“La possibilità è la più pesante di tutte le categorie” diceva un grande filosofo dell’800, Søren Kierkegaard. Per lui l’esistenza è un insieme di possibilità che obbligano l’uomo ad una scelta e che implicano una componente ineliminabile di rischio. Ogni possibilità è infatti, oltre che possibilità che sì, anche possibilità che no. Che c’entra questo con l’"occidentalismo"? C’entra eccome. Di fronte all’"occidentalismo", qual è la scelta che vogliamo fare? L’intera questione del rapporto tra noi e l’"occidentalismo" potrebbe essere riassunta in questo quesito: alla fine, saranno loro che imporranno a noi la loro visione del mondo, oppure saremo noi che li cambieremo rendendo l’"occidentalismo" una weltanschauung inoffensiva? Possibilità che sì, possibilità che no. Proviamo a dare un’occhiata alla storia recente. Nell’ultimo secolo l’Europa, cioè l’Occidente, ha partorito non due aberrazioni, ma due conseguenze, in parte addirittura prevedibili, dei profondi cambiamenti verificatisi nel sistema di produzione, nella geopolitica e nella società nel suo complesso: il nazismo e il comunismo. Del primo non ce ne siamo affatto liberati, nonostante ci sia costato lacrime e sangue, venti milioni di morti nella sola URSS ed un continente stravolto. Il nazismo aveva l'aspirazione universale del dominio dello Übermensch ed i suoi estimatori ed accoliti riempiono a tutt'oggi gli stadi, quando non vengono spediti direttamente in parlamento dal voto popolare.
Neppure dalla seconda logica conseguenza, il comunismo, non ci siamo liberati affatto. E per fortuna. Il perché è facile da intuire, aveva un respiro mondiale quindi non legato ad un popolo o una nazione, inoltre -e soprattutto- faceva leva su quell'argomento possente e tutt'altro che uscito dalla necessità che si chiama giustizia sociale. Questa vocazione universalistica è stata utilizzata come paravento e scusa per regimi solidamente sostenuti che si sono affermati in vaste zone del pianeta lasciando dietro di sé una scia di morti quantificabili in circa 100 milioni, anche grazie all'incessante e non disinteressato assedio che il resto del mondo ha posto per settant'anni ad esse zone: URSS, Cina, Vietnam, Corea, Cambogia, giusto per fare qualche citazione. Però anche il comunismo, almeno quello che albergava nel cuore dell’Europa, alla lunga ha perso il confronto con ciò che chiamiamo Occidente, il muro di Berlino è caduto e l’URSS si è sgretolata, non certo per motivi ideologici ma per il semplice fatto che la gente era stufa di dover fare la fila per il pane e per merci di pessima qualità mentre ogni risorsa andava alla produzione di armamenti e al mantenimento di una casta di boiardi che viveva e vive a tutt'oggi tra sempre più ostentati e grossolani lussi. Il tutto, senza che i problemi di base che ne hanno permesso l'affermazione venissero minimamente scalfiti -anzi, stanno nuovamente tornando ed aggravandosi- dall'imporsi del liberalismo trionfante.
Rimasto incontrastato padrone del campo, il liberalismo è stato erto da politicanti e mezzi di comunicazione ad una sorta di quasi-religione assolutamente intoccabile, pena l'accusa di star coltivando nostalgie per il lager o per il gulag. Completato da altri e scellerati sostegni ideologico-politici che lo hanno reso ancora più miope, il liberalismo è diventato "occidentalismo" e rappresenta oggi un'emergenza molto più pericolosa di quanto non appaia a molti. Lo è perché nessuno si sogna di controllarlo o quantomeno di irriderlo, lo è perché per una massa cerebralmente quasi inerte di sudditi lo ha incluso nella propria visione del mondo senza neppure saper bene perché, lo è perché ha un’aspirazione planetaria, lo è perché non poggia su un’ideologia ma essenzialmente sulla propaganda, e quindi non è contrastabile con la forza argomentativa della ragione. L'"occidentalismo" si incarna negli ipse dixit dei suoi incoscienti o prezzolati ideologi ripetuti fino allo sfinimento e secondo modalità da tempo collaudate, che consentono di mettere immediatamente all'angolo qualunque interlocutore e qualunque obiezione.
E siamo alla questione posta all’inizio: il raziocinio sarà inghiottito dall’"occidentalismo" o l’"occidentalismo" si sgretolerà completamente nel confronto con la realtà concreta, a differenza di quanto già successo con nazismo e comunismo? Limitiamoci ai dati di fatto, che per fortuna recano qualche conforto. Secondo Oriana Fallaci (La forza della Ragione, pag.51-52), nell’ultimo mezzo secolo i musulmani sono cresciuti del 235 per cento ed ora, a livello planetario, sono un miliardo e 600 milioni circa; l’ONU attribuisce ai musulmani un tasso di crescita tra il 4,6 e il 6,4 per cento all’anno; negli anni sessanta i musulmani del Kosovo erano il 60 per cento, negli anni novanta il 90 per cento ed oggi sono il 100 per cento; in Europa sono circa 18 milioni; fuori dell’Unione Europea 35 milioni; in Svizzera sono il 10 per cento della popolazione, in Russia idem, in Georgia il 12 per cento, a Malta il 13 per cento, in Bulgaria il 15 per cento, il 18 a Cipro, il 19 in Serbia, il 30 in Macedonia, il 60 in Bosnia, il 90 in Albania, il 93 in Azerbaigian. Come qualunque altro dato, parere o -più spesso- slogan che provenga dalla stessa fonte, anche queste cifre vanno considerate come assolutamente fuori dall'attendibile, non foss'altro che per il fatto che non esiste un registro dei fedeli, al contrario di quanto avviene per il cattolicesimo. Tuttavia, cifre che rientrassero in quest'ordine di grandezza lascerebbero ben sperare per il futuro. Possiamo anche continuare: nell’Unione Europea i neonati musulmani sarebbero ogni anno il 10 per cento, a Bruxelles raggiungerebbero il 30 per cento, a Marsiglia il 60 per cento, in Olanda, in alcune città presto i credenti sarebbero la maggioranza e lo sarebbero già oggi in molti quartieri. Le percentuali in alcune città d’Italia salgono in modo interessante e si stima che nel 2015 i musulmani in Italia saranno abbondantemente oltre il milione. Bernard Lewis, non certo uno dei più illustri islamologi americani ma uno di quei "pensatori" neocon ormai già passati di moda ma ampiamente strombazzati quando gli yankee dovevano aggredire l'Iraq, profetizzava che entro il 2100 l’Europa sarebbe stata tutta, o quasi, islamizzata. Bassam Tibi, non da "rappresentante ufficiale dell’Islam in Germania" ma da professore di relazioni internazionali a Gottinga, avrebbe commentato una simile profezia dicendo:”Il problema non è stabilire se a diventare musulmani sarà la maggioranza o la totalità degli europei. Il problema è chiedersi se l’Islam destinato a dominare l’Europa sarà l’Islam della Sharia o l’Euroislamismo”.(si veda “Oriana Fallaci intervista sè stessa”, pag.192, ed ovviamente vi si faccia sopra l'opportuna tara). Davanti alle conseguenze del colonialismo, ai tempi ancora più evidenti di oggi, l'algerino Boumedienne nel 1974 dinanzi all’Assemlea delle Nazioni Unite aveva affermato: ”Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo. E lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria.” Anche in questo caso, come in tutti gli altri casi in cui ci occupiamo dei dogmi "occidentalisti", la realtà va nella direzione opposta. Il numero di figli per donna sta decrescendo, e molto rapidamente, in tutto il dar al'Islam. Nella Repubblica Islamica dell'Iran, in sole due generazioni, si è passati da famiglie di otto-dieci persone alle famiglie nucleari. E poi c’è la questione Turchia, 100 milioni di persone pronte non certo a "riversarsi in Europa con la nostra benedizione", come temono gli "occidentalisti", ma pronte se mai a dare un contributo importante all'edificazione di un continente unito e pacifico, essendo tra l'altro la Turchia un paese amplissimamente laicizzato da circa settant'anni.
Interessano a qualcuno questi dati, di solito inventati? C’è qualcuno che si preoccupa minimamente dello scellerato uso propagandistico e politico che ne viene fatto? Non molto ci pare, la maggioranza della gente non è al corrente della situazione, oppure non riesce a dare a questo fatto l’attenzione che meriterebbe, oppure è troppo occupata a pensare ad altro e, sbagliando, crede che non siano affari suoi, oppure ritiene l’"occidentalizzazione" dei cervelli e delle condotte di vita un fatto ineluttabile, oppure, e questi sono i “collaborazionisti”, solitamente non disinteressati, l’appoggia.
Si può essere ottimisti con questo quadro? Certo che sì. Nonostante la visione d’insieme sia preoccupante, per usare un eufemismo, noi non dobbiamo neppure "aggrapparci" scompostamente a quel qualcosa che da sempre i filosofi hanno chiamato “logos” o Ragione, se preferite, ma semplicemente lasciare che le cose facciano il loro corso. Noi ci rifiutiamo di pensare che l’"occidentalismo" possa prevalere, semplicemente perché è contro Ragione, è contro l’innato senso dell’uomo di progredire e di andare avanti, è contro ogni logica; l’"occidentalismo" è uno stagno e alla fine uno stagno non può competere con l’oceano; noi crediamo, speriamo, che alla lunga l’"occidentalismo" perderà il confronto con le sue chimere, con il suo "islam" da barzelletta, e finirà per implodere e per frantumarsi. Siamo ottimisti quindi? Sicuramente, sia per l'immediato che per il futuro. Più le persone influenzate ed inquadrate dall'"occidentalismo" entreranno in contatto con i credenti, più la foia "occidentalista" diminuirà. L'"occidentalismo" verrà “imbastardito”, criticato dall’interno, messo in discussione dagli stessi occidentali (non esiste ancora un "occidentalismo" moderato: i suoi adepti non ammettono strumenti diversi dalla bomba atomica e dal B52). Non siamo neppure destinati a perdere molte battaglie, perché l'umiliante risultato delle "esportazioni della democrazia" ed il rapidissimo rimettersi al passo di dar al'Islam per quanto riguarda la tecnologia e l'abbondanza dei beni di consumo fanno pensare che sia già in corso un rapido mutare delle sorti.