In Libano sono successe cose inquietanti ed allarmanti: un presidente (Suleiman) che sta affannosamente cercando di farsi rieleggere nelle elezioni previste a maggio; re Abdallah che lo ammonisce affinché rivolga contro Hezbollah l'esercito libanese, come ritorsione per l'intervento di Hezbollah in Siria; lo stesso re che"dona" tre miliardi di dollari alla Francia, per rifornire di armi francesi l'esercito libanese, e alla fine lo stesso presidente Suleiman che avalla pubblicamente tutta la faccenda, cantando "viva l'esercito (di cui è stato il comandante in capo), viva l'Arabia Saudita e viva il Libano". A tutto questo si accompagnano gli allarmi su un prossimo deteriorarsi delle condizioni di sicurezza avanzati dalla leadership di Hezbollah (allarmi che nascono con ogni probabilità dai servizi dell'organizzazione), l'assassinio di un esponente moderato del 14 marzo, ex ministro delle finanze, l'aggressione fuori della moschea al mufti sunnita del Libano che cercava di portare le proprie condoglianze al funerale di una giovane vittima della bomba al ministero ad opera di sostenitori del 14 marzo e di sunniti radicali che lo accusavano di tradimento per aver sostenuto il dialogo; accuse prive di fondamento alla Siria e a Hezbollah di essere coinvolti negli omicidi di personaggi mediatici e politici legati al 14 marzo, la pretesa del 14 marzo di andare al governo, e infine una dichiarazione presidenziale secondo cui il presidente intende formare un governo di fatto senza esponenti dell'8 marzo, nonostante quest'ultimo abbia la maggioranza nel parlamento uscente, perché questo è quello che vogliono i sauditi in cambio dei tre miliardi di dollari donati. E ancora autobombe.
Il linguaggio settario è qualcosa di esplosivo, la polarizzazione è il minimo che possa succedere. Il Libano sta per deflagrare, come già successo alla Siria? Che cosa possiamo pensare di quello che sta succedendo? I fautori della guerra di prossimità tra sauditi ed Islam sciita sono tutto d'un tratto arrivati al punto di innescare un conflitto settario che coinvolga tutto il Medio Oriente, un conflitto in cui si inquadrano la caduta di Falluja e Anbar nelle mani di movimenti che hanno fatto propria l'idea di AlQaeda e l'abbandono del parlamento iracheno da parte di quarantacinque deputati sunniti?
In Medio Oriente sarebbero in pochi a dire che i timori di un conflitto settario vero e proprio sono esagerati, ma quello che sta succedendo in Libano va comunque contestualizzato. Hussein Mousavian è un ex negoziatore per il nucleare iraniano ed ha guidato il comitato per gli esteri del consiglio per la sicurezza nazionale; adesso insegna a Princeton. Alla recente conferenza di Manama, durante un confronto con il principe saudita Turki, ha detto senza mezzi termini che il tentativo dei paesi del Golfo di strangolare la rinascita iraniana è fallito. Parecchi tra gli astanti sono rimasti basiti. Le sue parole significavano che il giro di boa, per quello che riguarda il futuro della regione, è già avvenuto. Il principe Turki non si è certo detto d'accordo.
Certo, se vediamo il Medio Oriente nel suo complesso, notiamo che il governo siriano nel corso delle ultime settimane ha consolidato con rapidità le proprie posizioni sul terreno. La Damasco di oggi è molto diversa da com'era anche solo qualche settimana fa, ce lo hanno confermato testimoni diretti, che sono stati in città negli ultimi giorni. E' vero che gli attriti settari sono cresciuti ovunque, specialmente ad opera dei sauditi; tuttavia c'è anche un altro dato di fatto, di cui spesso non si tiene conto: i sunniti sono ben lontani da costituire una fazione unita. Sono in parecchi a temere e a provare repulsione per i salafiti e gli jihadisti spuntati dappertutto in medio Oriente grazie al sostegno ufficiale dei paesi del Golfo e di diverse personalità che hanno agito in proprio. Colpisce abbastanza il fatto che il Presidente Assad, in un incontro con i leader sunniti della Siria, li chiami con successo a raccolta per combattere direttamente contro lo wahabismo e l'Islam salafita, affermando che sono entrambi due distorsioni dell'Islam... Solo un anno fa, sarebbe stata una cosa impensabile: l'intero mondo sunnita avrebbe reagito con sdegno. Solo che il vento è cambiato, e la maggioranza silenziosa degli ambienti sunniti ne ha abbastanza degli estremisti e degli ideologi di tutte le sfumature; vuole soltanto che si torni alla "normalità" e ad un minimo di sicurezza elementare. E lo stesso vale per il Libano e per l'Iraq, in cui i sunniti sono profondamente divisi, temendo l'ascesa dei tribunali volanti che giudicano secondo la sha'ria, l'arbitrio capriccioso degli imam jihadisti del quartiere, le mutilazioni e le decapitazioni eseguite da gente per lo più ignorante in materia di legge sacra. La gente è stanca di tutto questo. Gli sciiti sanno che in Arabia Saudita c'è chi agita lo spettro di un conflitto generale tra sunniti e sciiti, ma non credono che l'Arabia Saudita abbia la capacità o la ferrea determinazione necessarie a imbarcarsi in una simile impresa.
Non è soltanto il professor Musavian a dire che la contesa è arrivata ad un punto di svolta. In una riunione tenutasi di recente, cui hanno partecipato politici ameriKKKani e funzionari, l'ex capo della CIA Michael Mullen ha affermato recisamente che i sauditi hanno seriamente mal interpretato la posizione ameriKKKana quando hanno fatto conto sul sostegno degli USA "per una guerra che non avrebbero mai potuto vincere". Un diplomatico statunitense con una vasta esperienza mediorientale ha detto che "riunione tenutasi di recente, cui hanno partecipato politici ameriKKKani e funzionari, l'ex capo della CIA Michael Mullen ha affermato recisamente che i sauditi hanno seriamente mal interpretato la posizione ameriKKKana quando hanno fatto conto sul sostegno degli USA "per una guerra che non avrebbero mai potuto vincere". Un diplomatico statunitense con una vasta esperienza mediorientale ha detto che "ora come ora, sembra che Assad, Nassrallah e Solimani abbiano vinto". La guerra prende vie paradossali e adesso sono Hezbollah, la Siria e l'Iran a mobilitare i sunniti in base ad una piattaforma contraria allo wahabismo e a scoprire di star tacitamente condividendo un comune interesse coi paesi occidentali rappresentato dalla lotta allo jihadismo. La piega presa dagli eventi è fonte di considerevole smarrimento e costernazione, sia negli USA che in Europa. Per così tanto tempo hanno condisceso nei confronti dell'Arabia Saudita e ne hanno assecondate le istanze senza tener contro delle sue ambigue relazioni con i movimenti sunniti radicali e della sua parte nello sviluppo di questa ideologia, che ameriKKKani ed europei hanno scoperto con improvviso sbigottimento di star condividendo con Iran e Siria una stessa posizione in merito al grande problema del Medio Oriente, che è l'ascesa dello jihadismo. La cosa è fonte di grande costernazione.
E il Libano? Nel marasma generale, gli eventi libanesi fanno più pensare alla pura e semplice disperazione che non a strategie o politiche efficaci. Intanto, il discusso governo monocolore di in cui "il vincitore piglia tutto", secondo il modello occidentale, è tanto incostituzionale quanto in buona parte inapplicabile, in questi termini, al Libano. In Libano le cose non sono mai andate in questo modo. La costituzione, bene o male, impone una divisione settaria del potere tra tutti i raggruppamenti principali; per convenzione e per legge, l'esclusione di uno qualsiasi di questi rende di fatto illegale il governo. Difficilmente Suleiman potrà portare avanti iniziative come questa ed è chiaro fin da oggi che se mai dovesse farlo, magari per mettere in piedi un "governo di transizione", andrà incontro a fiera resistenza. E'possibile che il presidente debba rinunciare a quest'idea.
In secondo luogo il parlamento, che ha prolungato il proprio mandato già scaduto, non è probabile che voterà mai a favore di un assetto governativo sbilanciato in favore di una sola parte, laddove per "governo di tecnici" o "governo neutrale" altro non s'intende se non un esecutivo contrario a Hezbollah. Anche una nuova consultazione elettorale, nel caso fosse possibile raggiungere un minimo di accordo sul come si dovrebbe svolgere, difficilmente potrà rappresentare un modo migliore per giungere ad un voto di fiducia, senza il quale nessun governo ha legittimità. Il sostegno elettorale alla 14 marzo è svanito a Sidone e a Tripoli, che ne erano i capisaldi, e potrebbe non essere in grado di assicurare una maggioranza in parlamento.
Terzo, l'esercito libanese è un esercito nazionale. Si è disgregato durante la guerra civile, sotto le tensioni settarie, ed ha dovuto essere ricostruito con attenzione. Servirsene contro un gruppo settario in particolare significherebbe agevolare un'altra volta la sua frammentazione e la sua distruzione. Inoltre, i politici libanesi sanno ben interpretare da che parte tira il vento, e se gli stessi ameriKKKani dicono che il presidente Assad è possibile rimanga in carica per molto tempo, è verosimile che si adatteranno alla costante presenza di Assad (come Jumblatt insegna) piuttosto che prepararsi per un'improvvisa ascesa di Bandar. In altre parole, essi continueranno ad aspettare per vedere come finiscono le cose in Siria, prima di fare la loro scelta.
Insomma, è dubbio che il popolo libanese, con l'esclusione di una minoranza, abbia una qualche voglia di una vera e propria guerra civile; nemmeno la classe media sunnita ha stomaco per qualche cosa del genere. Il ritorno delle autobombe sta davvero preoccupando la gente, e richiama alla memoria vecchi e macabri episodi della storia libanese, ma la chiara responsabilità di queste nuove violenze resta incerta -si veda qui uno scritto che fa menzione di un possibile coinvolgimento saudita nell'attacco dinamitardo all'ambasciata iraniana- e visti i precedenti è possbile che chiarezza non verrà fatta mai.
La strategia del principe Bandar, capo dei servizi sauditi, appare chiara: lui e qualcun altro del 14 marzo contano sul fatto che alimentare un'atmosfera da conflitto confessionale imminente causato dagli omicidi, promuovere la presa del potere da parte delle formazioni politiche del 14 marzo e promettere il riallineamento dell'esercito in funzione di contenimento contro Hezbollah consentirà loro di costringere Hezbollah ad una seconda difensiva presa di Beirut come quella del 7 maggio 2008; un gesto che screditerebbe Hezbollah e lo costringerebbe a ritirarsi dalla Siria per poter affrontare con forze sufficienti la crisi in Libano. E' improbabile però che Hezbollah abbocchi all'amo perché il coinvolgimento di Hezbollah in Siria ha una portata relativamente ridotta e il movimento ha sempre fatto attenzione a tenere di riserva il grosso delle proprie forze, in considerazione di un possible attacco da parte dello stato sionista. Anche Hezbollah peraltro va preparandosi, da qualche tempo a questa parte, per far fronte a crisi interne che potrebbero richiedergli un impegno simultaneo su due fronti.
Se la tattica di Bandar dovesse avere successo -cosa che è poco probabile- Bandar ne ricaverebbe un piccolo vantaggio per la guerra in Siria: il ritiro di Hezbollah da una parte, e l'avallo libanese per il Consiglio Nazionale Siriano dall'altra. Bandar tuttavia sbaglia perché sopravvaluta l'importanza dell'intervento militare di Hezbollah in Siria: il ritiro forzato di Hezbollah, quand'anche si verificasse, non cambierebbe di per sé le sorti della guerra in Siria, che sono sfavorevoli a Bandar. Il risultato più verosimile dell'intromissione di Bandar è che il Libano si allontanerà ancora di più, per quanto è dato di vedere, da qualsiasi prospettiva di un minimo di stabilità futura ed il suo già logoro tessuto statale finirà per consumarsi fino allo strappo. Le condizioni della sicurezza peggioreranno: in Libano ci sono almeno un milione e duecentomila profughi siriani, molti dei quali (probabilmente il quaranta per cento) sono armati e disperati. Eppure, siamo convinti che il Libano riuscirà ad evitare la guerra civile. Anche se a maggio non sarà eletto alcun successore per il presidente in carica e si arriverà così ad un vuoto di potere, l'esercito si è preparato in vista di questa eventualità e pensa di avere appigli legali sufficienti ad evitare il crollo completo. Per il Libano non è una prospettiva allegra, ma la colpa è della parte politica che dispone di un indubitabile potenziale distruttivo e continua a servirsene come se si trattasse di una strategia efficace. Quanto sta succedendo in Libano è indice di disperazione, più che di realpolitik intelligente, e fa pensare che l'Arabia Saudita, sia pure inconsapevolmente, sappia che sta perdendo la guerra.
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