Il testo di Giorgio Frankel concentra in cinque capitoli e centoquaranta pagine una panoramica sull'assetto geopolitico del Medio Oriente quale esso era alla fine del primo decennio del XXI secolo, con particolare attenzione alla questione (o non questione, come si avrà modo di vedere) della "bomba atomica iraniana".
L'approccio alla materia specifica riserva agli assunti di comune utilizzo nei mass media occidentali una certa dose di ironia, che traspare fin dall'introduzione in cui si ricorda che gli Stati Uniti, ai tempi in cui l'utilizzo dell'energia nucleare era poco più che pionieristico, impiegarono sei anni a realizzare la bomba; secondo Frankel è per lo meno strano che la Repubblica Islamica dell'Iran, la cui volontà di dotarsi di un arsenale nucleare è considerata un postulato dai mass media, non ci sia riuscita in oltre trenta.
Frankel è dell'opinione che nei dieci anni trascorsi dall'inizio del millennio gli equilibri economici siano profondamente cambiati e che un'aggressione statunitense alla Repubblica Islamica dell'Iran, che ai tempi della presidenza Bush era tranquillamente considerata qualcosa di più di un'opzione plausibile, sarebbe oggi uscita dal campo delle possibilità minimamente realizzabili. Lo stesso, al di là del pesante impegno propagandistico profuso sulla materia, varrebbe a detta dell'A. per quello che riguarda un'eventuale aggressione sionista, nonostante il battage propagandistico lasci pensare l'opposto. La propaganda sionista in particolare raffigura da anni la Repubblica Islamica dell'Iran come estremista, fanatica, irrazionale, immune alla logica della deterrenza e capace di tutto pur di distruggere lo stato sionista, laddove la politica estera della Repubblica Islamica dell'Iran andrebbe in concreto illustrata usando aggettivi pressoché opposti. Gran parte del volume serve passim all'A. per confutare la propaganda sionista che i mass media occidentali servono al pubblico come se si trattasse di verità consolidate e suffragate da abbondanti prove.
Il primo capitolo riprende sin dal titolo le considerazioni ironiche dell'introduzione: "L'atomica più lenta della storia" prende in esame gli apparati propagandistici dello stato sionista e quelli della Repubblica Islamica, sostanzialmente intenti a costruire una legittimazione reciproca delle rispettive istanze geopolitiche. Allo stato attuale delle cose e al di là della propaganda in un Medio Oriente in cui ulteriori aggressioni statunitensi paiono improbabili l'unica potenza nucleare è e rimane lo stato sionista.
Il secondo capitolo esamina la scena strategica affollata: secondo Frankel la Repubblica Islamica dell'Iran, priva di armamenti moderni ed in grave difficoltà per procurarsene, sarebbe stata designata come nemico mortale dallo stato sionista negli anni Novanta perché consente allo stato sionista di mantenere un perenne stato di tensione in tutto il Medio Oriente, impedendo intromissioni americane che lo costringano alla pace con i palestinesi. Al tempo stesso gli Stati Uniti soffrirebbero gravi ripercussioni (assai più economiche che militari) dalla destabilizzazione dell'area che un'aggressione alla Repubblica Islamica causerebbe. In mezzo ai paesi del Golfo recisamente contrari ad un attacco e con la Repubblica di Turchia intenta a ritagliare un proprio ruolo regionale, la reale esistenza di una atomica iraniana comporterebbe soltanto la fine dell'esclusiva sionista su questo armamento. A rendere ancora meno probabile un'aggressione sionista o statunitense ci sarebbero i crescenti interessi geopolitici ed economici che Russia e Cina hanno in Iran.
Il terzo capitolo prende le mosse dalla considerazione che nel 2008, verso il termine della presidenza Bush, un'aggressione sionista contro la Repubblica Islamica era mostrata dalla propaganda come imminente. Frankel espone qui i motivi del mancato avverarsi della previsione e la riduce ad un'operazione propagandistica il cui intento, in assenza di un sostegno statunitense, era sostanzialmente quello di forzare la mano al successore della presidenza in carica. L'aggressione a Gaza del gennaio 2009 sarebbe stata, da questo punto di vista, un sostituto di un'aggressione contro la Repubblica Islamica dell'Iran ed avrebbe avuto lo scopo di rendere il più difficili possibile eventuali intromissioni statunitensi nella geopolitica mediorientale vòlte al raggiungimento della pace tra palestinesi e stato sionista. Dopo aver esaminato le cause del declino dell'opzione militare caldeggiata dai sionisti (una delle cause sarebbe rappresentata dalla convinzione diffusa che l'atomica iraniana semplicemente non esista), Frankel esamina nel dettaglio il fallito piano neocon per la ristrutturazione del Medio Oriente. Quali che fossero gli intenti dei neocon, nulla nel loro piano aggressivo ha funzionato veramente, impantanando l'esercito aggressore in due conflitti a tutt'oggi privi di soluzione. Secondo Frankel, alla luce delle voci che da anni suggeriscono la presenza di unità speciali statunitensi e sioniste nella Repubblica Islamica dell'Iran, è verosimile che siano in atto continui tentativi di destabilizzare il paese fomentandovi insurrezioni nell'impossibilità di attaccarlo direttamente.
Nel quarto capitolo Frankel prende in considerazioni vari scenari possibili nel caso l'atomica iraniana diventi realtà. Tra i due paesi potrebbe instaurarsi un rapporto di deterrenza reciproca, che è l'ipotesi presa in considerazione dalle figure più competenti. La propaganda di cui si servono i media, invece, propende per una Repubblica Islamica dell'Iran controllata da pazzi che altro non attendono che di colpire lo stato sionista con le armi appena realizzate. La confutazione della propaganda richiede a Frankel un buon numero di pagine di esposizione razionale di tutto quanto contribuisce a contraddirla, a cominciare dalla postulata "irrazionalità politica" iraniana, cui fa da contraltare un approccio alla geopolitica e ai rapporti internazionali che appare invece come un autentico monumento alla concretezza. Secondo alcuni autori, lo stato sionista teme di veder ridimensionato il proprio prestigio sia che la Repubblica Islamica arrivi a sviluppare armamenti atomici, togliendo l'esclusiva di essi allo stato sionista, sia che vi rinunci esplicitamente nel quadro di relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, che potrebbero in cambio riconoscere all'Iran il ruolo di interlocutore privilegiato.
Il quinto ed ultimo capitolo affronta la dottrina sionista della cosiddetta "ambiguità nucleare", impostata sul non far trasparire informazioni attendibili né sull'effettiva disponibilità di armamenti nucleari, né sulla dottrina di schieramento e di impiego. L'A. propende per attribuire allo stato sionista un arsenale nucleare formidabile, "quasi incredibile per un così piccolo paese" che mal si concilierebbe con la cosiddetta "opzione Sansone" o con quella della "bomba nello scantinato" da impiegare nel caso la situazione si facesse disperata. A fronte di una ipotetica minaccia nucleare proveniente dalla Repubblica Islamica dell'Iran, lo stato sionista risulterebbe disporre non soltanto di un gran numero di armamenti nucleari, ma anche dei vettori necessari ad estenderne l'utilizzo in un'area molto più grande del solo teatro mediorientale.

Giorgio S. Frankel, L'Iran e la bomba. I futuri assetti del Medio Oriente e la competizione globale. pp. 140, DeriveApprodi, Roma, 2010.