Via dal Medio Oriente. Ritirata e sconfitta yankee secondo Conflicts Forum
Traduzione da Conflicts Forum.
Nei giorni di metà dicembre l'attività diplomatica in Medio Oriente si è intensificata. Karzai, Maliki e Lavrov si sono tutti recati a Tehran, e il principe Bandar ha sentito Putin al telefono. Ci sono in ballo varie questioni: Ginevra 2, l'intensificarsi delle violenze in Iraq, il futuro dell'Afghanistan, quello del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo e del Libano. E' chiaro che Russia, Cina ed Iran stanno coordinando con attenzione le mosse con cui rispondere all'intento statunitense di disimpegnarsi.
Il Presidente Obama sta concludendo il processo iniziato da Carter. Quando il consigliere per la sicureza nazionale di Obama riferisce al New York Times che il Presidente non intende "farsi logorare a tempo indeterminato in una sola regione" e che vuole rimodellare la politica statunitense in Medio Oriente "secondo linee molto critiche, che non tengano alcun conto di divieti preconcetti" diventa chiaro che gli Stati Uniti hanno cominciato a muoversi in un altro modo. Le aspirazioni idealistiche hanno dovuto cedere il posto agli interessi vitali, qualunque cosa appartenga al mondo dei desideri ha dovuto abdicare davanti al crudo realismo. Come ha notato Andrew Bacevich, gli Stati Uniti non possono più valersi della rassicurante e ridondante potenza -o della approvazione dell'elettorato- necessarie a plasmare il Medio Oriente secondo quella che considerano la loro "missione civilizzatrice".
L'amministrazione ameriKKKana è semplicemente impegnata, oggi, in un'azione di retroguardia che serve a far sì che le strutture e le dottrine che esistono sin dai tempi di Carter possano arrivare al capolinea senza traumi. Alcune azioni preparatorie in questo senso sono meditate e deliberate, per esempio la sigla degli accordi di Ginevra con l'Iran; altre risoluzioni invece è probabile siano più che altro dettate dall'agitazione provocata dallo shock causato dagli eventi, o magari incoraggiate dal vecchio trucco da colonialisti secondo cui al momento di abbandonare una certa regione è sempre meglio lasciarsi dietro due rivali in lotta tra loro per riempire il vuoto, cosa che lascia all'ex potenza dominante un maggior campo per i propri maneggi. Non c'è alcuna garanzia che una simile strategia di potere alla Kissinger possa funzionare in quel guazzabuglio che è il Medio Oriente di oggi, un posto le cui dinamiche sono comunque fuori dalla portata delle potenze regionali, che si trovino in equilibrio o meno.
In ogni caso, per ribadire all'Arabia Saudita che gli USA rimangono comunque un alleato nonostante i loro tentativi di riavvicinamento all'Iran, gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere un'iniziativa saudita che dovrebbe davvero fare del regno una superpotenza militare e un baluardo in Medio Oriente, al tempo stesso consentendo agli USA di diminuire il proprio coinvolgimento. Nel fissare una serie di misure che nel loro insieme mettono il Consiglio per la Cooperazione nel Golfo -di cui l'Arabia è il membro più potente- nella sua interezza al centro della politica di difesa statunitense, Hegel ha indirettamente fornito sostegno alla pretesa saudita che punta a fare dei paesi del Golfo un'unica entità. Quella dell'unificazione è una vecchia idea dei sauditi, più volte respinta dagli altri paesi che non intendono fare a meno della propria autonomia a favore di un'Arabia Saudita egemone.
Non c'è da sorprendersi che i funzionari sauditi siano rimasti estasiati dalla prospettiva, accogliendo con entusiasmo il fatto che Hegel abbia compreso le necessità del regno ed abbia di fatto espresso il proprio sostegno ai loro tentativi di arrivare ad un'unione tra paesi del Golfo capeggiata dall'Arabia Saudita. "Questo coincide precisamente con il nostro programma", ha detto un funzionario. Tuttavia, in un dibattito pubblico ai quali non è peraltro solito il ministro degli esteri dell'Oman Yousef bin Alawi al Ibrahim ha reagito malamente: "Noi non siamo d'accordo con nessuna unificazione. Nella regione non esiste alcun accordo su questa iniziativa... Se questa unione diventerà realtà, stabiliremo rapporti con essa ma non entreremo a farne parte. Su questo, la posizione dell'Oman è molto chiara. Se si tratta di nuovi accrocchi per mettere i paesi del Golfo in condizione di affrontare le guerre in corso o quelle future, l'Oman non entrerà a farne parte", ha detto.
Chiaramente, il dibattito è stata un'occasione per sondare il terreno. Dopo il recente viaggio diplomatico del ministro degli esteri della Repubblica Islamica dell'Iran, Saud al Faisal ha brigato per mettere a tacere, anche prima che si potesse anche solo nominare la questione, ogni potenziale tentativo di qualsiasi appartenente al Consiglio di intavolare con l'Iran discussioni sulle isole dello stretto di Hormuz per le quali ci sono delle dispute territoriali. Al Faisal ha imposto al Consiglio per la Cooperazione tra gli Stati del Golfo una posizione intransigente ed inflessibile: impedire allo sceicco Hamad del Fujarah (che è uno degli Emirati Arabi) di venire a patti con Tehran. Per questo, è arrivato ai ferri corti con i leader dell'Oman, degli Emirati e del Qatar. Faisal ha accusato l'Oman e il Qatar in particolare di finanziare a tutt'oggi i Fratelli Musulmani, che l'Arabia Saudita è invece impegnata a distruggere.
E' probabile che le affermazioni del ministro omanita vengano condivise anche da altri paesi del Golfo, anche se nessuno lo dice in pubblico e a voce alta in questo modo. Il sultanto Qabus, che non era presente al vertice, pare sia rimasto talmente offeso dalle rimostranze dei sauditi per aver ospitato i colloqui segreti tra funzionari statunitensi ed iraniani da aver fatto capire agli altri paesi del Golfo che è pronto a far uscire l'Oman dal Consiglio.
I più piccoli tra i paesi del Golfo guardano con timore a come rispondere al nuovo atteggiamento degli ameriKKKani; non esiste alcuna "grande potenza" che costituisca un sostituto naturale degli Stati Uniti e che come essi possa garantire alle monarchie una sopravvivenza incondizionata dello stesso genere. Le principali preoccupazioni di questi paesi riguardano la conservazione dell'indipendenza e la sopravvivenza come stati sovrani. In un mondo non-polare, o anti polare, la sicurezza è una questione di buone relazioni, soprattutto di buone relazioni con la potenza regionale egemone qualsiasi essa sia, più che di farsi trascinare dentro una disputa di vicinato sempre più militarizzata tra Arabia Saudita ed Iran. Di qui nascono le sempre più profonde divisioni tra l'Arabia Saudita e gli altri stati del Consiglio, divergenze che riguadano sia la Siria sia i rapporti con l'Iran all'indomani degli accordi di Ginevra, soprattutto adesso che l'Iran ha esplicitamente invitato gli stati del Consiglio a voltare pagina. Circolano molte voci secondo cui tutti gli stati del Golfo vogliono un vertice tra sauditi ed iraniani, alla faccia del ministero di Saud al Faisal e della sua rabbia strabordante.
In breve, l'iniziativa di Hegel tesa a rafforzare l'Arabia Saudita nel suo confronto con l'Iran tramite l'adozione di un assetto militare unificato da parte degli stati del Consiglio potrebbe finire con dividere il Consiglio anziché col rafforzarlo. C'è anche la possibilità che Hegel abbia presente questo problema e abbia cinicamente preso le parti dei sauditi in attesa di ulteriori contratti per la vendita di armamenti, facendosi allo stesso tempo poche illusioni sul fatto che la sua iniziativa sia destinata a prosperare.
Altri aspetti delle azioni di retroguardia messe in atto dagli ameriKKKani -abbandonare un impegno militare non è mai privo di rischi- sono evidenti in Afghanistan, in Siria ed in Egitto. In Afghanistan gli Stati Uniti stanno letteralmente battendo in ritirata, ma vogliono mantenere una retroguardia sul terreno. Non è chiaro se questo sarà possibile perché i disaccordi con Karzai sono profondi. L'Iran, la Russia e la Cina non vogliono che truppe straniere rimangano in zona. Senza il sostegno ameriKKKano Karzai è vulnerabile, ma non necessariamente un morto in piedi. Obama sta cercando un modo sicuro per abbandonare il terreno dell'Afghanistan e di arrivare ad un accordo per la sicurezza. Tehran vuole che tutti i militari stranieri se ne vadano e il Presidente Rohani lo ha ripetuto anche questa settimana. L'Iran condivide con l'Afghanistan mille chilometri di confine, e Tehran si dimostra comunque comprensiva per il desiderio degli statunitensi che anche Rohani contribuisca ad un accordo per la sicurezza e a far sì che le truppe statunitensi possano lasciare indenni l'Afghanistan. Karzai ha un bisogno disperato di farsi degli amici: di qui la visita a Tehran. Il Presidente iraniano potrebbe senz'altro trovare la maniera di rendere più facile all'AmeriKKKa l'uscire dall'Afghanistan. Se si arriverà a qualcosa di concreto, questo punto potrebbe essere uno dei pilastri per sviluppare intese tra le due parti, come risultato degli accordi di Ginevra.
In Siria gli Stati Uniti stanno cercando il modo di cambiare pian piano posizione, passando da un atteggiamento iniziale favorevole al rovesciamento del governo in carica a concentrarsi invece sulla lotta allo jihadismo siriano che adesso Obama conosce, soprattutto per gentile concessione dei russi, come una minaccia da prendere sul serio. Sembra che tiri aria di accordi, ed è significativa la visita in Russia compiuta dal Principe Bandar. Tuttavia non è assolutamente possibile esprimersi con certezza.
Ci sono degli appartenenti all'opposizione siriana che vanno dicendo che esiste un accordo tra russi e ameriKKKani per permettere al Consigflio Nazionale della Rivoluzione Siriana e delle Forze di Opposizione (CNS) di rappresentare l'opposizione alla conferenza di Ginevra 2. Altre fonti dell'opposizione hanno attribuito questo sviluppo alla visita a Mosca di Bandar bin Sultan. "Se davvero le cose stanno così, si tratta di un premio di consolazione offerto ai sauditi [affinché diano il loro benestare] per la conferenza; in cambio l'Arabia Saudita dovrebbe consentire la partecipazione ad essa della Repubblica Islamica dell'Iran", ha detto il capo dell'opposizione. A suffragare l'ipotesi che si stia per arrivare a qualche accordo arriva il generale Idris, il capo del "Libero" Esercito Siriano, che ultimamente ha stupito molti quando ha detto che il CNS approverebbe il fatto che fosse il Presidente Assad a guidare il governo di transizione e che il "Libero" Esercito Siriano in questo caso si unirebbe probabilmente all'esercito regolare nella lotta contro gli jihadisti.
Il fatto che un'opposizione moderata si unisca all'esercito siriano nella lotta agli jihadisti farebbe sicuramente piacere agli Stati Uniti, ma la Casa Bianca ha ancora dei sospetti su Bandar. Si sospetta che abbia fatto causa comune con i conservatori ameriKKKani che si oppongono ad Obama, con l'intento di umiliare Obama sul fronte interno a causa della politica adottata in Medio Oriente. I sospetti sono stati rafforzati dalla recente cattura da parte del Fronte Islamico (una creazione di Bandar) dei magazzini di armamenti e materiali che l'Occidente ha fornito al "Libero" Esercito Siriano situati vicino alla frontiera con la Turchia. La preoccupazione per la grande quantità di armi ed equipaggiamenti razziata è stata tale (qui c'è una lista di quanto è finito nelle mani del Fronte Islamico) che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno interrotto, almeno per ora, ogni aiuto agli insorti.
Certo questo accordo -se è questo quello che Bandar sta cercando di accrocchiare- resta ipotetico; potrebbe offrire ai Sauditi il modo di salvare la faccia (cosa importante) e tirar dentro gli iraniani (cosa importante anche questa) ma difficilmente porterà alla fine della guerra perché la maggior parte degli insorti armati in grado di agire è formata da contrari ad ogni accordo. E gran parte dell'opposizione non islamica diventerebbe contraria se capisce che il CNS viene considerato come l'opposizione nella sua interezza. D'altra parte l'implosione del "Libero" Esercito Siriano sostenuto dagli USA e dall'Unione Europea sotto la pressione del Fronte Islamico potrebbe indurlo a muoversi in direzione di un più aperto impegno per consentire ad Assad di restare al potere, cosa che è già implicita nell'accordo con la Russia. In ogni caso, il corso degli eventi in Siria sarà definito da quello che accade sul terreno e non da quello che succederà a Ginevra.
In Egitto ed in Libano le azioni di retroguardia dell'AmeriKKKa consistono essenzialmente nella ricerca della stabilità. Kerry ha cercato, in verità con non troppo successo, di rimediare allo strappo col Generale Sisi facendo confronti sfavorevoli a Morsi. In Libano, gli Stati Uniti sono sulle spine per colpa delle elezioni presidenziali, previste a maggio. Gli sforzi del presidente in carica per ottenere un secondo mandato trovano poco appiglio, ma allo stesso tempo nessuno, all'interno o all'esterno del paese, è in grado di imporre un candidato. Un vuoto di potere che va ad aggiungersi al fatto che il Libano non ha un governo. Il Libano si trova per molti versi in un periodo particolarmente difficile: il re dell'Arabia Saudita, ed anche qualcun altro all'interno del paese, vorrebbero che il comandante dell'esercito libanese attaccasse Hezbollah. Le potenze occidentali e la Siria vorrebbero invece che l'esercito venisse schierato contro gli jihadisti e la loro influenza in Libano. Nulla sembra in grado di impedire il lento scivolare della situazione verso una qualche forma di scontro settario, a meno che Russia, Siria ed Iran non riescano a trovare un accordo con i sauditi. Ne ha bisogno anche l'AmeriKKKa, per parare le spalle proprie e quelle dello stato sionista come sono state parate fino ad oggi, intanto che il suo ritiro procede.
La fine delle ambasce ameriKKKane in Medio Oriente, sembra dire Obama, deriva proprio da questo lavorare sui meri interessi pratici. Diminuire il coinvolgimento statunitense nella regione non significa che i problemi del Medio Oriente si risolveranno, ma significa che non ci si aspetterà più che la soluzione di ogni problema venga dagli Stati Uniti. Dopo la prima accalorata reazione al cambio di atteggiamento deicso da Obama, dovremo probabilmente prendere atto del fatto che alcuni degli attriti si sono raffreddati, anche se dalla confusione legata al cambiamento di fondo che il Medio Oriente sta attraversando ne nasceranno di nuovi che finiranno per sostituirsi ad essi.
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