Aprile 2017. Il presidente statunitense Donald Trump ordina di bombardare con cinquanta missili da crociera la Repubblica Araba di Siria



Traduzione da Consortium News, 14 aprile 2017.

 
Sembra chiaro -così come è chiaro tutto quanto il resto- che quello che abbiamo chiamato "tweet a mezzo missili da crociera" fosse una sorta di messaggio, dal momento che i missili di per sé non hanno costituito un'azione militare strategica. Il destinatario tuttavia è ancora oggetto di discussione. A prima vista era il Presidente siriano Bashar al Assad, ma anche Vladimir Putin in Russia, Xi Jinping in Cina e Kim Jong Un in Corea del Nord vengono considerati nel numero; nessuno può dirsene certo perché le dichiarazioni statunitensi sono al tempo stesso disorientate e disorientanti.
Se prendiamo però in considerazione da vicino le dinamiche della sicurezza nazionale statunitense, notiamo chiaramente che almeno per il consigliere H.R. McMaster il primo destinatario è la Russia.
Cosa potrebbe aver provocato questo improvviso sbandamento verso l'azione militare e verso una svolta di centoottanta gradi nella politica di Trump in Siria? Apparentemente sul terreno non è cambiato nulla: Siria, Russia e Iran stanno continuando a combattere contro gli jihadisti con lenti ma concreti progressi. La cooperazione sul piano tattico con gli USA stava aumentando e stava conseguendo successi nell'arginare l'intromissione della Turchia.
Il Presidente Assad aveva anche dato segni di disponibilità alla collaborazione tra Siria e forze statunitensi nella guerra contro i "terroristi"; il Presidente Putin aveva chiaramente detto che avrebbe volentieri partecipato ad un vertice con il Presidente Trump. Intanto c'erano funzionari statunitensi che già vedevano la sconfitta simbolica dello Stato Islamico, con la caduta di Mossul in Iraq e di Raqqa in Siria, come un grosso successo per Donald Trump. Insomma, pareva che le cose avessero preso una buona piega, dal punto di vista statunitense.
Invece in meno di sei giorni si passa ad un dietrofront completo nella linea politica, e si passa dallo "Assad può rimanere" ai missili, a séguito dell'opinabile assunto secondo cui il Presidente Assad stava cercando di mettere a repentaglio i mutamenti positivi nella sua situazione bombardando con armi chimiche donne e bambini in un borgo strategicamente insignificante e da lungo tempo controllato da jihadisti di inclinazione più o meno radicale. La pretesa che l'uno o l'altro schieramento facciano ricorso ad armi chimiche difficilmente può essere considerata una novità in Siria: questa guerra è campo per la battaglia propagandistica più accanita della storia.
Per cercare di trovare una spiegazione ad una rottura di continuità nella politica statunitense repentina come un fulmine a ciel sereno dobbiamo per forza lasciarci andare a qualche speculazione, per mettere insieme i pezzi di un difficile rompicapo.
Il primo pezzo, davvero il primo, ha a che vedere con la first daughter Ivanka Trump che ha avuto un crollo emotivo davanti alle disturbanti immagini televisive di bambini morenti ed ha "spinto suo padre a farlo". A conferma abbiamo il racconto del fratello Erik, figlio di Trump, ed il telegramma inviato al Primo Ministro dall'ambasciatore britannico a Washington, in cui si afferma che il catalizzatore iniziale è stata proprio Ivanka. Erik ha detto che "sicuramente Ivanka ha avuto influenza sulla decisione di attaccare la Siria."
Anche Pat Buchanan, che è un ex candidato repubblicano alla presidenza sostenitore di Trump, a chi gli ha chiesto "quale giustificativo" Trump avesse portato a questa iniziativa ha detto che le condizioni emotive del Presidente hanno avuto un ruolo sostanziale; il New York Times è della stessa opinione.
Scrive Buchanan: "Di che idea era Trump? Ecco la sua giustificazione sul piano strategico: 'Quando uccidi bambini e neonati innocenti -neonati, dico, neonati- con un gas chimico... questo va olte molti, molti limiti, va oltre la linea rossa... E io ti dirò che sono rimasto molto, molto colpito dall'attacco di ieri contro i bambini... il mio atteggiamento nei confronti della Siria e di Assad è molto cambiato." Due giorni dopo Trump era ancora acceso: "Dei graziosi bambini sono stati crudelmente assassinati in questo oltremodo barbaro attacco. Nessun figlio di Dio dovrebbe soffrire un simile orrore."
Insomma, la prima reazione è stata emotiva e d'impeto; una decisione chiaramente presa senza indugiare ad una ponderata analisi dei dati di fatto, perché era ovvio che era stato Assad, e poi c'era Ivanka angosciata per i bambini.
A questa iniziale reazione emotiva e al desiderio di passare all'azione si è probabilmente unita la ben nota ossessione che Trump ha per il comportarsi, sempre e comunque, in modo opposto a quello di Obama. Roxanne Roberts, che aveva partecipato con Donald Trump al pranzo della associazione dei corrispondenti della Casa Bianca nel 2011, ha scritto questo nell'aprile del 2016:
 
Su questo enorme mistero... Perché questa miliardaria star da reality si è messa in corsa per le presidenziali? Io non lo so. Non si sa. Invece un pugno di psicoanalisti da caffè -oh, addirittura corrispondenti per grosse agenzie di stampa, nientemeno- hanno statuito che tutto è cominciato nell'aprile del 2011, al pranzo della associazione dei corrispondenti della Casa Bianca; in quell'occasione Trump è stato lo zimbello del Presidente Obama e del comico del Saturday Night Live Seth Meyers.
Trump ne fu così umiliato, si dice, che la cosa gli ha fatto scattare un qualche profondo e fino ad allora latente desiderio di rivalsa. "Quella serata di umiliazioni pubbliche, invece di far sparire il signor Trump, ha moltiplicato i suoi feroci sforzi per farsi largo nel mondo della politica", ha scritto il New York Times un mese fa.
Giudichino i lettori dalla faccia che Trump fece in quell'occasione. Quindi, se l'Obama che lo ha calpestato si è comportato in un certo modo dopo che nel 2013 girò voce che le forze armate del governo siriano avessero fatto uso di armi chimiche, Trump si è comportato nel modo opposto. Non si è fermato a riflettere, ed è passato all'azione in modo netto ed improvviso. Sia il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer che il Segretario di Stato Rex Tillerson hanno insistito molto su questa narrativa, centrata sulla decisione e sulla rapidità con cui Trump ha agito.
A posteriori ovviamente può essere arrivata qualche considerazione razionale in più: attaccando la Siria, e attaccando quell'Assad che Putin protegge, deve aver pensato Trump, avrebbe finalmente stroncato la tiritera dei democratici che indicava in lui "l'uomo di Putin". Ecco qui le machiavelliche motivazioni all'attacco missilistico oggi sbandierate: un chiaro stratagemma per farla finita con la spregiativa asserzione che lo considera un candidato fantoccio. Una cosa del genere può essere venuta con il senno di poi: i fatti concreti fanno pensare che in realtà la decisione sia stata presa in preda alle emozioni del momento.
Fin qui tutto bene. Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale però avrà detto a Trump che i servizi dubitavano della colpevolezza di Assad? Pare che lo abbiano fatto; sappiamo da varie fonti (si legga qui, qui e qui) che nella CIA e nella DIA erano in molti, ivi compresi gli agenti sul terreno, a non prendere per buona l'idea che il Presidente Assad fosse colpevole.
Robert Parry ha una familiarità di lunga data con l'ambiente di Washington, e scrive che
 
Esiste un grosso dubbio sulla foto resa pubblica dalla Casa Bianca e che mostra il Presidente Trump e una decina abbondante di consiglieri riuniti nell'appartamento di Mar a Lago dopo aver deciso di colpire la Siria con i missili Tomahawk. Dove sono il direttore della CIA Mike Pompeo e gli altri vertici dei servizi? Prima che la foto venisse resa pubblica il venerdì successivo all'attacco, un mio confidente mi ha detto che Pompeo aveva personalmente riferito a Trump il 6 aprile che la CIA era convinta che il Presidente siriano Assad non fosse -con ogni probabilità- il colpevole dell'incidente con i gas letali verificatosi due giorni prima nel nord del paese. Di conseguenza Pompeo è stato escluso dall'incontro, perché Putin aveva deciso per il contrario.
Sul momento ho avuto qualche dubbio, perché Trump, il Segretario di Stato Rex Tillerson ed altri funzionari superiori affermavano in modo piuttosto convinto che la colpa era di Assad. Ho preso atto del tono, e ho pensato che Pompeo e la CIA dovevano aver sottoscritto la conclusione che voleva Assad colpevole, anche se sapevo che alcuni esperti dei servizi statunitensi erano di parere contrario e che pensavano che quanto successo fosse stato causato da una perdita accidentale di sostanze chimiche o da un piano deliberato dei ribelli di Al Qaeda per fregare gli USA e far loro attaccare la Siria...
Nella foto di Trump e dei consiglieri non compare nessun appartenente all'ambiente dei servizi. Ci sono Trump, il Segretario di Stato Tillerson, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale H. R. McMaster, il capo dello staff della Casa Bianca Reince Priebus, il consigliere strategico Steve Bannon, il cognato Jared Kushner ed altri funzionari di vario genere, ivi compresi consiglieri economici che si trovavano a Mar a Lago per incontrare il Presidente cinese Xi Jinping.
Non vi compaiono né Pompeo né il Direttore della National Intelligence Dan Coats né alcun altro funzionario dei servizi. Anche il New York Times ha fatto presente questa stranezza nell'edizione del sabato seguente, ed ha scritto che 'Se persone informate della CIA o di altre organizzazioni di intelligence erano presenti... nella foto non compaiono'.
 
Insomma: i partecipanti alla fondamentale riunione della NSA in cui è stata formalizzata la decisione del governo sono stati decisi con un certo criterio: coloro che potevano avanzare dubbi sulla versione dei fatti che considerava colpevole il governo della Repubblica Araba di Siria non vi hanno preso parte, semplicemente. McMaster era l'unico presente che si occupasse a tempo pieno di intelligence, e Trump ha ottenuto l'avallo ufficiale alla sua istintiva convinzione che il Presidente Assad fosse il colpevole.
Ed ecco qui il quarto pezzo del rompicapo. Perché la decisione formale di attaccare la base aerea siriana ha cambiato forma, passando da simbolica bacchettata sulle mani di Assad ad ultimatum? Un ultimatum, per di più, chiaramente diretto contro il signor Putin, come dire "scegli, o Assad o gli USA"? Chiunque abbia stilato la bozza dell'ultimatum ha capito che imporre una scelta del genere significava umiliare il Presidente Putin. Eppure, l'unico professionista della sicurezza e della intelligence presente era il generale McMaster. Un tale che un tempo ne ammirava la statura intellettuale ha scritto:
 
Sono stato costretto... a concludere che McMaster è grossa parte del problema in questa pazza corsa alla guerra in Siria che si è scatenata la settimana scorsa. Una guerra che potrebbe portare ad un confronto militare diretto con la Russia. Lo conferma il fatto che McMaster è comparso al notiziario di Fox News di domenica, ma c'erano indizi che circolavano da tempo, almeno da quando si trovava ancora al Comando Addestramento e Dottrina dell'esercito statunitense. Negli ultimi due anni prima di approdare alla Casa Bianca la sua principale preoccupazione era quella di riorganizzare le forze armate in vista di una futura guerra contro la Russia.
 
Nell'intervista a Fox News McMaster ha risposto a varie domande sull'attacco missilistico voluto da Trump. Ecco qualche stralcio di quanto ha detto: "L'obiettivo [dell'attacco] era quello di mandare ad Assad un forte messaggio politico. Una cosa molto significativa perché... è la prima volta che gli USA si muovono direttamente contro il governo di Assad; dovrebbe essere un messaggio forte per lui e per quanti lo sostengono."
Poi ha aggiunto: "I russi dovrebbero chiedersi: cosa stiamo facendo qui? Perché stiamo sostenendo questo regime assassino che uccide in massa la propria stessa popolazione con le armi più odiose a disposizione... Insomma: io penso che tutti nel mondo considerino la Russia come parte del problema." (Da Fox News con Chris Wallace, corsivo dell'A.)
Per inquadrare nel debito contesto questa risposta, dobbiamo far riferimento a quello che McMaster ha detto nell'aprile 2016 durante una conferenza al Centro di Studi Strategici ed Internazionali di Washington.
 
Quello cui stiamo assistendo oggi, quello di cui siamo consapevoli, è ovviamente la minaccia russa; la Russia sta intraprendendo guerre di portata limitata per obiettivi limitati, come l'annessione della Crimea o l'invasione dell'Ucarina, a costo zero; consolida i guadagni territoriali e presenta la nostra reazione e quella dei nostri alleati ed amici come una escalation. Per dissuadere un paese forte dallo scatenare guerre di portata limitata per obiettivi limitati in terreni che coinvolgono paesi più deboli -quelle che Thomas Mackinder chiamò tra XVIII e XIX secolo i frantumi della massa continentale euroasiatica occorre portare avanti la deterrenza, occorre essere in grado di far pagar dazio alla frontiera...
Quella che la Russia sta portando avanti è una strategia sofisticata, e la stiamo studiando assieme ai paesi amici; è una strategia che si basa in verità non soltanto su una combinazione di forze convenzionali usate come copertura per azioni non convenzionali, ma anche su una campagna molto più sofisticata che contempla l'uso della criminalità e del crimine organizzato e... parte di un più ampio sforzo per seminare il dubbio e le teorie cospirative in tutta la nostra alleanza.
McMaster continuava:
 
Io credo che questo sofrzo non sia diretto ad obiettivi difensivi, ma ad obiettivi offensivi: far collassare il mondo emerso dopo la seconda guerra mondiale e sicuramente quello affermatosi nel dopo guerra fredda, far collassare la sicurezza e l'ordine economico e politico in Europa per sostituirlo con un maggiormente confacente agli interessi russi.
Quali aspetti del discorso di McMaster ci interessano? Esso fa pensare che  gli istinti fondamentali del Presidente Trump siano all'apparenza ancora concentrati sullo scenario interno degli Stati Uniti. Infatti è proprio sul piano interno che Trump ha sofferto seri rovesci. A quasi cento giorni dall'entrata in carica non ha ancora una attività legislativa. Ci sono a Capitol Hill alcuni repubblicani che per il 2017 hanno prospettato uno scenario da incubo, più o meno in questo modo: "ObamaCare non viene respinta. Non si riforma il sistema fiscale. Non passa il pacchetto infrastrutture da mille miliardi di dollari. Niente muro alla frontiera."
Inoltre, "I repubblicani non solo hanno fallito nell'approntare proposte di legge, ma hanno fallito nell'approntare proposte di legge che possano essere approvate. Esistono oggi come oggi fazioni repubblicane che credono che si dovrebbe abbandonare la sanità per la riforma del sistema fiscale, e fazioni convinte che la riforma del sistema fiscale non sia possibile senza prima promulgare uno Affordable Care Act. Esiste anche una crescente consapevolezza del fatto che non è possibile ottenere tutto per cui si decide di fare pressione senza avere un qualche sostegno da parte dei democratici in Senato; una cosa che rende sempre più probabile che il raggruppamento bipartisan detto Freedom Caucus disperderà i propri voti, dal momento che per decenni i repubblicani hanno dichiarato che qualsiasi iniziativa potesse attirare il voto democratico era intrinsecamente il male." (corsivo dell'A.)
 
Insomma, in politica interna Trump è andato a sbattere contro un muro legislativo. Dal momento che tende per natura a seguire l'istinto anziché un intelletto strategico, quando Trump va a sbattere contro un muro cambia direzione... finché non ne colpisce un altro. Adesso, sotto pressante richiesta del genero Jsred Kushner e dei suoi alleati della Goldman Sachs Cohn e Phillips, Trump sta vagando in cerca di un qualche "terreno comune" che potrebbe aiutarlo a far passare qualche legge, e a far sì che alle elezioni di medio termine del 2018 la base non abbandoni i candidati repubblicani. Pensava forse che agire con decisione in Siria lo avrebbe aiutato in questo?
T. A. Frank di Vanity Fair lancia un ammonimento stringato: "Per costituire il governo, Trump si è dapprima rifatto a soggetti nominati dallo establishment; si è imbattuto nel muro della propria base e ha ripiegato su Bannon, ha battuto nel muro dell'indignazione del mainstream per il bando sui visti e si è rivolto a Reince Priebus e ad una maggiore enfasi sulle procedure, finché non ha battuto nel muro della riforma sanitaria e ha deciso di attaccare la Siria andando contro il muro dell'indignazione della base e verso il pauso delle persone sbagliate. Probabilmente si allontanerà dalla Siria, o almeno cercherà di farlo. Solo che gli atti di guerra valgono di per sé, e per molti dei detestabili di Trump questo gesto non ha rappresentato un compromesso, ma un tradimento."
Franck ha centrato la questione, che poi si compone di tre distinti problemi interconnessi. In primo luogo c'è il tradimento degli amici, della base politica, in favore dei nemici. In questo modo si rischia di perderli entrambi ma la perdita degli amici può essere fatale, mentre la labile approvazione dei nemici è, nel migliore dei casi, una cosa di breve durata.
Insomma: la base di attivisti che ha portato Trump alla presidenza non è soddisfatta. Le spaccature nella squadra di governo non sono solo dovute ad una cattiva intesa tra Steve Bannon e Jared Kushner suscettibile di rientrare con qualche bacchettata sulle mani perché i due sono profondamente imbevuti di ideologia. Kushner (ed Ivanka) sono globalisti, sono liberali di New York e sono entrambi ex democratici. Essi rappresentano l'esatto opposto di ciò per cui combattono Bannon, i sostenitori dello AmeriKKKa First ed i nazionalisti.
Il secondo problema è che con l'attività legislativa ferma e il partito repubblicano alla paralisi, le elezioni di metà mandato del 2018 e la squadra di governo di Trump già disorientata dai bruschi rivolgimenti del Presidente, c'è il rischio di un crollo del sistema.
In terzo luogo, lasciando che McMaster si servisse del "tweet" missilistico per armare un ultimatum contro putin e considerate le ambizioni che McMaster ha verso l'elevare il livello dello scontro in Siria ed in Iraq, Trump rischia che gli eventi sfuggano ad ogni controllo. In Siria sono in gioco interessi capaci di far serenamente alzare il livello dello scontro fino ad un confronto diretto tra AmeriKKKa e Russia, in cui uno dei due, o Putin o Trump, rimarrebbe umiliato per aver dovuto distogliere lo sguardo per primo.
Frank ha probabilmente ragione a dire che Trump "si allontanerà dalla Siria, o almeno cercherà di farlo", ma come ha infaustamente notato un esperto di cose russe, "Quando sento ribadire l'idea di imporre sulla Siria una zona a divieto di sorvolo in spregio alla volontà della Russia, sento come un pugno nello stomaco perché capisco perfettamente dove potrebbe portare una cosa del genere."
Stiamo andando alla deriva verso una situazione che è, in potenza, seria come la crisi dei missili a Cuba nel 1962.