Anni fa eravamo convinti che a pubblicare sistematicamente immagini in cui il boiscàut Matteo Renzi figura con un'espressione non troppo acuta
fossero soltanto i suoi avversari o, più spesso ancora, i sedicenti tali.
Abbiamo dovuto ricrederci.

Alla fine di marzo 2014 Militant Blog ospita uno scritto intitolato Fra realtà e percezione dei fenomeni politici, opera di qualcuno che si presenta come lettore affezionato.
Le righe che ne riportiamo illustrano con stringata completezza le basi essenziali della popolarità di cui sta godendo in queste settimane il boiscàut cui fanno fare il Primo Ministro nell'esecutivo in carica.
Il nome dello stato che occupa la penisola italiana compare nel testo citato; ce ne scusiamo come sempre con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.

L’altra sera ero a cena da una coppia di distinti amici dalle parti di San Pietro. Gente coi soldi, abituata a disinteressarsi alla politica, men che meno alle contraddizioni sociali di cui questa ne è la rappresentazione. [...]
Nella discussione, immancabile è arrivato il commento sulle vicende di palazzo e sui mille mali dell’Italia. E immancabile, l’accenno a una decisa sterzata che rimettesse in piedi il paese, lo agganciasse alle economie produttive, eliminasse i lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo del mercato: “ci vorrebbe un dittatore”, concludevano i padroni di casa. In questo paese “c’è troppa democrazia”, serve qualcuno che non stia più a sentire questa o quella lobby, questo o quel partito o sindacato, e agisse con forza approvando quelle riforme di cui il paese avrebbe bisogno: abbassare le tasse, smantellare la burocrazia statale, liberalizzare definitivamente il mercato del lavoro, liberarci dei sindacati, eccetera. Non ho avuto il coraggio di intavolare una discussione seria su questi punti di vista, troppo ampia la distanza fra le parti e l’incomunicabilità l’avrebbe fatta da padrona. Forse, solo il tentativo di non rovinare una serata altrimenti gradevole. Le certezze dei commensali mi hanno però stimolato una serie di riflessioni che vorrei qui spiegare.
Anzitutto, tale bisogno di “dittatura” è molto più diffuso di quanto sembri. Lo si sente ripetere spesso, il più delle volte come boutade, ma in fin dei conti valutata positivamente. E’, in fondo, lo stesso motivo per cui piace Renzi, che incarna un certo spirito decisionista di cui, si dice, ci vorrebbe un gran bisogno. Queste riflessioni cozzano però con la realtà dei fatti, ed è interessante questa discrasia evidente tra realtà e percezione della stessa. Stiamo vivendo una lunga fase storica di svuotamento di ogni forma, sostanziale e formale, di democrazia. Uno spostamento netto verso una “esecutivizzazione” della vita pubblica, un trasferimento di potere dalle assemblee di dibattito agli organi decisionali. Oggi, come mai nel corso della nostra storia, la politica si identifica col potere esecutivo, la possibilità, per un singolo, di proporre ed approvare politiche di suo pugno, senza tenere in conto alcuna mediazione. Davvero difficile capire questa esigenza, da parte della popolazione, di più decisionismo in una fase di superfetazione decisionista.
Il corollario al bisogno di dittatura sembrerebbe essere quello per cui, almeno in Italia, ci sarebbe “troppa democrazia”. Anche qui, la distanza tra realtà e immaginazione sembrerebbe abissale. E qui la colpa parrebbe essere degli agenti mediatici del consenso, che chiamano “democrazia” quella serie di scontri tra lobby economiche o élite di potere che investono permanentemente la politica di palazzo. [...]
Quello che tale massa di persone pensa è che le “improrogabili” riforme di cui necessiterebbe il paese siano frenate da passaggi troppo democratici in cui non viene mai presa una decisione. La realtà dei fatti, come riporta giustamente questo blog quotidianamente, è a dire il vero opposta: c’è una direzione politica chiara, che viene perseguita ogni giorno senza alcun intoppo sostanziale, e che nel suo prodursi cerca di tener conto di tutte quelle componenti che da tale processo cercano di trarre fuori qualche tornaconto. Nulla di questa dinamica può essere qualificato come democratico, mentre tutto è interno a logiche di potere elitario che vengono invece descritte dai media come forma democratica del processo decisionale. [...]
C’è però un altro passaggio sostanziale che salta agli occhi dalla strana discussione avuta con i simpatici anfitrioni. Le ricette che questo presunto “dittatore” dovrebbe portare avanti sarebbero in definitiva il proseguo ossequioso delle riforme che hanno caratterizzato questo ventennio abbondante. Lo smantellamento di ogni forma di welfare; l’abbattimento dei salari; la precarizzazione contrattuale di ogni rapporto lavorativo; la marginalizzazione dei sindacati; il blocco del turn over nella pubblica amministrazione; il processo costante di privatizzazione del settore pubblico; la dismissione del patrimonio pubblico. Tranne sulla politica fiscale, che però in questi anni è servita a redistribuire verso l’alto margini di guadagno non più possibili nel mercato, sono esattamente tutte le riforme che hanno contraddistinto i governi di ogni colore e composizione. Perché allora questa percezione fuori senso, questo non riconoscere una direzione lampante, evidente anche al più disinteressato agli eventi politici? Anche qui, il ruolo dei media può spiegare una parte della domanda. A forza di ripetere che in Italia c’è un sistema di sviluppo cripto-socialista, con uno Stato ipertrofico e un mercato ristretto e imbrigliato, alla fine ci si crede pure. E si crede che la soluzione sia nello smantellare un sistema che è già bello che smantellato, in ogni sua forma.