Nei primi dieci anni del ventunesimo secolo la "libera informazione" che ha come target i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana ha abitualmente presentato un agenda setting fatto in modo da garantire il mantenimento di un clima di terrore e di sospetto reciproco che legittimasse l'operato di "governo" della propria committenza politica. Di questa prassi quotidiana -ancora in uso nonostante i crolli di credibilità ed i fallimenti economici cui ha portato un modus agendi sempre più alieno dalla realtà- erano parte integrante i linciaggi a mezzo stampa di chiunque fosse anche solo sospetto di disturbare il manovratore, un allargamento della definizione di "terrorismo" che arrivava a contemplare tutti i comportamenti diversi da quelli di consumo, e soprattutto la produzione e la pubblicazione di contenuti diffamanti.
I tempi dei tribunali non sono quelli delle gazzette; le molte cause per diffamazione intentate da individui il cui nome proprio o il cui gruppo di appartenenza erano diventati letteralmente degli insulti grazie all'operato di molti gazzettieri sono passate in giudicato quando la macchina propagandistica alimentata dall'"occidentalismo" dava già segni di cedimento. Soltanto nel maggio del 2011 l'avvocato milanese Luca Bauccio ha potuto muoversi con l'avvedutezza necessaria a fornire un colpo d'occhio non gazzettiero sui materiali che gli sono passati per le mani nel corso di svariati anni di attività forense. "Primo, non diffamare" presenta in poco più di cento pagine una rassegna di casi concreti che sono occasione per analizzare nel dettaglio le tecniche e le prassi diffamatorie messe in atto dai foglietti e dalle televisioncine; va ricordato che alla distruzione abituale e metodica dei potenziali nemici indicati dalla committenza gli operatori della "libera informazione" dànno solitamente il nome di professionalità.
Nel primo capitolo del libro, intitolato L'onore al tempo del colera, l'Autore afferma che la diffamazione avviene "per errore, per imperizia, per calcolo, per interesse politico, per odio, per convenienza, per soldi, per potere" ed anche e soprattutto "per stupidità" in un contesto mediatico in cui è praticamente impossibile porre un freno, un limite, un rimedio ai falsi e soprattutto alle "mezze verità" alla base di tutto. Si diffama in modo sistematico se c'è "da depistare, da inquinare, da distrarre l'attenzione". Secondo Luca Bauccio la diffamazione mediatica produce una manipolazione della realtà in cui il verosimile prende sistematicamente il posto del vero. E il verosimile è la categoria che permette di accusare innocenti, offendere senza prove e soprattutto insinuare il falso senza poterlo esplicitare, per la sua enormità e soprattutto per la sua inconsistenza. Nel corso degli ultimi anni l'assetto politico peninsulare ha dovuto non poca della propria solidità ad una "libera informazione" che ha continuamente eletto per ogni questione responsabili esterni estremi ed infernali, pronti ad un'invasione distruttrice di cui i singoli individui presentati dalle gazzettine rappresentavano solo l'avanguardia.
Il secondo capitolo affronta il problema delle questioni d'onore; il rapporto ricorrente tra contenuti gazzettieri e senso comune, la condivisione del verosimile su specificato e il diffondersi nel corpo sociale delle menzogne che da esso derivano vengono considerati nei loro esiti, spesso devastanti e in qualche caso tragici. Un'ulteriore illustrazione dei concetti fin qui già espressi nel libro è presente nel capitolo successivo, in cui si esamina il potere delle parole. Parole che il gazzettaio peninsulare utilizza abitualmente per la disumanizzazione di individui e gruppi sociali in un numero di casi ormai troppo ampio per poterlo rendicontare in poche righe: tra i più frequenti l'utilizzo del vocabolo clandestini, che consente ai gazzettieri di presentare in modo opposto e politicamente conveniente la morte di qualcuno che annega nel Mediterraneo rispetto a quella del giovane suddito peninsulare vittima di un incidente stradale.
In questo modo di fare "informazione" Gossip, scandali ed altre stregonerie finiscono per costituire parte essenziale dei contenuti mediatici. "In un programma televisivo il celebratissimo re del gossip Alfonso Signorini mostra la foto di Massimo d'Alema e della moglie, ritratti assieme in montagna. Signorini lancia la diceria. 'Ecco i comunisti, vestiti da capo a piedi in cachemire!'. Dei due comunisti(!), D'Alema e la moglie, gli spettatori vedono solo giubbotti, occhiali da sole, sciarpa e berretto, ma al gossip (ed al suo re) non interessa la realtà, solo la sua storpiatura. E così per giorni si è parlato dei comunisti in cachemire, senza però che nessuno spiegasse come potesse esistere un giubbotto a vento in cachemire. Si crede quello che si vuole credere, e questo il gossip lo sa bene". Il capitolo presenta ed analizza vari casi in cui il sottinteso e il verosimile hanno permesso secondo una prassi simile di accostare fatti veri per produrne di falsi.
Il quinto capitolo del libro tratta delle Imputazioni a mezzo stampa. La "libera informazione" e la prassi quotidiana su delineata hanno permesso la nascita e la fortuna di figure mediatiche come quella del "pubblico ministero giornalistico-televisivo" che sulla base dei fattoidi costruiti con i sistemi già accennati può presentare la propria libertà di offendere come se fosse un pilastro del democratismo ed un'arma contro il pensiero unico. I mostri creati dalla "libera informazione" diventano tali molto più per l'interesse di chi li costruisce che non per la sostanza (di solito meno che evanescente) di quanto viene ad essi attribuito, e il gazzettiere che emette sentenze alla televisioncina non si periterà dall'abbaiare quando un tribunale vero osa emettere una sentenza che non collima con quanto a lui gradito. Il fatto che un tribunale che opera nella penisola italiana abbia sentenziato che l'assassinio della ragazza pakistana Hina Saleem ad opera di suo padre è stato dovuto ad un "patologico e distorto rapporto di possesso parentale" ha causato le reazioni indignate di quanti lo avevano ascritto alla malvagità metafisica dell'Islam.
Libera contumelia in libero stato affronta le implicazioni della ricorrente e continua stigmatizzazione mediatica di individui e minoranze, sfociata secondo l'A. in una vera e propria guerra alle identità che arriva abitualmente al punto di accanirsi contro comportamenti o forme d'arte minimamente riconducibili a certe appartenenze sociali o religiose. Nel settimo capitolo si analizza quella che Bauccio chiama "la dissoluzione della realtà nell'iperuranio del diritto di critica", insegnando a diffidare di chi accampa la "libertà di espressione" come giustificativo per svalutare o mettere in sottordine i fatti concreti.
L'ottavo capitolo insegna a smascherare l'impostura opponendo i fatti ai fattoidi, le prove alle dicerie, la concretezza ai proclami, i toni pacati allo starnazzo gazzettiero. "Un politico ingiustamente accusato perderà degli elettori... Un artista cui è stato attribuito un tradimento dovrà presentarsi a casa e guardare in faccia la propria famiglia... Una persona comune dovrà tornare nel suo luogo di lavoro, uscire di casa e guardare in faccia i vicini. Chi ha invece distribuito l'infamia, forte dei soldi della proprietà del proprio giornale, tornerà semplicemente in redazione (quando la frequenta) pronto per il prossimo apocalittico scoop, pronto a spiegarvi che la verità non esiste. Ci sono solo le opinioni personali. Le sue". Secondo Luca Bauccio esistono mass media che presentano quotidianamente questo "reale" autocostruito senza mai confrontarlo con nient'altro e ovviamente non ammettendo neppure la liceità di un confronto.
La macchina della diffamazione non si ferma davanti a nulla, neppure davanti al silenzio di gruppi o persone che di solito hanno ben altro di cui occuparsi che di qualche sfaticato con la cravatta che li denigra per ordine della committenza: le logiche diaboliche descritte nel nono capitolo identificano silenzio e colpevolezza e fanno ampio uso di sillogismi e paralogismi. Il successivo capitolo è dedicato ad un caso particolare, alla prassi della intervista diffamatoria con la quale è mediaticamente possibile, in modo allettante e facile, far dire a chiunque quello che si vuole che egli dica.
L'ultimo capitolo illustra i metodi più efficaci, pur con i moltissimi limiti del caso, per difendersi dalla diffamazione; dalla pretesa di una rettifica alla causa civile fino alla querela. Di ciascuno strumento Bauccio individua i pregi e soprattutto i limiti, non mancandogli i casi concreti in cui la pervasività di un modus agendi condiviso e sostanzialmente impunito ed impunibile è stata capacissima di fagocitare e rivolgere a suo pro ogni tentativo di confutazione.

Luca Bauccio, Primo, non diffamare - Difendere il proprio onore nell'era della disinformazione, pp. 152. Ed. Ilmiolobro.it, 2011.