Traduzione da Consortium News, 17 marzo 2017.

In Occidente molti hanno sostenuto che l'insistenza con cui il candidato -e adesso Presidente- Trump ha detto che la distensione con la Russia "è una buona cosa" sia un buon motivo per preoccuparsi. Qualcuno dice che l'insistenza del Presidente è in qualche modo sinistra, quindi peggio che preoccupante. Forse però l'idea di Trump e del suo principale stratega Steve Bannon secondo cui la distensione è qualcosa di possibile non è tanto "sinistra", ma più che altro implica, paradossalmente, una coincidenza peculiare. Un confluire di posizioni intellettuali che sta prendendo forma senza che negli ultimi anni ci si facesse gran caso, diventando man mano più significativo e contemplante in sé un potenziale politico profondo.
In internet si sono lette molte cose, per lo più ostili, sulle dichiarazioni che Steve Bannon ha fatto nel 2014 durante una conferenza in Vaticano; aveva detto che molte delle posizioni di Vladimir Putin si basavano su un punto di vista euroasiatico: "Putin ha un consigliere che si rifà a Julius Evola e a svariati autori dei primi del XX secolo, autentici sostenitori di quello che viene chiamato movimento tradizionalista... Noi, l'Occidente ebraico-cristiano," continuava Bannon "dobbiamo porre attenzione a quello che Putin afferma, finché la cosa rientra nei limiti del tradizionalismo, e soprattutto a ciò che afferma per sostenere il suo nazionalismo."
Ecco qui un primo problema. I mass media occidentali danno per scontato che il consigliere di Putin di cui non si fa il nome e che fa riferimento a Julius Evola sia il professor Alexander Dugin. Ed ecco anche la prima difficoltà: entrambi questi filosofi sono intellettualmente brillanti come pochi ed hanno una conoscenza letteraria enciclopedica, ma sono anche radicali. Molto più radicali rispetto ai gusti laici ed uniformi dei nostri giorni ed in aperta opposizione ad essi. Persino oggigiorno nello stato che occupa la penisola italiana è meglio leggere Julius Evola -un filosofo e scrittore prolifico- con una certa discrezione, o almeno tenere il libro in qualche copertina anonima che lo nasconda, se si vogliono evitare occhiatacce ostili o addirittura aggressioni fisiche.
Poi c'è una seconda difficoltà. Alexander Dugin è stato descritto come il Rasputin del Presidente russo, come un mistico folle. Julius Evola venne accusato nel 1951, insieme con altri, di aver promosso il partito fascista e di diffondere idee proprie del fascismo. Entrambi i filosofi, in breve, sono figure controverse e si sono rivelati ampiamente vulnerabili a interpretazioni distorte abbastanza incontrollate. Evola venne prosciolto da entrambe le accuse di propaganda fascista, anche se ancora oggi viene comunemente considerato legato al neofascismo postbellico italiano; Dugin, fra il 1998 e il 2003, è stato un consulente in geopolitica per Gennadiy Selezyov, presidente della Duma, ma non è stato consulente di Vladimir Putin.
In realtà, come ha scritto il professor Bertonneau, "Evola condanna con uguale fermezza il comunismo moscovita e la democrazia del denaro ameriKKKana, perché entrambi rappresentano la meccanizzazione e la disumanizzazione della vita. A differenza dei marxisti, e a differenza dei fascisti e dei nazionalsocialisti, Evola vide l'unica speranza della civiltà occidentale nella rinascita di quella che amava riassumere da una parte come Tradizione e dall'altra come trascendenza intesa come trasformazione personale. Evola rifiutava ogni materialismo ed ogni strumentalismo in quanto mere restrizioni della realtà adatte a mentalità rozze, ed in quanto tali sintomi di una prevalente ed interamente ripugnante decadenza."
Perché chiamare in causa queste figure controverse, allora specie se citandole si finisce per camminare su un terreno delicato? Perché c'è l'interessante coincidenza cui facevamo riferimento prima. Eccone un aspetto, evidenziato dallo stesso professor Dugin.
[In Russia] I lavori di Julius Evola furono scoperti negli anni Sessanta da un gruppo di intellettuali e pensatori anticomunisti dalla forte connotazione esoterica, noto come "I Dissidenti della Destra". Erano una piccola cerchia di persone che avevano consapevolmente rifiutato di partecipare alla "vita culturale" dell'Unione Sovietica e avevano invece scelto di vivere nascoste. La disparità esistente tra la cultura sovietica come veniva presentata e la realtà sovietica concreta fu il motivo quasi unico che li spinse a cercare di identificare i principi fondanti che potessero spiegare l'origine di quella malvagia idea assolutista. Fu tramite il rifiuto del comunismo che scoprirono certe opere di autori antimodernisti e tradizionalisti, primi tra tutti i libri di René Guénon e di Julius Evola.
In AmeriKKKa invece "le opere di Julius Evola raggiunsero il pubblico più o meno attorno al 2000 e grazie ad autori come Bill White il tradizionalismo radicale entrò a far parte del linguaggio politico della destra. Si tratta di una filosofia più che di una visione politica, ma è una filosofia che si adatt abene all'idea della Nuova Destra secondo cui la cultura dev'essere motore primo di un cambiamento destinato a manifestarsi nella politica e in altri settori... Due sono gli aspetti contemplati: in primo luogo l'arrestare il declino dell'Occidente spazzando via la sinistra con ogni mezzo necessario, secondo il ripristinare con zelo la grandezza della civiltà occidentale al suo culmine, e [anche] superarlo."
E qui si trova il terzo punto difficile, o forse quello che agli occhi di molti è un merito peculiare più che una difficoltà: in un'epoca laica e liberale, la filosofia di Evola è antimodernista, antilaicista ed antiliberale. Si richiama alla philosophia perennis, a quella che in termini correnti in AmeriKKKa Aldous Huxley ha definito Perennial Philosophy. In Francia, la Nouvelle Droite ha basi ontologiche diverse ma parallele in individui come Alain de Benoist. A complicare le cose c'è il fatto che anche se viene chiamato tradizionalismo, in realtà si tratta di un tradizionalismo che non conta su alcuna tradizione definita.
Questo non significa certamente affermare che Julius Evola sia stato l'unico scrittore appartenente a questo filone tradizionalista radicale. Ci sono stati René Guénon, Frithjof Schuon e vari altri. Ma, come ammette il New York Times in un articolo dai toni ostili, "più importante ancora per l'amministrazione in carica è il fatto che negli USA Evola ha attirato l'attenzione dei leader del movimento di quella destra alternativa cui il signor Bannon ha fornito nutrimento dalle pagine di Breitbart News e che poi ha usato per sostenere il signor Trump. Il leader nazionalista bianco Richard Spencer, che è una figura di spicco nel movimento della destra alternativa, ha detto che 'Julius Evola è uno degli uomini più affascinanti del ventesimo secolo.'"
Il fatto che Steve Bannon, che conta su un vasto seguito, abbia fatto riferimento ad Evola non lo rende ovviamente un evoliano. E il fatto che Putin abbia adottato un punto di vista euroasiatico non ne fa un duginiano. Come afferma il Times citando un addetto ai lavori, "il solo fatto che Bannon conosca Evola è di per sé significativo."
Il filosofo russo Dugin si richiama al pensiero tradizionalista radicale e cerca di applicarlo alla situazione russa; la destra alternativa negli USA sembra intenta ad un'operazione simile, quella di richiamarsi ad Evola e ad altre fonti tradizionaliste per rielaborarne le idee in modo da adattarle alla prospettiva culturale ameriKKKana rifacendosi a Huxley e ad Edmund Burke. All'apparenza, stiamo assistendo ad un fenomeno del genere.
Da questo punto di vista Trump e Bannon possono scoprire di avere molto in comune con il signor Putin, anche se sarebbe a mio avviso un errore considerare il presidente russo attraverso l'ottica del professor Dugin. Il terreno comune è costituito dall'idea che l'Occidente non ha mai fatto alcun tentativo serio per cercare di intendere la Russia come entità a sé e meritevole di considerazione in quanto tale.
L'Occidente ha sempre cercato di cambiare la Russia per farla diventare qualche cosa che essa non è; ha sempre cercato di renderla più simile all'Occidente: più liberale, più democratica, più orientata verso le diversità, partendo sepre dall'assunto che è in quel modo che la Russia deve essere, e che è quello il miglior modo di essere per essa. Ma la Russia è una civiltà millenaria, con propri siti religiosi e codici che le sono peculiari. I leader della Russia non intendono lasciare che sia l'Occidente a dettar legge su come debba essere interpretata la storia russa, su come debba essere interpretato il suo presente... e tanto meno il suo futuro.
Dugin condivide al di là di ogni dubbio il fermo disprezzo di Evola nei confronti del liberalismo, della modernità liberale e della democrazia liberale. Inoltre, vede con riprovazione il fatto che l'Occidente cerchi di imporre agli altri, e con le maniere forti, questo liberalismo inteso come "valore universale". Questo atteggiamento lo ha fatto considerare come fieramente antiameriKKKano e come fomentatore dell'imperialismo russo, come uno che ambisce a rifondare l'impero sovietico.
Probabilmente è il polemico video di Dugin intitolato In Trump we trust che ha contribuito all'illazione statunitense -non sostenuta da prove- secondo cui il Presidente Putin ha favorito Trump nelle elezioni presidenziali statunitensi. Non sarebbe esatto intendere Putin in questo modo. Putin probabilmente apprezza l'atteggiamento tradizionalista nei confronti della differenziazione, tanto delle nazioni quanto delle personalità nel senso evoliano del divenire, divenire se stessi, tornare alle origini. Il Presidente Putin insiste di frequente sul fatto che la Russia è connotata da una propria essenza fondamentale e che ha ogni diritto a questo differenziarsi e a questa peculiarità culturale, così come ce l'hanno gli altri stati nazionali.
Evola fa riferimenti all'impero, ma questo va concepito in modo molto diverso da come lo si intende correntemente oggi. Dugin affronta esplicitamente la questione:
Esiste uno specifico aspetto del pensiero di Evola che i russi sentono di attuale ed estrema importanza: il suo plauso per l'ideale imperiale. Roma rappresenta il punto focale della visione del mondo di Evola. Questa sacra potenza vivente manifestatasi in tutto l'impero rappresentava per Evola l'essenza stessa del retaggio tradizionale dell'Occidente... Ma una simile linea di pensiero sembra che i russi la comprendano per natura, dato che il loro destino storico è sempre stato profondamente legato al concetto di imperium... [Vale a dire] Mosca come la "terza Roma". Va specificato che nella interpretazione ciclica ortodossa la "prima Roma" non era la Roma cristiana, quanto la Roma imperiale; capitale dell'impero cristiano era la seconda Roma o nuova Roma, ovvero Costantinopoli.
Il concetto di "Roma" dei russi ortodossi corrisponde alla comprensione della... inscindibile consonanza tra autorità spirituale e potere temporale. Per l'ortodossia tradizionale la separazione cattolica tra re e pontefice è semplicemente inconcepibile e prossima alla blasfemia: un concetto chiamato in verità "eresia latina". Anche in questo caso si può notare la perfetta convergenza tra dogma evoliano e la mentalità corrente nel pensiero conservatore russo.
Nel suo libro su Evola, Paul Furlong lo descrive in questo modo. "Evola considera il nazionalismo come un essenziale prodotto del liberalismo, della modernità e della sovversione borghese, che preannuncia l'ascesa del quarto stato che ha distrutto l'ordine tradizionale dell'impero. Nell'impero, le nazioni trovano un armonioso ordine gerarchico; fuori da esso, diventano mero strumento dei nazionalismi sciovinistici e di regimi interessati solo a conquiste materiali nel nome di realtà contingenti come la patria."
Non è difficile notare come Dugin possa aver mal interpretato, e dunque aver forse proiettato sul Presidente Putin una falsa interpetazione di revanscismo imperiale anziché la sperata ricongiunzione dello spirituale con il secolare come egli stesso la intendeva. Questo, nonostante il Presidente Putin abbia a malincuore dovuto prendere le distanze dall'euroasianismo che nella sua intenzione contemplava un sentire comune, l'unità geografica e di civilita intese come base solida per uno stato solidale, in favore delle correnti più letteralmente nazionaliste che esistono nella Russia di oggi.
Il fatto è che il pensiero di Dugin, come quello di Evola, costituisce una novità e può dare adito a convinzioni errate su quello che certi filosofi russi intendono direr quando affrontano il concetto di impero; in Occidente, esso viene inteso in modo da considerare la Russia come un aggressore potenziale.
Se ci rifacciamo però a Steve Bannon e al suo film del 2010 Generation Zero, in cui si narrano la crisi ed il declino statunitensi, non è difficile identificare qualche eco evoliano, sia pure adattato al codice culturale ameriKKKano.
 
In primo luogo esiste l'idea di un'AmeriKKKa virile (quale essa era un tempo) intesa come tradizionale e giusto ordinamento della società ameriKKKana; una sorta di nuova Roma imperiale, forse, più che di nuova Gerusalemme.
In secondo luogo Bannon, come Evola, identifica l'inizio della discesa dell'AmeriKKKa verso la decadenza nei narcisistici ed autoassolutori anni Sessanta, quelli che nella narrazione di Bannon sono l'epoca di Woodstock. Lo stesso, nella visione di Evola, vale per l'Europa.
In terzo luogo Bannon, come Evola, disprezza la modernità livellatrice delle differenze, materialista, uniforme e burocratica a cui questa decadenza ha fatto luogo. Evola ammira le società antiche e quelle succedutesi nella storia per la virilità del loro ordinamento e non in quanto strumenti di potere o di nazionalismo sciovinistico.
Quarto, Bannon -come Evola- esalta la consonanza tra spiritualità ebraico-cristiana ed autorità temporale.
Quinto, entrambi hanno una concezione ciclica della storia: la "quarta svolta" nella narrativa di Bannon corrisponde al "quarto gradino" in quella di Evola.
Sesto, entrambi credono che se ci si definisce tradizionalisti si ha l'obbligo di sfidare la "decadenza" con ogni mezzo.
Non so se Bannon o Trump abbiano letto Evola, ma il suo spirito, al pari di quello di altri tradizionalisti radicali, ha sicuramente permeato il pensiero dei circoli della destra alternativa in cui entrambi si sono mossi.
Il punto essenziale qui non è quello di tracciare paralleli in modo da sostenere una discendenza letteraria. Non è questo l'importante. Importa invece evidenziare qualcosa di assai più concreto, ovvero le implicazioni di tutto questo per la politica estera. Ecco in cosa consiste questa sapiente combinazione di pensiero, sia pure affinata attraverso ottiche culturali differenti.
Trump e Putin hanno effettivamente qualche cosa in comue. Se entrambe le parti, come pare stiano facendo, concordano sul fatto che stati sovrani distinti e singolarmente connotati detengono in modo legittimo codici culturali appropriati alla loro natura distinta e specifica, per cosa mai dovrebbero contendere?
Se l'AmeriKKKa e l'Occidente possono rinunciare alla necessità di riplasmare la Russia a immagine di un Occidente centrato sulle diversità, individualista e liberaldemocratico, e accettano la Russia semplicemente per quello che essa è e per quello che è la sua cultura, si avrebbe un mutamento gigantesco nella linea politica occidentale. E sarebbe paradossale se fosse proprio una figura come quella di Evola ad aver in qualche modo potuto contribuire ad una cosa del genere.