Texas, 2007. Un soldato yankee mentre sottopone a test rigorosi una partita di democrazia da esportazione.


Traduzione da
Conflicts Forum.

Siria. L'analista Philippe Grasset ha sicuramente ragione quando scrive che in Siria la situazione si è stabilizzata grazie alla decisione di mettere sotto controllo internazionale gli arsenali chmici, ma che ancora è lontana dall'essere propriamente stabile. Per quando abbiamo avuto modo di vedere noi di Conflicts Forum nella nostra esperienza, situazioni come queste sono un po' come un ottovolante, fatte di alti e bassi. Basterebbe soltanto la più flebile affermazione che c'è stato un altro attacco chimico, o un altro massacro, per imprimere agli eventi un'altra direzione. Quello che fino ad oggi ha caratterizzato la crisi sitriana è stata proprio la presa determinante che gli eventi hanno avuto nell'imporre ad essa una direzione. Nel suo medio periodo, in cui preponderavano elementi dello jihadismo takfir, il clima politico e l'atmosfera del tempo erano determinati dagli assassinii e dagli attacchi suicidi. Queste circostanze hanno eliminato dall'equazione ogni elemento "moderato" togliendo ad esso qualsiasi influenza e privandolo di qualsiasi capacità di incidere sugli avvenimenti. Ora che la crisi è diventata una questione internazionale è possibile che questa nuova iniziativa stabilizzi le cose, ma in Siria ci sono ancora molte mani desiderose di far esplodere il paese sul viso dei propri nemici strategici. E' possibile che gli eventi si impongano anche sul piano internazionale: come risponderanno i vari "partiti della guerra" alla rinuncia condizionata all'aggressione che Obama va proponendo?
Grasset evidenzia il fatto che metre la crisi di per sé, aggressione o no, può anche essersi sopita, è verosimile che la crisi interna a Washington e ai paesi europei stia invece peggiorando fino a trasformarsi in una crisi politica molto più seria. Il suo volto ostentato è quello di una crisi che riguarda la politica estera, ma in realtà si tratta di molto di più: l'identità ameriKKKana sta vacillando, ed è entrato in dubbio il concetto che gli ameriKKKani e gli occidentali in genere hanno di se stessi. Da questo punto di vista, mentre essi si smarriscono dietro ai loro interrogativi morali, la questione della guerra in Siria è stata posta quasi esclusivamente nei termini della necessità per la civiltà occidentale di mettere in campo una "morale resa dei conti con il Male, in un teatro lontano". Non c'è dubbio che Obama si trovi all'angolo, in parte anche per colpa sua; se non riuscirà a trovare il modo di uscirne, sarà la sua presidenza ad uscirne rovinata. Parasossalmente, Obama si è trovato all'angolo proprio perché la causa siriana si presenta agli occhi dell'Occidente come profondamente radicata nelle vulnerabilità dell'occidente stesso. Impostare questa guerra lontana come se fosse uno specchio capace di riflettere i "nostri" valori, ha impedito ogni seria analisi a priori ed ogni considerazione sulle possibile conseguenze che essa avrebbe per il Medio Oriente. Non si è andati più in là del noialtri: man mano che sono emersi con sempre maggiore evidenza gli sviluppi, come il pericolo di una sonora bocciatura al Congresso o quello di una guerra regionale, Obama si è comprensibilmente aggrappato al tentativo di trovare una via d'uscita.

Il fatto che Obama sia finito all'angolo ha inaspettatamente svelato una più profonda crisi politica. L'opposizione all'aggressione così come è stata espressa al Congresso e dagli elettori non faceva riferimento soltanto al se si dovesse o meno aggredire la Siria. Come nota Grasset, essa riflette una profonda e potente tendenza a porsi delle domande sulle capacità della stessa amministrazione statunitense. McClatchy ha scritto il 9 settembre che "Domani, quando il Presidente Barack Obama si rivolgerà alla nazione perorando la causa dei raid aerei contro la Siria, avrà a che fare con il clima politico più ostile di tutto il periodo della sua presidenza. L'opposizione è trasversale: democratici, repubblicani, bianchi, neri, ispanici, vecchi, giovani, uomini e donne sono tutti profondamente scettici su questa missione. Secondo un nuovo sondaggio McClatchy-Marist, Una robusta maggioranza di elettori è contraria agli attacchi aerei e vuole che il Congresso dica no ad Obama. La maggioranza pensa che Obama non abbia le idee chiare su come si sta comportando con la Siria. La percentuale di ameriKKKani che approvano la sua linea in politica estera è ai livelli più bassi da quando Obama è presidente. E una maggioranza schiacciante pensa che in caso di voto negativo al Congresso, egli dovrebbe desistere. "Il presidente dovrà mostrarsi molto persuasivo, domani" ha detto Lee Miringoff, direttore del Marist Institute for Public Opinion di New York che ha svolto il sondaggio.

Un altro sondaggio realizzato da Pew mette le cose ancora più in chiaro: "Mentre prepara il suo discorso alla nazione del 10 settembre, il Presidente può avere un'idea di quanto la questione lo stia danneggiando. Il suo gradimento per come gestisce la politica estera è ai minimi storici e due terzi degli ameriKKKani non approvano come sta gestendo la questione siriana. In totale, il gradimento di Obama sta fra il 44 ed il 49 per cento, per la prima volta in più di un anno è finito in negativo. Lo studioso di scienze politiche Larry Jacobs, dell'Università del Minnesota, pensa si tratti di "un segnale significativo, dovuto parte al tipo di presidenza sotto il profilo dell'ordine storico, dall'altra a profondi dubbi sulla potenza ameriKKKana, e sulla potenza di questo presidente."

Ci sembra possibile concluderne, secondo quanto suggerito dai sondaggi, che la politica negli Stati Uniti sia in questo momento bersaglio di un movimento d'opinione in rapida crescita, e non tanto di una qualche effimera reazione a qualche discorso televisivo: Sempre secondo McClatchy (9 settembre) "E' possibile che il partito repubblicano assuma posizione contro la guerra! Questo cambiamento è dovuto in parte ad una viscerale disistima per il Presidente Obama, che poi è quello che propone gli attacchi contro la Siria. Qualcosa si deve anche ai rimorsi e alle lezioni imparate dalla guerra in Iraq. E qualcosa d'altro alle ramificazioni libertarie e isolazioniste germogliate dalle radici del Tea Party. Un gran numero di politici repubblicani, compresi i portavoce al Congresso, sostengono le pressioni di Obama perché si arrivi ad usare la forza contro il governo siriano, ritenuto colpevole di aver usato armi chimiche. Ma tra gli elettori, i semplici appartenenti al Congresso e molte voci influenti nel partito la tendenza è decisamente contraria alla guerra. "Nel nostro partito esiste un crescente movimento isolazionista", ha detto John Weaver, un consulente politico repubblicano di Austin, in Texas. "Il partito repubblicano è diventato popolare negli anni Quaranta, in parte grazie al suo instancabile anticomunismo,. I repubblicani hanno candidato l'eroe della seconda guerra mondiale Dwight Eisenhower alla presidenza nel 1952, ed Eisenhower ha vinto per due mandati consecutivi. La presidenza di Ronald Reagan è ancora oggi considerata con adorazione per i perentori discorsi che egli tenne contro l'Unione Sovietica, e nel suo discorso di inizio mandato del 2005 George Bush specificò la missione globale dell'AmeriKKKa. Adesso, tutto questo sta cambiando".

La "missione globale" del dopo guerra fredda cui Weaver si riferisce ha preso il via con il nome di "Dottrina Carter" attorno al 1980; essa impegnava gli Stati Uniti ad usare ogni mezzo necessario ad impedire che uno stato ostile estendesse il suo controllo al Golfo Persico. "Vista con il senno di poi", come afferma il professor Andrew Brachevich, "è abbastanza evidente che la cosiddetta Dottrina Carter si è tradotta in pratica in una dichiarazione di guerra da parte del Presidente, anche se lo stesso Carter non intendeva deliberatamente impegnare gli Stati Uniti ad un conflitto di durata indefinita in Medio Oriente. Di sicuro, quello che ne è seguita è stata una serie senza fine di guerre e di episodi militari. Nella sua formulazione iniziale la Dottrina Carter aveva una portata relativamente modesta, ma ha velocemente prodotto delle vere e proprie metastasi. Dal punto di vista geografico la sua portata si è estesa ben oltre i confini del Golfo Persico ed è arrivata ad abbracciare praticamente tutto il mondo islamico. Anche le ambizioni di Washington nella regione sono cresciute; anziché limitarsi a far sì che il Golfo non cadesse in mani ostili, gli Stati Uniti si sono messi velocemente nell'ordine di idee di diventarne essi stessi i dominatori. E dominarlo singifica in questo caso manipolare il corso degli eventi perché corrisponda al desiderio di Washington: si doveva controllare il Golfo per mantenerlo stabile, assicurare l'accesso alle più importanti riserve di energia del pianeta, controllare la diffusione del radicalismo islamico, combattere il terrorismo, rafforzare la sicurezza dello stato sionista e promuovere i valori ameriKKKani. E davvero è parso possibile arrivare a questo predominio tramite un utilizzo spregiudicato della potenza militare... o almeno, di questo si era persuasa Washington".

Secondo le considerazioni che hanno accompagnato i sondaggi, pare che sia in corso il collasso di questa "Dottrina Carter-Reagan". Dopo tutte le sconfitte militari, gli ameriKKKani della strada sembrano aver perso a grande maggioranza ogni fiducia in essa. E' diventata "un brutto film". Se le cose stanno così, da questo mutamento scaturiranno conseguenzwe sostanziali: se l'elettore ameriKKKano mostra tanto disincanto sulla questione siriana -e nel Regno Unito la grande maggioranza dell'elettorato si oppone ad ogni attacco senza curarsi del fatto che Assad abbia davvero ordinato gli attacchi del 21 agosto- è verosimile pensare che mostrerà maggior entusiasmo alla prospettiva di intraprendere una guerra contro l'Iran? Questo, i sondaggi non lo dicono; le ultime vicende fanno pensare che gli Stati Uniti non abbiano altra scelta che ripensare in blocco la propria strategia in materia, e di conseguenza l'intera strategia nel Golfo. Se in Arabia Saudita gli eventi saranno interpretati nello stesso modo, anch'essa dovrà trarne le stesse conclusioni: senza l'appoggio dell'Occidente le sarà difficile rovesciare l'influenza iraniana.

E'interessante il fatto che lo storico ameriKKKano -da sempre critico verso la politica estera statunitense- Wester Griffin Tarpley affermi che "Io sono dell'idea che sia venuta velocemente meno l'influenza [dell'AIPAC] e che essa abbia intrapreso una battaglia che è destinata a perdere. [L'AIPAC] Si sta muovendo sulla base di successi vecchi di decenni; non importa su quanta potenza essa può contare: stanno uscendo dal seminato. E stanno uscendo dal seminato perché il popolo ameriKKKano non è soltanto stanco di guerra, ma proprio disgustato dalla guerra".

Il Presidente Putin ha capito da tempo, fin  dal 2003, questo slancio ameriKKKano verso quella che i russi hanno definito come "incoerenza strategica" (intesa come deliberata mancanza di volontà nel prevedere la portata dei propri azzardi militari), nonché i rischi che le facevano da corollario rappresentati da volatilità e instabilità. Sulla base di tutto questo, e secondo il più classico stile russo, Putin ha porto la mano ad Obama per aiutarlo ad uscire dall'angolo. Nel far questo, come scrive con autorevolezza un ex dirigente del Mossad come Ephraim Halevi sulla gazzetta in lingua ebraica Yedioth Aronoth, "La Russia è tornata alla ribalta in Medio Oriente, e vi è tornata come potenza mondiale in grado di determinare mutamenti strategici. In questo, essa sta iniziando a spazzar via quarant'anni di assenza dalla regione, iniziati quando i suoi protetti Egitto e Siria fallirono nella guerra del Kippur proprio quarant'anni fa".

La Siria ha poco da perdere in tutto questo finché le cose rimangono come sono, cosa che non è detto duri molto a lungo. Le armi chimiche già si trovavano di fatto sotto controllo russo ed iraniano perché erano diventate materiale di interesse strategico più che un armamento in sé, e gli alleati della Siria, specialmente in Iran, sono estremamente ostili a qualsiasi utilizzo di armi chimiche. Questa ostilità nasce dal fatto che molti appartenenti alla leadership iraniana ne portano addosso gli effetti, essendo essi stessi rimasti vittime di attacchi con i gas durante la guerra con l'Iraq. Inoltre il bilancio della deterrenza in Medio Oriente viene definito in misura sempre maggiore non dalle armi di distruzione di massa, che servono a poco quando amici e nemici si mescolano in modo così stretto sul terreno, ma dagli armamenti convenzionali. E nel campo degli armamenti convenzionali la supremazia occidentale è stata erosa, non soltanto dal processo di accumilazione, ma dal fatto che quella che alcuni definiscono "guerra di quarta generazione" ha cambiato la propria natura diventando qualche cosa in cui le azioni su larga scala caratteristiche della dottrina militare occidentale si sono rivelate di assai debole efficacia.