro stessa vita". Vi ha trovato la fine convulsa di un'esperienza che non aveva avuto modelli su cui basarsi per nascere e non ne ebbe neppure per morire. Vi ha trovato descritta la figura di Umberto Caltabiani e la sua morte, nell'"anno della disfatta" 1982. Vi ha trovato l'epilogo con gli anni Ottanta, il carcere che è duro e che separa mentre fuori finiva nel disincanto qualsiasi cenno di utopia. Vi ha trovato i particolari dell'arresto e dei fine pena mai. Vi ha trovato enumerate le prassi usate in ogni sede per sminuire, isolare, decontestualizzare un'esperienza combattente clandestina durata più di dieci anni: "l'unico brigatista buono, dopo quello morto, doveva apparire come una figura ambigua, figlia di nessuno, eterodiretta e soprattutto isolata dai movimenti di massa". Vi ha trovato senza difficoltà l'esatto contrario di quanto vi aveva reperito il suo alto recensore.
Resta da capire che cosa si rimproverasse all'autrice. Il concetto che dovesse arrivare "al nodo più profondo, al cuore di tenebra" o preferire il silenzio fa pensare che non esista alcuna alternativa a un destino da brigatista buono.


Barbara Balzerani - Compagna Luna. DeriveApprodi, Roma 2013. 142 pp.