Francesca Russo e Simone Santi sono vissuti in Tunisia per anni ed il loro "Non ho più paura" sta a metà tra l'instant book e la testimonianza diretta degli eventi che tra il dicembre del 2010 e il gennaio del 2011 hanno portato alla cacciata del vecchio presidente della Repubblica Tunisina Ben Ali ed alla caduta di un clan familiare che da anni esercitava una smisurata influenza sugli ambienti economici e politici del paese. Giorno per giorno, il libro copre gli avvenimenti compresi tra il 17 dicembre ed il 17 gennaio e presenta anche un excursus sugli ultimi decenni della storia tunisina, con espliciti riferimenti al "golpe medico" del 1987 che segnò l'inizio dei ventitré anni di potere del generale Zine El Abidine Ben Ali e che fu favorito, tra gli altri, dallo stato che occupa la penisola italiana.
Gli autori tentano di compiere attribuzioni causali degli avvenimenti in atto che vadano al di là della sommaria ed inesatta definizione di "rivolta del pane" con cui i mass media hanno immediatamente classificato i fatti di Sidi Bouzid, le manifestazioni di piazza e gli scontri che sono seguiti, assimilandoli a precedenti noti. In tutti i capitoli del volume si tessono i pregi dei cosiddetti "nuovi media" e della loro capacità di mobilitazione interna ed internazionale, a fronte dei quali le strategie politiche e mediatiche di tipo convenzionale utilizzate dai politici dominanti hanno perso progressivamente di efficacia, arrivando in pochi giorni a rivelarsi controproducenti. Un esempio su tutti, la visita di Ben Ali al morente Mohamed Bouazizi, frettoloso adempimento protocollare ad esclusivo beneficio dei mass media compiacenti, che diventa un boomerang.
Al tempo stesso il volume mostra un'approvazione entusiastica per il Libro dei Ceffi e per il Cinguettatore, utilizzati ampiamente per la ricostruzione evenemenziale e per la presentazione di storie personali specifiche. Il fatto è che gli strumenti che servono a costruire le cosiddette "reti sociali" che non sono dei "democratizzatori" come tali, ma soltanto strumenti informatici dotati di limiti precisi, sogetti a personalismi e a distorsioni di ogni genere e soprattutto a disposizione, nel contesto qui trattato, di una élite professionale e studentesca che non corrisponde certo alla maggioranza della popolazione. Questo atteggiamento di fondo costituisce forse il principale limite del lavoro nel suo complesso perché su questo assunto vengono alla fine sviluppate alcune conclusioni, enunciate nelle ultime pagine della trattazione, che richiederebbero quantomeno delle argomentazioni più approfondite. Tra i considerevoli pregi del libro, che lo rendono una lettura più che consigliabile a chi necessiti di una prima introduzione al contesto trattato, va invece ascritta la ricordata ricerca delle cause profonde del malcontento generalizzato, identificata in una carenza assoluta di sbocchi lavorativi anche umili, nella disparità palpabile che esiste tra la capitale Tunisi e le zone depresse nell'interno del paese, nella pervasiva presenza di un apparato statale e militare al sostanziale servizio degli interessi di gruppi di potere i cui appartenenti erano noti a tutti, nel ruolo da "partito unico" a sé avocato dalla formazione politica presidenziale. La corruzione e la scoperta iniquità dei rapporti tra macchina statale e cittadini era il corollario di una situazione che ha portato alle rivolte popolari con i saccheggi prima e i comitati cittadini di difesa poi, secondo una linea di eventi in continuo sviluppo di cui gli AA. presentano un follow up strutturato per giornate. ciascuno di questi elementi, insieme alla complicata costruzione di un'alternativa di governo, ha rappresentato un nodo al pettine il cui scioglimento ha richiesto e richiede a tutt'oggi grandi attenzioni all'attivismo politico tunisino. Il volume tende a soffrire anche dei limiti tipici dei lavori pubblicati mentre i fenomeni in essi analizzati sono ancora in atto: gli autori hanno dunque provveduto a contrastarli aprendo un blog dedicato.
Le ultime pagine del volume riportano dei contenuti dal mainstream che statuirebbero l'avvenuta edificazione di "un volto nuovo per il mondo arabo" e statuiscono una marginalizzazione delle formazioni politiche ad ispirazione religiosa che pare più una speranza che altro. Asserzioni che non abbondano certo di dati di fatto riscontrabili. L'espressione "primavera araba", la cui fortuna giornalistica è durata poche settimane e che va considerata un maldestro tentativo di inquadrare gli avvenimenti entro categorie metabolizzabili dal pubblico, a distanza di oltre sei mesi dai fatti rivela tutta la sua inadeguatezza esplicativa. Allo stesso modo, una rivoluzione nel senso classico del termine comporta il sovvertimento, per lo più violento, di un ordine vigente e la sua sostituzione con un ordine diversamente strutturato; invece le istituzioni della Repubblica Tunisina, a differenza delle personalità che ne occupavano le cariche, non sono state toccate dagli eventi. Alla fuga di Ben Ali e dei suoi dal paese i meccanismi costituzionali hanno funzionato, garantendo come previsto una successione ad interim. Soltanto il partito presidenziale RCD viene dichiarato illegale, con la chiusura di tutte le sedi sul territorio. Processi rivoluzionari nel senso classico del vocabolo non si sono verificati in alcuno dei paesi toccati da un'ondata di rivolte che i mass media occidentali hanno presentato considerandola omogenea: né in Egitto, né nello Yemen, né in Bahrein né in Siria. Unica eccezione la Libia, ma al momento non è dato sapere se la guerra civile in corso, con la pesante e scoperta intromissione occidentale, condurrà ad un autentica rifondazione delle basi istituzionali del potere.


Francesca Russo, Simone Santi - Non ho più paura. Tunisi, diario di una rivoluzione. Gremese, Roma 2011. 160 pp.