La sirena delle cinque è il secondo libro di Barbara Balzerani, una raccolta di tredici racconti uscita nel 2003 per Jaca Book e riedita nel 2015 da DeriveApprodi con l'aggiunta di altri due scritti. Nella prefazione alla prima edizione Ivan della Mea definiva il libro come caratterizzato da "una scrittura asciutta, sensata, ricca di senso" cui dedicare senz'altro più di una lettura. Lo stesso prefatore e l'introduzione dell'autrice accennano anche alle vicissitudini di Compagna luna, il primo libro pubblicato qualche anno prima cui era seguita una polemica con Antonio Tabucchi.
I racconti del libro hanno orientamento autobiografico, e Barbara Balzerani ha fatto parte per dieci anni di una formazione armata irregolare protagonista di atti di assoluta rilevanza. Chi ne affrontasse la lettura partendo da questo dato non vi troverebbe molti stimoli, perché la metà degli scritti prende a spunto episodi dell'infanzia e della prima adolescenza e l'altra metà fa riferimento alla lunga incarcerazione.
All'infanzia si riferisce Casa, il primo della raccolta. Gli anni Cinquanta del XX secolo, il grigio di una cittadina industriale, la vita a contatto stretto con i diretti rappresentanti di una classe padronale che riusciva senz'altro a farsi percepire come siderea e temibile dagli adulti, ma che a una bambina propensa a differenziare in base a "capacità di cuore e ingegno di mani" sembra composta da persone "malate, insterilite nella inutilità delle loro occupazioni" alla cui esistenza doveva senza dubbio provvedere qualche spirito maligno, mentre l'esistenza delle persone normali era scandita dalla sirena delle cinque che indicava la fine della giornata di lavoro.
La tinozza prende spunto da un excursus sulle condizioni di vita -che potremmo eufemisticamente definire spartane- nelle case operaie dello stesso periodo, dominate dalla cucina economica. Il ricordo dell'autrice per una sorella maggiore rimanda a un'opera di Degas intitolata allo stesso modo.
Spose. Il contrasto fra i rituali domestici dell'abito nuziale e dei preparativi costosi da una parte, e le considerazioni all'insegna del "Non avere fretta, che c'è sempre tempo per la fatica e l'infelicità di noi donne" dall'altra, a lasciar intuire il matrimonio come inzio di una vita tale da indurre l'autrice bambina a giochi apotropaici che conservassero lei e la sorella da tanta maledizione. Il matrimonio riparatore della madre, che aveva reso rispettabile l'unione di una contadina priva di mezzi col figlio di un capo operaio ma non le aveva assicurato nella nuova famiglia un benvenuto privo di riserve.
Mio fratello, un operaio è il primo dei due scritti aggiunti aella nuova edizione del 2015. Un excursus sul prima, il durante e il dopo di quarant'anni di lavoro in condizioni logoranti, col conto al progresso pagato con l'attaco di un cancro "ambientale" passato "come uno tsunami" fra gli occupati nel settore, una vita di lavoro per "due settimane all'anno a fare i fanghi per le sue ossa gualcite, una piccola macchina, gli studi per le figlie. Un'inezia per la montagna di profitti prodotti dalle sue mani" e un pensionamento presentato come privilegio da chi "per mestiere non fa che pensaer a come spremere fino all'ultima goccia di sangue chi porta l'intero paese sulle spalle". Un proletario ancora in vita nell'epoca della fine della classe operaia, e all'eclissarsi della grande speranza del Novecento affidata alla sua funzione rivoluzionaria.
Il secondo scritto è Tifo. Il padre e la passione per il calcio, le radiocronache, la schedina settimanale con la A.S. Roma sempre data vincente, i dispetti fra opposte fazioni. Una rivalsa per "una condizione che non permetteva altri campi di gioco né tantomeno altre vittorie". Finché tutto ha smesso di essere gioco popolare di gambe e di testa, ed è diventato "affare di politica, denari e divi buoni per la tv", con la partita vera combattuta per le strade da esaltati "senza un progetto in testa se non quello di nutrirsi di pane e rabbia, per mostrare di essere vivi a colpi di adrenalina". Gente cui è assegnata una parte in un gioco truccato, quella di "dare argomenti ai perbenisti che vorrebbero sempre la moderazione altrui", vittima designata di chi "prima ruba il futuro e poi ne fa una colpa al derubato".
Con Pupa iniziano i testi che si riferiscono al lungo periodo di detenzione seguito all'arresto di Barbara balzerani nel 1985, cominciando col breve tratteggio di una maternità in carcere.
Gite, sui brevi allontanamenti concessi dal regime di semilibertà, muove dal ricordo di un tardo pomeriggio all'aperto -il primo dopo anni- in cui a un gruppo di detenute chissà quale " visitatore garante" aveva consentito di rientrare in sezione passando per un vialetto esterno anziché per il prescritto percorso blindato. Dallo spaesamento della provvisoria e limitatissima libertà ritrovata il racconto approda ai ricordi di famiglia dello sfollamento di guerra in un paese collinare del Lazio.
Polveri torna all'infanzia, al ricordo del brusco risveglio e alla fuga da casa in piena notte per il pericolo di un incidente nella vicina fabbrica di munizionamento che era ragione stessa di esistere praticamente per l'intero abitato. Il contrasto di una doppia invocazione a Santa Barbara delle donne del paese e di una bambina che le si rivolge per motivi opposti.
Ritorni. Emigrati ed emarginazione, di oggi e di ieri. Un ambulante su una spiaggia, uno zio da un borgo del Veneto letteralmente cancellato dall'emigrazione, una "nomade di origine slava" giovanissima in un istituto minorile. "I deboli del mondo hanno tutti la stessa faccia. A qualsiasi età e in ogni tempo". Che il ritorno sia per loro quello ad una casa ancora in piedi, a una casa che non esiste più, o che ritorno non è affatto.
Fuga invece tratteggia, in toni tragici, la storia di un'amica di gioventù che ha trovato una fuga senza ritorno in "una diagnosi che la protegge da ogni intromissione nella sua vita passata".
Corpi. L'attività fisica. Da ragazza, nell'ora di educazione fisica che era "come un'intrusa appena tollerata" e poi da prigioniera, con la riscoperta di questa o quella parte del corpo che per tutto quel tempo "avevano servito in buona ignoranza".
Donne presenta una serie di riflessioni sui temi della prigionia. Il rapporto con i compagni (a volte detenuti anch'essi), con i figli e i familiari liberi, con istituzioni pensate al maschile anche nei particolari, con la maternità.
Amiche è il racconto di un'amicizia. Della sua nascita durante l'adolescenza, dell'evoluzione, dell'interruzione dovuta a divergenze politiche ("L'ultimo incontro, gelido, irrecuperabile a quei tempi") e della sua ripresa dopo decenni di traversie.
Uno. La camminata, fatale, di un adolescente già pregiudicato in un quartiere di periferia. La scomparsa della dimensione collettiva in un individualismo in cui il coraggio è fatto di forza e di prepotenza, da contrapporre a quello di genitori convinti che coraggio significhi vivere di stipendio.
Guerra conclude la raccolta ed è l'unico racconto in cui l'A. citi esplicitamente la propria esperienza di combattente irregolare. Il contrasto fra l'aggressione statunitense alla Serbia trasmessa dalle reti televisive nel maggio del 1999 con la sua abbondanza di "vittime collaterali" di bombardamenti decisi ed effettuati da chissà dove, e le regole di ingaggio di guerriglieri urbani che del nemico conoscevano "nome, cognome, grado e contingente di appartenenza" e lo affrontavano di persona. Il libro si chiude con un breve scritto di Erri de Luca, testimone dei bombardamenti di Belgrado.


Barbara Balzerani - La sirena delle cinque. DeriveApprodi, Roma 2015. 96 pp.