La poca o punta diplomazia con cui il governo cinese tiene i rapporti con i dissidenti politici e con le minoranze culturali, etniche e religiose diffuse sull'immenso territorio che controlla non rappresenta una novità.
Nel 2008 la questione è tornata all'attenzione dei media per gli scontri di piazza, i saccheggi e le manifestazioni tenutesi a Lhasa e represse dall'esercito con l'abituale durezza.
I media europei, specie quelli "occidentalisti" (vale a dire tutti) hanno propagandato gli eventi a toni urlati e a paginoni, interessati meno del solito a spiegare le ragioni di quanto succede e lasciando l'impressione che saccheggiare un negozio cinese a Lhasa sia da intendersi come una eroica rivendicazione libertaria, mentre scrivere su un muro di Firenze vada considerato un reato da ergastolo. Che gran cosa la "libertà d'informazione".
In questa situazione l'"occidentalismo" islamofobo si muove impacciato; presentare i credenti di Kashgar, che hanno il ruolo poco invidiabile e poco contestabile di minoranza oppressa, come un pericolo per le istituzioni di un paese che hanno un'idea tutta loro della tolleranza e dei diritti umani è un problema. Tanto più in tempi in cui i notiziari abbondano di report allarmati sulla situazione tibetana: forse che quel che va bene a Lhasa non va più bene ad Urumqi?