Negli ultimi anni, nella sua tranquillissima e definitiva sistemazione di Casarsa, Pier Paolo Pasolini deve essersi esibito in numerose piroette e giravolte. Difficile, infatti, che il saccheggio cialtrone dei suoi scritti compiuto da "occidentalisti" in cerca di legittimazione possa aver avuto altro effetto che quello di farlo rigirare nella tomba.
Un articolo di Antonio Socci, opinionista cattolico specializzato in sfighe e tragedie, avanza nell'ottobre 2006 un acrobatico accostamento tra Oriana Fallaci e Pier Paolo Pasolini, accomunati a suo modo di vedere dalla comune islamofobia. Elemento fondante delle argomentazioni, la redazione di un dramma teatrale del 1944, intitolato I Turcs tal Friúl, in cui PPP paragona l'oppressione tedesca a quella turca di mezzo millennio prima. I vocaboli usati da Antonio Socci non sono questi: in modo ovviamente arbitrario ed ancor più ovviamente teso alla conferma della metafisica malvagità dei "musulmani", Socci parla di un paragone "fra oppressione nazista e oppressione musulmana" e di una analogia tra "Resistenza all'occupante nazista e la Resistenza all'invasore islamico". Ovviamente la realtà storica è assai più complessa e va, come spesso succede, in direzione ostinata e contraria a quella auspicata dagli "occidentalisti". Le scorrerie della cavalleria turcomanna in Friuli raggiunsero l'apice nel periodo 1479-1499; la Sublime Porta aveva un esercito eccezionalmente composito, così come composita era la popolazione dell'impero, ben lungi dall'essersi islamizzata in modo massiccio ed uniforme. Istanbul controllava gli elementi più turbolenti del proprio esercito affidando loro missioni ai limiti dell'impossibile, o comunque azioni all'estrema periferia dell'areale di influenza; il caso della cavalleria turcomanna costituisce un discreto esempio di questa prassi e non si capisce per quale motivo si dovrebbero andare a cercare nella (presunta) "islamicità" degli autori di una serie di scorrerie le cause ultime di questi comportamenti.
Secondo Socci, tra le innumerevoli colpe della "sinistra" ci sarebbe stato il non aver colto un simile "fallacismo ante litteram" in Pasolini; a nostro avviso più che di una colpa si tratta di un merito, soprattutto in consierazione del fatto che lo stesso Pasolini, nel 1970, girò a Sa'na molte scene per il film "Il fiore delle Mille e una notte" e si adoperò perché l'UNESCO ponesse la città yemenita sotto vincolo per preservarne la unicità e la straordinaria bellezza. Un comportamento non molto in linea con le posizioni fallaciane. Altro "demerito" della "sinistra", agli occhi di Socci, l'aver utilizzato proprio un brano dei Turcs tal Friúl in un disco dedicato alla lotta partigiana contro i tedeschi. Nel 1944 dar al'Islam come tale rappresentava poco più di un hic sunt leones per chiunque non facesse parte della ristretta schiera degli orientalisti o dei colonizzatori: è piuttosto probabile che il parallelo tra le scorrerie turcomanne e l'occupazione tedesca sia stato rafforzato dalla presenza, in Carnia, di reparti caucasici inquadrati nella Wehrmacht e da essa inviati nell'alta Carnia. Un simile stato di cose dà anche in questo secondo caso torto a Socci e ragione alla "sinistra".
Antonio Socci fa propria l'asserzione del regista Renzo Martinelli secondo la quale, senza l'operato del frate cappuccino Marco d'Aviano, "oggi le italiane, e non solo loro, porterebbero il burqa". Naturalmente, chi conosce anche soltanto a livello epidermico le vicende che portarono all'assedio di Vienna del 1683 non può che liquidarla con estrema e palese sufficienza, e trovarsi una volta tanto d'accordo con Gianfranco Fini che indicò nel film "Il mercante di pietre" un'operonzola di becera propaganda. Uscito nel 2006, il film è stato stroncato senza misericordia dalla critica e completamente ignorato da distributori e pubblico, finendo giustamente consegnato all'oblio in tempi eccezionalmente celeri.
Va anche evidenziato un dettaglio non secondario delle operazioni belliche turche sul suolo della penisola e nei mari attorno ad essa: molto spesso eserciti e flotte erano fitti di "rinnegati", ossia di individui nati nella penisola italiana e che, presi prigionieri o comunque capitati in territorio turco, riuscivano a far rapida carriera militare. In altre parole, chi finiva prigioniero dei turchi aveva qualche probabilità di vedersi riconosciute competenze e ruoli di grande importanza, essendo avidissimo l'impero di personalità del genere. Chi finiva prigioniero dei "cristiani" non aveva alcuna occasione di mobilità sociale, ed il più delle volte, bene che andasse, languiva a vita in una cella.
In considerazione di tutto questo, non ci sentiamo affatto preoccupati da un eventuale ingresso della Turchia nella Unione Europea: i turchi non sono affatto "Settanta milioni di musulmani", ma sessantotto milioni di cittadini di uno stato che della laicità ha fatto il proprio mito fondante e che, come stato, mal tollera condanne senza appello e a mezzo televisione, come farebbe qualsiasi altro stato sovrano.
Il commento aggiunto dagli "Occidentalisti" in coda alla geremiade di Antonio Socci è interessante almeno quanto l'articolo stesso: a loro detta, "sarebbe il caso che il governo italiano si associasse con la Merkel a chiedere cautela cautela e ancora cautela prima di spalancare le porte dell'Europa a chi per secoli è stato il suo più feroce e spietato nemico". Come se nel XV secolo le razzie turche avessero come obiettivo il "governo italiano"...!