Il libro di Rosita di Peri fornisce uno sguardo d'insieme alla realtà storica e sociale libanese dai tempi dell'indipendenza ad oggi, ed è un buon correttivo ad una rappresentazione mediatica abitualmente tesa a ridurre il Libano ad un teatrino di consumi di lusso e di ragazze in bikini. Nei sei capitoli del volume si illustrano i vari aspetti della caratteristica essenziale del paese, quella di aver intonato, sia nel diritto che nelle consuetudini, il proprio funzionamento agli equilibri che scaturiscono dall'assetto confessionale della popolazione. Le istituzioni democratiche del paese hanno sempre dovuto convivere, con alterne fortune, con un sistema comunitario col quale gli interscambi non sono sempre stati facili.
Il primo capitolo ricostruisce le principali caratteristiche etniche e geografiche del territorio e cerca di identificare le radici della costellazione di fenomeni che hanno portato all'istituzionalizzazione delle comunità sul territorio libanese. Il capitolo espone gli avvenimenti che hanno caratterizzato la fondazione dell'emirato del Monte Libano nel 1586 ed il delinearsi della spartizione del potere per vie confessionali e familiari, l'invasione egiziana del 1832, il ritorno del controllo ottomano con l'effetto delle tanzimat, la disgregazione dell'impero, l'occupazione francese e la fondazione del Grande Libano. Il progressivo deteriorarsi dei rapporti con la Francia coloniale ed i primi decenni dell'indipendenza sono trattati nel secondo capitolo. L'effetto dell'accordo non scritto chiamato "Patto Nazionale", che legittimava di fatto il potere delle comunità maronita e sunnita subordinando il funzionamento della macchina statale a favore delle comunità e delle grandi famiglie, si tradusse in una distribuzione delle cariche e delle influenze all'interno delle istituzioni l'armonizzazione delle quali ha sempre richiesto energia ed attenzione. Vengono prese in considerazione le linee guida dei primi 'ahd, termine che indica più l'alleanza tra il presidente in carica e i poteri suddivisi secondo i principi su enunciati che non un "mandato presidenziale" vero e proprio: Bechara al-Khoury, Camille Chamoun, Fouad Chehab e Charles Helou, che riuscirono pur tra le contraddizioni e i ripetuti cambiamenti di rotta in politica interna ed estera, a preservare l'unità delle varie anime dello stato libanese.
Il minimo di coesione sociale mantenuto faticosamente in piedi tanto a lungo cominciò a cedere sotto lo 'ahd di Frangié che nel continuo sostegno all'iniziativa economica individuale e ad un tipo di sviluppo speculativo e finanziario non fece nulla per impedire l'approfondirsi di grave disuguaglianze sociali. L'origine di tutte le milizie comunitarie e confessionali va ricercata nei primi anni Settanta, facilitata anche dalla condizione di paralisi cui il rispetto minuzioso degli equilibri comunitari aveva condannato l'esercito nazionale e dalla numerosa ed attiva presenza di combattenti palestinesi. In appendice al volume si trova un breve excursus sulla storia di ciascuna di esse. Il terzo capitolo analizza dettagliatamente eventi e formazioni protagoniste degli anni Settanta, la prima guerra civile libanese del '75-'76 con l'intervento siriano e la precarissima pace del 1977, cui pose termine, stravolgendo la geografia non soltanto politica del paese e contribuendo a polarizzare le posizioni politiche delle varie confessioni, la prima invasione sionista.
Nel 1979 la rivoluzione in Iran e gli accordi di Camp David che riavvicinarono OLP e Siria provocarono un nuovo mutamento della situazione, così come la presidenza Reagan. Il capitolo si chiude con l'esposizione degli avvenimenti legati alla seconda invasione sionista del 1982, all'assassinio di Bechir Jemayel ed al lungo e sofferto percorso che avrebbe portato, nel 1989, agli accordi di Ta'if che sancirono la fine della guerra civile.
Gli sviluppi degli accordi di Ta'if ed il nuovo equilibrio confessionale che ha caratterizzato gli anni Novanta sono trattati nel quarto capitolo. Gli accordi sono oggetto di un'accurata disamina che ne mostra gli effetti sull'assetto istituzionale (tra le altre cose, i seggi della Camera dei deputati passavano da 99 con rapporto di 6 a 5 per i cristiani a 108 con parità di rapporto); il libro tratta poi della ricostruzione postbellica, evidenziandone i pregi e soprattutto i limiti, e della fortuna politica di Rafiq Hariri.
Il quinto capitolo espone le vicende storiche e sociali dei primi anni del nuovo millennio, con il ridimensionamento dell'influenza maronita (i maroniti avevano perseguito per decenni l'idea di un loro "stato libanese" indipendente) e conseguenti boicottaggi elettorali, e con l'ascesa degli sciiti di Hezbollah. Dopo l'11 settembre 2001 Hariri ignorò le pressioni statunitensi affinché Hezbollah fosse messa in condizioni di non poter operare, riconoscendo la legittimità di azione che la formazione sciita non aveva mai cessato di pretendere, facendo percepire se stessa e le sue attività sociali come entità al servizio di tutti i libanesi.
Il ritiro della presenza armata siriana e l'assassinio di Rafiq Hariri nel 2005 rafforzarono il sentimento antisiriano presente nel paese, provocarono un'ondata di manifestazioni di segni opposti e l'affermarsi di un fronte politico sì antisiriano, ma frammentato oltremodo in fazioni spesso rappresentanti di interessi molto diversi. La "rivoluzione dei cedri", come si volle chiamarla, naufragò tra gli omicidi mirati e la proclamazione di un governo ad interim in una nuova cristallizzazione improduttiva dei rapporti di forza su due fronti contrapposti, frutto di elezioni in cui abbondarono le alleanze di comodo, che aprirono la strada e ad un ritorno della politica di piazza e ad un ulteriore radicamento di Hezbollah nelle zone meridionali del paese, frutto del concreto realismo che guidava la pratica politica del movimento sciita.
Il quinto capitolo si chiude con la narrazione degli eventi che precedettero e seguirono l'aggressione sionista del 2006: le difficoltà del governo Siniora, la commissione per la ricerca dei responsabili dell'omicidio Hariri, la presa di prigionieri sionisti da parte di Hezbollah che fece da casus belli per un'aggressione devastante i cui piani erano pronti da anni. La resistenza vittoriosa rafforzò ulteriormente Hezbollah che giocò le sue carte sul terreno e si guardò bene dal disarmare. Il governo riuscì ad evitare una nuova guerra civile accordando nuove elezioni secondo una legge elettorale parzialmente modificata (accordi di Doha) che rimase tuttavia congegnata in modo da garantire lo status quo dei rapporti di forza, confermato dai risultati elettorali che seguirono una campagna sistematicamente incentrata sulla delegittimazione dell'avversario.
Il sesto capitolo riassume e sottolinea l'importanza dell'assetto e dell'equilibrio confessionale per la storia del paese. In un quadro che resta contrassegnato da un'economia stagnante e dall'ingiustizia sociale, dai sempre più difficili equilibri politici ed elettorali affidati ai brogli e al clientelismo, Hezbollah si pone come uno dei pochi interlocutori sulla scena libanese che nessuno può permettersi di ignorare.
L'appendice del volume riporta una tassonomia dei partiti politici, delle comunità confessionali e della struttura amministrativa del paese.


Rosita di Peri - Il Libano contemporaneo - Storia, politica, società. Carocci, 2009. 186 pp.