Michele Mannoia espone in cinque capitoli una indagine storica e sociologica sugli Zingari. Il vocabolo Zingari viene utilizzato per meri motivi pratici, per indicare il mondo di mondi che costituisce la realtà di Rom e Sinti, spogliandolo del significato dispregiativo che lo connota da secoli. Costituenti una percentuale sulla popolazione totale attorno allo 0,2%, spesso poco o nulla interessati a mettere in atto strategie integrazioniste e capri espiatori designati per politici e mass media, gli Zingari non hanno mai rivendicato sovranità territoriali e sono riusciti per secoli a sopravvivere in ambienti sociali prodigiosamente ostili.
Il primo capitolo del libro espone una storia della presenza zingara in Medio Oriente, in Anatolia ed in Europa, che ha dovuto essere ricostruita a partire da testimonianze scritte lasciate da altri e dal lavoro dei glottologi. Il percorso che ha portato un gruppo linguistico appartenente con ogni probabilità all'India centrale prima in Punjab, poi nell'impero persiano ed infine in Mesopotamia e sulle coste mediterranee è in buona parte ricostruito in base a congetture, a cominciare dall'apparente prima causa, che risiederebbe nella conquista persiana del Punjab avvenuta nel 224. Per ondate successive, gruppi appartenenti al medesimo ceppo linguistico avrebbero raggiunto i territori controllati dai persiani in cerca di migliori condizioni di vita. I Rom (o Dom, uomini) propriamente detti sarebbero il risultato della fusione di genti indiane con genti autoctone persiane ed avrebbero servito come militari fino alla conquista araba del paese, inizio di smembramenti e deportazioni che portarono vari gruppi ad avere diversi destini. La conquista bizantina della città di Ainzarba prima e di Antiochia poi, infine i percorsi aperti dai traffici tra Occidente e Palestina, avrebbero permesso agli Zingari di insediarsi nelle isole del Mediterraneo, stante l'attestazione della loro presenza a Creta nel 1323. L'avanzare delle conquiste ottomane avrebbe spinto gruppi di Zingari verso l'europa continentale, a partire dal 1400. L'arrivo degli Zingari sulla scena europea capitò in un momento storico in cui le società europee erano impegnate in un tortuoso processo di definizione e ridefinizione dei loro confini, un processo fitto di episodi di blaming di cui fecero le spese tutti i settori sociali più deboli, oggetti di ogni serie di inziative di disciplinamento, controllo e (ovviamente) vessazione.
L'A. definisce tre flussi migratori che hanno nel corso degli ultimi sei secoli interessato la penisola italiana; il primo nel XV secolo con destinazione il sud, il secondo dopo la seconda guerra mondiale, l'ultimo e più numeroso alla fine del XX secolo e all'inizio del XXI. Il tessuto sociale occidentale del XV secolo era ancora elastico, la schiavitù terriera non esisteva più, ed era ancora possibile svolgere mestieri slegati dal territorio; presentando salvacondotti imperiali, un gruppo di Zingari sarebbe stato accolto con curiosità a Roma dopo il 1422, peraltro già accompagnato da una nomea denigratoria. I marchi d'infamia costruiti sull'aspetto insolito, la vita nomade, la lingua incomprensibile ed i mestieri praticati presero connotati mitici: esperti nel lavorare i metalli, gli Zingari sarebbero stati condannati a peregrinare per l'eternità per aver fabbricato i chiodi di Gesù Cristo. L'aumentato controllo sociale del XVI secolo lasciò gli Zingari in balia di gride che li trattavano da subumani e ad un'assimilazione forzata che cominciò ad allentarsi solo nel XVIII secolo.
Il capitolo presenta un'esposizione dei primi lavori a pretesa di scientificità sugli Zingari: Predari, Lombroso, Grossi, Campobianco, quasi tutti debitori ad un antitziganismo grossolano e basato sul pregiudizio. Si chiude esponendo la situazione degli Zingari nello stato fascista, che nel corso degli anni adottò prima l'espulsione e poi l'internamento, coadiuvato dagli scritti di Semizzi impostati sulla base di un sostanziale razzismo biologico, e nella Germania nazionalsocialista, che adotto dapprima politiche di sterilizzazione di massa per passare poi allo sterminio genealizzato, di cui finirono vittime, secondo la maggior parte degli storici, circa cinquecentomila persone. Un dopoguerra connotato da un "diritto che non c'è" a partire dalla negazione dei risarcimenti per il porrajmos (la devastazione, lo sterminio) nazionalsocialista costituisce a tutt'oggi la situazione, spesso di vuoto legislativo, in cui vivono gli Zingari, con particolare riferimento allo stato che occupa la penisola italiana.
Il secondo capitolo, nomadi e scolarizzazione, fa un'attenta disamina del contesto scolastico perché è l'unico settore in cui lo stato che occupa la penisola italiana ha tentato, con alterno successo, di colmare il vuoto legislativo generalizzato. Mannoia inquadra i principali orientamenti teorici in materia e presenta dati statistici dai quali si evince che il rapporto tra bambini zingari ed istruzione obbligatoria è ancora labile; il numero di coloro che adempiono agli obblighi scolastici è ancora molto basso. Secondo l'A., la percezione del tempo radicalmente diversa da quella dei gagé, il rapporto con un mondo adulto che affida precocemente compiti e responsabilità e che al tempo stesso ha una funzione protettiva molto forte, il solo abbozzarsi di adolescenze che tra i gagé durano da un decennio all'altro sono tutti fattori che contribuiscono a costruire contesti di sviluppo in cui la scuola intesa come istituzione ha grossi problemi a trovare anche soltanto le armi per affermarsi.
Il terzo capitolo documenta la presenza straniera in generale e nomade in particolare nel sistema penitenziario minorile che opera nello stato occupante la penisola italiana. Una presentazione delle statistiche in cui è chiara la sovrarappresentazione minorile nomade rispetto alla popolazione generale ed una introduzione al funzionamento del sistema penitenziario permettono di concludere che in assenza di garanzie e di punti fermi verificabili dal punto di vista della legge, che spesso stranieri e nomadi non sono in grado di fornire, le pene alternative alla detenzione non possono essere applicate che in rari casi rendendo la decarcerizzazione dei percorsi penitenziari il più delle volte impraticabile. I giovani zingari finiscono spesso nelle maglie del sistema penitenziario per piccoli furti, con un accumularsi delle denunce che si traduce in periodi di detenzione sempre più lunghi e vessatori.
Il quarto capitolo espone usi e costumi dei nomadi palermitani; dalla storia della presenza zingara a Palermo alle differenze nell'allestimento dei campi e delle abitazioni che distinguono i Rom kossovari, serbi e montenegrini presenti in città, dalla festa dello Djurdjedan all'inizio di maggio, con particolare attenzione al suo sincretismo essenziale, ai risultati conseguiti dalle politiche di integrazione, il capitolo è frutto di esperienza personale e di raccolta diretta di dati e testimonianze.
L'ultimo capitolo del volume espone i principali filoni di indagine e le principali teorizzazioni di stampo sociologico sulla genesi e sul permanere dei pregiudizi, con riferimenti a casi ben studiati di minoranze statunitensi e alla storia della ricerca sociologica nella penisola italiana. I casi concreti raccolti nell'ultimo paragrafo sono stati messi insieme traendo da una pubblicistica pressoché monocordemente rispettosa del bias antitzigano e capacissima di attingere anche da leggende metropolitane che attribuiscono allo zingaro nequizie continue; immancabilmente ricordati ogni volta che restano coinvolti in episodi di cronaca nera, i casi in cui lo status degli Zingari come minoranza etnica riconosciuta dall'ONU nel 1979 viene ricordato sono oltremodo rari da una pubblicistica che neppure si sogna di mettere in discussione il loro ruolo di capri espiatori.
Il volume è completato da una bibliografia approfondita e da una filmografia ricca di una cinquantina di titoli.


Michele Mannoia - Zingari, che strano popolo! Storia e problemi di una minoranza esclusa. Edizioni XL, Roma, 2007. 194 pp.