Questo testo è stato recensito nel contesto della confutazione di un'operazione di propaganda tentata su una gazzetta fiorentina nel febbraio del 2012, meglio descritta qui.

Il Dossier Foibe di Giacomo Scotti si concentra sugli avvenimenti verificatisi nelle regioni di confine dello stato che occupa la penisola italiana tra il settembre e l'ottobre del 1943. Le due parti in cui il volume è ripartito sono precedute da una prefazione di Enzo Collotti e sono dedicate rispettivamente ad un inquadramento storico della vicenda, cui fa séguito una esposizione evenemenziale, e ad un esame critico delle fonti più citate sul tema.
La politica dello stato che occupa la penisola italiana perseguita dal 1920 al 1943 nei confronti delle popolazioni croate del confine orientale è argomento essenziale del primo capitolo del volume: snazionalizzazione forzata, alienazione culturale, cancellazione delle testimonianze storiche, cambiamento di toponimi e cognomi, deferimenti in abbondanza al "tribunale speciale" e, con l'aggressione alla Yugoslavia del 1941, fondazione di campi di concentramento e scorrerie della milizia politica con la connivenza, se non con l'aperto sostegno, delle forze armate. La testimonianza di Raffaello Camerini riportata dall'A. attesterebbe il fatto che l'utilizzo delle profonde cavità carsiche come destinazione per i corpi di persone sottoposte a fucilazione previo (nel migliore dei casi) un processo sommario sarebbe stato intrapreso fra il 1940 ed il 1941 dalla milizia politicizzata e che successivamente gli insorti del settembre 1943 non abbiano fatto che riprenderne l'esempio.
Il secondo capitolo espone le vicende successive al 25 luglio e all'8 settembre 1943: l'insurrezione popolare toglie le armi ai reparti in colliquazione e pone spicciativamente le basi per le epurazioni prima di venire a sua volta repressa dal massiccio intervento tedesco e collaborazionista nella zona, reso ancora più determinato dalla costituzione della regione in "Litorale Adriatico" direttamente annesso al Reich. Alle poche centinaia di epurati, in grandissima misura compromessi con il potere o comunque con lo stato che occupa la penisola italiana, la repressione nazionalsocialista rispose con migliaia di uccisi ed altrettanti deportati, dissanguando letteralmente il territorio. Il ritiro tedesco lasciò a presidiare la zona elementi rabbiosamente politicizzati, che dall'ottobre del 1943 intrapresero con abbondanza di saccheggi la caccia agli slavocomunisti.
Il terzo capitolo intitolato "La parola ad un informatore ustascia" riprende un resoconto destinato ai vertici dello stato collaborazionista di Croazia e redatto da Nikola Zic, pubblicista e professore croato collaboratore dei servizi d'informazione croati. La trattazione definisce più in dettaglio i rapporti esistenti tra le varie nazionalità, e soprattutto l'orientamento politico ed il relativo peso delle formazioni armate. Particolare attenzione viene messa da Scotti nel sottolineare le potenzialità della decisione presa a Pazin nel settembre del 1943 e più volte ribadita da parte del Movimento Partigiano di Liberazione di considerare come un dato di fatto il passaggio di tutta la regione sotto la sovranità jugoslava, così come la scarsa preparazione organizzativa e politica dimostrata dagli insorti. Il rapporto di Zic elenca anche una serie di massacri indiscriminati attribuiti a collaborazionisti russi, cechi e polacchi inquadrati nella 162ma Turkmenishe infanteriedivision; secondo Scotti, il fatto che i tedeschi avessero proceduto a fucilazioni di "ribelli" nelle stesse cave di bauxite usate dagli insorti per eliminare i prigionieri sarebbe stato provvidenziale per la successiva "storiografia" propagandista, che ha avuto buon gioco in più di un caso nell'attribuire ai partigiani anche parte delle vittime della repressione tedesca. In chiusura vengono riportati scritti dal diario di un certo Giorgio Privileggio in cui l'autore non fa cenno alcuno alle divisioni pur presenti nel movimento partigiano ed in cui si nota, cosa evidente anche negli annunci mortuari pubblicati nell'ottobre 1943 dai quotidiani di Pula e Trst, che la grande maggioranza delle vittime dell'insurrezione era rappresentata da "squadristi", "legionari fiumani" ed altri esponenti del potere politico. Nulla di pianificato risulterebbe nei massacri né sarebbe evidente una loro matrice meramente nazionalistica; le testimonianze che li attribuiscono ad una "reazione scomposta di elementi locali" decisi a vendicarsi di vent'anni di torti continui sono secondo Scotti numerose e concordi.
La prima parte del volume si chiude con un capitolo dedicato all'analisi approfondita di un volume di memorialistica pubblicato nel 1986 da Dusan Diminic, che Scotti indica come "il diario di un comunista croato". Testimone dello sbandamento dell'8 settembre 1943, Diminic percorse le strade comprese tra Rijeka e Pazin e nel suo memoriale non nasconde affatto i disaccordi che esistevano all'interno del movimento di liberazione: un tema che ricorre in tutto il libro; ad esempio, l'A. considerava praticamente un problema il comitato di liberazione di Rovinj, che almeno all'inizio non comprendeva croati. Non si fa mistero alcuno neppure della scoperta intenzione croata di considerare un fatto appurato l'annessione dell'Istra. Uno degli "elementi locali" propensi alla vendetta è identificato con precisione da Diminic in Matteo Stemberga, definito da Scotti "contrabbandiere" ed "autoproclamato capo della polizia", responsabile di decine di fucilazioni arbitrarie nella zona di Labin prima di essere a sua volta ucciso. Dominic rileva il comportamento poco lineare delle improvvisate "commissioni di inchiesta" e la fine affatto chiara cui andarono incontro alcuni esponenti comunisti non croati come Lelio Zustovich.
Secondo Scotti esiste una buona concordanza tra le fonti nell'indicare in circa quattrocentocinquanta le vittime degli improvvisati tribunali organizzati nei giorni dell'insurrezione, la cui attività fu particolarmente intensa a Pazin. La stampa collaborazionista di Pula e di Trst avrebbe dato il massimo risalto alle esecuzioni sommarie, iniziando immediatamente ad accusare gli slavocomunisti di aver agito per ripulire etnicamente l'Istra "salvo poi tirarsi la zappa sui piedi quando, pubblicando un elenco di quattrocentodiciannove vittime vere o presunte", i giornali della Repubblica Sociale e quelli a servizio dei tedeschi in Istra e a Trst le qualificarono nella maggior parte con gli appellativi di "squadrista", "fascista", "commissario" e "agente di P.S." riconoscendo esplicitamente la "precisa matrice di regime" dei cosiddetti "infoibati".
Agli "infoibati" è dedicata per intero la seconda parte del volume, occupata pressochè per intero da una rassegna della letteratura più diffusa sull'argomento. Scotti sostiene che a fronte di una storiografia degna di questo nome, concorde nell'indicare in poche centinaia il numero di questo genere di vittime, fin dal 1944 andò diffondendosi una massiccia opera di propaganda collaborazionista dai toni granguignoleschi, che arrivò presto a quantificare trentamila vittime. In questo senso Scotti indica come importante il "lavoro" di Luigi Papo, che ascrive con disinvoltura al numero degli "infoibati" tutti i morti ammazzati in Istra, qualunque ne fosse il motivo, dal 1941 al 1945, e che redasse puntigliosi elenchi nei quali non mancano né i nomi ripetuti, né i nomi di vittime tanto in salute da poter rilasciare a guerra finita dichiarazioni sul trattamento ricevuto nei campi di prigionia degli "slavocomunisti"... La storiografia meno ansiosa di prestarsi alle istanze della propaganda riconobbe le mistificazioni come tali fin dal loro primo abbozzo e sottolineò sempre l'oggettiva mancanza di qualunque tentativo di porre in atto un'operazione di pulizia etnica su vasta scala. Tra le varie liste di vittime redatte nel corso degli ultimi decenni, Scotti considera con particolare attenzione quella di duecentotrentasette nominativi pubblicata dal croato Antun Giron, rilevando come molti cognomi, palesemente e malamente tradotti, risentissero della alienazione culturale imposta dallo stato che occupa la penisola italiana al tempo della sua dominazione in Istra, e come molte delle località di provenienza delle vittime fossero anche negli anni oggetto della trattazione popolati da maggioranze croate. Un modo per dire che la divisione in termini etnici tra vittime e carnefici che è alla base della propaganda non trova neppure conferme all'atto pratico.
Secondo le conclusioni di Scotti (1) la maggioranza delle vittime dei processi sommari era costituita da appartenenti all'apparato politico-statale, collaborazionisti e spie, (2) che la maggior parte degli episodi efferati avvenne senza e spesso contro le direttive dei massimi organismi del movimento partigiano, (3) che una discriminazione tra vittime e carnefici su un piano esclusivamente etnico non trova conferma nei dati disponibili e (4) che i materiali pubblicati sono spesso pesantemente distorti da intenti propagandistici molto chiari.

Giacomo Scotti - Dossier Foibe. Manni, 2005. pp. 206