Ossessione turca costituisce uno sviluppo e al tempo stesso una localizzazione di alcuni fra i temi toccati da Giovanni Ricci nei saggi poi raccolti in I Turchi alle porte. Il libro approfondisce il rapporto con la civiltà e la cultura turca così com'è stato vissuto dalla città di Ferrara per il periodo compreso tra il XV ed il XVIII secolo. Gli undici capitoli che lo compongono rappresentano ciascuno l'approfondimento di un tema specifico, trattato a suo tempo in seminari o convegni.
Fin dal primo capitolo, i primi orientalismi, il testo si rivela incentrato su storia e fonti ferraresi trattando del viaggio in Oriente di Niccolò III d'Este, e dell'influenza della cultura materiale turca sul gusto estetico dei suoi successori e sulle loro commesse architettoniche. Il seguente Avvisi dal levante, presagi e prodigi espone le implicazioni che l'avanzata turca nel XV e XVI secolo ebbe sulla popolazione della penisola in generale e sulla corte ferrarese in particolare. Alla metà del XVI secolo l'attenzione per i turchi aveva superato gli allarmismi monocordi e si avvaleva di registri diversi, spaziando dagli oggetti reali alle idee elaborate, dalle sbrigliate fantasie a tentativi veri e propri di conoscenza. Concubine, moretti, prede cristiane: mentre la propaganda attuale insiste sulla rigidità dei costumi dei musulmani, quella del XVI secolo li denigrava per ragioni opposte accusandoli di licenziosità di ogni genere. Il capitolo prende in rassegna alcuni tra i molti casi documentati di compravendita di schiavi da parte di ferraresi illustri e documenta le procedure seguite per il riscatto dei prigionieri cristiani in mano turca. Nell'auspicio se non nella realtà, ancora in pieno XVI secolo l'impegno crociato rimaneva la relazione prediletta con i turchi: il teatro delle operazioni si sposta in Ungheria ed anche il ferrarese Alfonso d'Este sarebbe stato tentato di partecipare ai grandiosi piani di riconquista dei Balcani, fortunatamente abbozzati solo sulla carta; la morte di Solimano il Magnifico ed il successivo armistizio vanificarono la partecipazione di un corpo di spedizione estense di quattromila uomini perfettamente equipaggiati alla campagna d'Ungheria del 1566 quando già esso si trovava in zona d'operazioni.
Rimasto prudentemente a Ferrara anche trent'anni dopo pur avendo raccolto un altro corpo di spedizione anche più grande, Alfonso II si consolò combinando qualche scherzo pesante ai suoi invitati sulla costa, utilizzando barconi truccati e manipoli di finti turchi.
Dietro una facciata ufficiale fatta di contrapposizioni frontali, il rapporto con i turchi si avvale in realtà di collaborazioni, attraversamenti di barriere e mutamenti di fronte di cui rende conto il quinto capitolo, Rinnegare a Tunisi, poetare a Ferrara. Le fonti letterarie citate da Ricci attesterebbero la presenza a Ferrara di autori come Torquato Tasso dalle cui opere trasparirebbe a tratti l'orientamento omosessuale ed in cui il battesimo è anche fuga da un contesto, come quello barbaresco, cui i luoghi comuni del tempo attribuivano particolare propensione a comportamenti licenziosi di ogni tipo. L'ambiente barbaresco del tempo offriva possiblità di mobilità sociale del tutto sconosciute in patria ai cristiani: tramite fonti appartenenti ai "padri trinitari" che percorrevano la Barberia per le trattative di riscatto dei prigionieri cristiani, Ricci riporta il caso di Mami il Ferrarese, ricchissimo luogotenente di Yusuf dey, o di Usta Murad, rinnegato genovese che si insediò con l'aiuto di Mami al posto del deceduto Yusuf, salvo far poi uccidere il suo benefattore secondo un copione che avallava l'intento dello scrivente di denunciare sempre e comunque la perfidia dei "rinnegati". Notizie più precise esistono su Francesco Gucciardo detto Guicciardino, nato ad Ariano nel 1584, che divenne noto come Ali rais, corsaro e proprietario terriero che chiuse probabilmente la propria vita prigioniero dell'Inquisizione di Palermo. La sua storia è nota da un fascicolo processuale che si interrompe al 1642. Una delle molte storie esemplari delle possibilità che si aprivano ai giovani di basso ceto che facessero proprie lingua e religione dei cani turchi; le carte disponibili mostrano anche che attorno ad un Ali rais si muoveva, e non solo in senso geografico, una certa corte di conterranei e di parenti attirati oltremare dalle prospettive di mobilità sociale che i luoghi presentavano. Caso curioso, del feudo di Ariano era titolare la famiglia Turchi, i cui esponenti esibivano oggetti pregiati di fattura orientale ed avevano avallato a mezzo letterati di corte una genealogia che li faceva risalire ad un turco di Costantinopoli a suo tempo convertitosi. I feudatari Turchi erano finti rinnegati a rovescio, ma difensori autentici dei privilegi feudali; è probabile che i loro sottoposti non fossero gli unici in tutta la cristianità ad accettare di farsi turchi sul serio piuttosto che rimpatriare con in più il debito del riscatto da saldare ai benefattori.
Per Vienna e per Buda è centrato sulle ripercussioni ferraresi delle vicende europee nell'ultimo scorcio del XVII secolo. Prima le sconfitte veneziane nell'Egeo e poi la sconfitta dei turchi nell'assedio di Vienna furono eventi seguiti con partecipazione dall'opinione pubblica del tempo, e dal campo turco di Vienna arrivarono fino a Ferrara ed oltre -finendo in modo particolare al santuario di Loreto, come già successo dopo Lepanto- stendardi, oggetti e manufatti turchi catturati. L'inconografia sacra e profana ne trasse ispirazione per molto tempo, fino a quando la pace di Passarowitz nel 1718 non confermò l'allentarsi della minaccia ottomana sull'Europa. I tempi furono ricchi anche di produzioni letterarie celebrative di vario e non sempre elevato livello. Una di queste, pubblicata proprio a Ferrara, paragonava la sconfitta turca a quella dei troiani secondo un accostamento tra eredità territoriale ed eredità culturale che, per quanto inesatto, fu legittimato dai turchi stessi, che nel XX secolo se ne servirono per legittimare le proprie istanze nazionaliste. Nel settimo capitolo si espone l'aneddotica su alcune visite di sorpresa, ossia sulla presenza di turchi in carne ed ossa a Ferrara. Ospiti degli estensi nel XVI secolo furono spesso ambasciatori diretti a corte o a Venezia; con la fine della casata e l'annessione di Ferrara da parte dello stato pontificio queste presenze divennero rare e solo nel 1687, dopo l'illusoria riconquista veneziana della Morea, transitò per Ferrara il curioso séguito di un bassà di Nauplia che aveva reso servigi ai veneziani e che era diretto in Marocco, cui seguirono un paio di casi di persone della stessa provenienza, di cui restò traccia in un registro di battesimo e nella memoria di una Vassila battezzata Rosa, una donna di origini ortodosse poi islamizzatasi ed infine divenuta cattolica, di cui è rimasto un ricordo rispettoso. A Ferrara, dopo il 1683, rimase traccia anche di altri turchi di passaggio. La città era un crocevia del traffico di schiavi, e della fine miserabile di uno schiavo diretto in Toscana che fu ucciso da un sorvegliante e del cui cadavere fu fatto scempio, si tratta all'inizio dell'ottavo capitolo. La vicenda ferrarese serve all'A. per ripercorrere sia i temuti usi di guerra dei turchi, soliti decapitare i cadaveri nemici (il corpo dell'ultimo imperatore bizantino non fu mai riconosciuto proprio perché decapitato) sia le decapitazioni in effigie che in Veneto erano caratteristiche di certe celebrazioni carnevalesche, passando per la repertazione di teste di turco impagliate citate in letteratura ed in inventari.
Le catene di San Leonardo tratta delle cerimonie con cui veniva celebrato il ritorno dei riscattati; il Riscatto di Ferrara, basato per decenni nella chiesa di San Leonardo e rimasto attivo fino al 1779, raccoglieva le offerte per i riscatti e curava la cerimonia di svestizione dei "panni turcheschi" e di rivestizione di quelli cristiani, coronata dalla consegna delle catene di schiavitù (il più delle volte simboliche, prodotte poco lontano) alla chiesa che le conservava in mostra.
In Racconti di prigionia le testimonianze dettagliate rimaste consentono a Ricci di ricostruire la storia dei tredici riscattati dal 1720 al 1779 ad opera del Riscatto ferrarese.
In ultimo, Ricci si sofferma sui riti di Purificazione che i riscattati erano tenuti a compiere, sulla forma e la valenza di tali riti determinata dal contesto e sulla non facile costruzione dell'identità dei rinnegati: se il riscatto e le cerimonie che li attendevano al ritorno erano materia pubblica, la loro lontananza da Ferrara -e spesso anche dal natio cattolicesimo- era materia privata e non sempre pubblicizzabile senza danno perché poco corrisponente a percorsi di vita lineari o del tutto onorevoli.

Giovanni Ricci - Ossessione turca. In una retrovia cristiana dell'Europa moderna, Il Mulino, 2002. 240pp.