Atatürk, il fondatore della Turchia moderna è un lavoro biografico originale curato da un esperto di storia della Turchia contemporanea e mette in luce, seguendo uno stile la cui scorrevolezza nulla toglie ad un impianto rigoroso, i pregi ed i limiti di un individuo a tutt'oggi oggetto di una sorta di religione civile nella repubblica turca.
I nove capitoli del volume ripercorrono la vita di Mustafa Kemal seguendone i sempre più numerosi e profondi intrecci con la storia stessa del paese che finirà letteralmente per rifondare; i pur presenti dati aneddotici, sul personaggio e sul suo entourage, non fanno mai perdere di vista ad un autore che ammette nero su bianco la propria ammirazione per Atatürk il contesto storico generale delle vicende trattate. E proprio dal particolarissimo contesto storico della città di Salonicco, in cui nel 1881 nacque il Mustafa che sarebbe divenuto Kemal solo molti anni più tardi, si apre la trattazione.
I primi due capitoli trattano della prima giovinezza e della formazione militare di Mustafa Kemal ("Eccellenza", soprannome datogli da un professore, sembra, per un compito particolarmente ben fatto) negli anni che vanno fino al 1914. Le scuole militari, l'esperienza del CUP e del golpe del 1908, le guerre balcaniche, la guerriglia in Libia, il paziente tessere una tela di conoscenze, la passione per il progresso e per la modernità: l'ufficiale Kemal disponeva di un potenziale che avrebbe messo all'opera, neppure troppi anni dopo, nel momento delle responsabilità militari e civili più cariche di conseguenze.
Nel terzo capitolo si illustra l'andamento (per lo più disastroso...) delle operazioni militari ottomane nel corso della prima guerra mondiale; nel 1915 Kemal fu tra i comandanti della vittoriosa resistenza di Gallipoli. Le rimanenti esperienze del tempo di guerra, spesso trascorso lontano dalla mischia, dettero gli ultimi tocchi alla già radicale disistima che Mustafa Kemal nutriva per l'assetto imperiale ottomano (molto negativa fu l'impressione che ricavò dalla conoscenza dell'erede al trono, da lui accompagnato in un viaggio diplomatico in Germania nel 1916).
La ribellione di un uomo di stato è il significativo titolo del quarto capitolo. Ad un trattato di pace che non soltanto sanciva la fine dell'impero ottomano ma rendeva pressoché impossibile preservare l'unità territoriale anatolica per stabilirvi uno stato nazionale, Kemal reagì dapprima utilizzando la rete delle proprie conoscenze da Istanbul per costruire un movimento di resistenza, e poi trasferendosi in Anatolia per guidare, con crescente intransigenza, il movimento che da Samsun ed Amasya -città da cui partì la circolare che conteneva le parole d'ordine della riscossa turca- finirà per stabilirsi ad Ankara e per essere accreditato, dopo anni di lotte, come il legittimo governo di una neofondata Repubblica di Turchia. Il capitolo mette in luce anche i rapporti che l'ambasciatore del regno ai tempi occupante la penisola italiana intessé con Kemal, sperando in chissà quale contropartita. Un esempio di una prassi, quella dell'affrontare i tempi difficili tentando di non scontentare a parole nessuno, di cui Kemal fu un utilizzatore disinvolto e quasi abituale.
Il quinto capitolo espone compiutamente le vicende dell'assemblea di Ankara e del consolidarsi della sua credibilità. Con l'occupazione di Costantinopoli del 16 marzo 1920 gli inglesi fecero a Mustafa Kemal il miglior regalo possibile, consentendogli di rimanere unico interlocutore sulla scena ed avallando de facto la sua carica di capo di stato. Il capo di uno stato smembrato ed occupato, che non tarderà a perseguire gli scopi dell'unificazione dell'Anatolia e della lotta alle occupazioni straniere. Per questi obiettivi Kemal non esiterà a servirsi, con la consueta disinvoltura, degli ottimi rapporti diplomatici fatti intessere con i sovietici, così come non esiterà davanti alla repressione dei curdi e degli armeni.
Il sesto capitolo tratta di quella che la storiografia turca indica a tutt'oggi come guerra di indipendenza; la risposta vittoriosa all'espansionismo greco, sui cui incidenti di percorso come il sacco di Smirne Kemal non amò mai soffermarsi eccessivamente negli anni a seguire.
Il settimo capitolo presenta un lungo excursus sui primi otto anni di vita della Repubblica Turca: dagli armistizi del 1922 al trattato di Losanna, dal congresso di Smirne alla fine del califfato e dell'impero fino alla proclamazione della repubblica a suffragio universale, la nascita, i primi compromessi, le prime realizzazioni del nuovo stato. I bipartitismi di facciata, il rapido trasformarsi dell'assetto istituzionale in chiave autoritaria, la lotta a coltello contro il cosiddetto "oriente pittoresco" per l'occidentalizzazione intransigente della cultura materiale sono trattati diffusamente. Il discorso alla gioventù turca del 1927 e la riforma dell'alfabeto, introdotta dopo lunghi studi e adattamenti nel 1928, chiudono il capitolo.
Il Mustafa Kemal "visionario e realista" è argomento dell'ottavo capitolo: il consolidarsi di un assetto politico basato su un partito-stato detentore delle leve militari e della burocrazia che otterrà un consenso soltanto epidermico, la modernizzazione delle istituzioni, la laicizzazione condotta a passo di carica fino alla riforma del diritto di famiglia del 1934 che impose a tutti i cittadini l'adozione di un cognome: un capitolo centrato sui pregi ed i limiti di quel kemalismo il cui fondatore, di cui più volte nel testo si ricordano le abitudini di vita che sconfinavano in veri e propri abusi per la salute, andò declinando rapidamente, per morire a meno di sessant'anni.
Il nono capitolo espone succintamente la storia della Turchia successiva alla scomparsa del suo fondatore, del quale l'autore auspica la permanenza come figura de-ideologicizzata di riferimento patriottico in un momento storico in cui molte delle istanze e delle realtà geopolitiche alla base del kemalismo non esistono più o si sono radicalmente trasformate.

Fabio L. Grassi, Atatürk - Il fondatore della Tirchia Moderna, Roma, Salerno ed., 2009. 450 pp.