Da Sic semper tyrannis, 28 aprile 2017
Adesso le cose sono più chiare. Trump è in cerca di una radicale metamorfosi della narrazione. L'AmeriKKKa non deve più mostrarsi debole: dev'essere forte. La retorica statunitense contro la Corea del Nord, contro la Russia e contro l'Iran è di nuovo lardellata di ultimatum e di stridente bellicismo. Chiaro che la retorica di per sé ha fatto miracoli sul piano interno, nei sondaggi sulla presidenza, e magari può anche servire a portare avanti al Congresso le fondamentali sfide di Trump in materia di bilancio. Naturalmente non è così sicuro che livelli tanto alti di gradimento si riveleranno di lunga durata se la tattica di un'"AmeriKKKa intransigente" dovesse portare ad una guerra vera e propria.
Forse non è chiaro fino a che punto gli accenti bellicosi sono utili con l'opinione pubblica statunitense per questioni di politica interna; fino a che punto si tratta dello sfoggio che Trump fa della capacità di bluffare da uomo d'affari impegnato in una trattativa? Non è chiaro neppure fino a che punto si intenda dar concreto seguito alle minacce, nel caso venga fuori che Trump sta bluffando. Se il bluff viene scoperto, l'AmeriKKKa verrà considerata ipocrita e ne uscirà indebolita. Non è chiaro neppure fino a che punto le minacce serviranno concretamente a "dare una possibilità alla pace". Minacciare può servire a mostrare che la nuova amministrazione ha fatto proprie quelle rigide posizioni dicotomiche che altrimenti la squadra di Trump non avrebbe assunto. Tutte cose che restano in sospeso.
In Medio Oriente comunque esiste più dimestichezza che altrove con questa strategia, che lo stato sionista usa da tempo: "Il capoccia è uscito di testa! Fate attenzione, può succedere di tutto! Per favore, calmatelo alla svelta!" Il più delle volte la versione sionista del "capoccia che è uscito di testa" si è davvero rivelata essere null'altro che un bluff teatrale. Di sicuro l'Iran ha fatto il callo a queste schermaglie, non ci crede, e tanto basti. Si potrebbe dire che lo stato sionista ha svalutato il proprio capitale.
La tattica di Trump che ha al centro questo mutamento di narrazione può anche rivelarsi un fenomeno passeggero, ma avrà in ogni caso un impatto diretto ed un'influenza sostanziale in Medio Oriente, almeno nell'immediato; per lo meno possiamo cercare di trarre qualche conclusione sul significato di tutto questo, dopo un lungo periodo di disorientamento. Di sicuro, nel caso l'atteggiamento da negoziatore intransigente di Trump dovesse portare ad un buco nell'acqua con la Corea del Nord (un contesto in cui è assai possibile che la Cina non condivida il desiderio degli USA di vedere i nordcoreani che alzano bandiera bianca, disarmano e si trasformano in agnellini) o portasse gli USA più vicini ad una guerra vera e propria contro quel paese, è possibile che Trump ritorni a comportarsi da pacificatore. In pratica, potrebbe cercare di tornare indietro... sempre che nel frattempo non si sia tagliato troppi ponti alle spalle. Si tratta in ogni caso di ponti che, se non proprio tagliati del tutto, sono di sicuro in pessime condizioni. Forse in condizioni persino peggiori di quanto non si pensi a Washington.
Il primo punto è una semplice constatazione di fatto: se l'AmeriKKKa vuole sul serio proiettare una propria immagine di forza a livello mondiale, il Pentagono insisterà sicuramente per mantenere la catena di basi statunitensi nel Golfo Persico. Gli USA di conseguenza resteranno allineati alle posizioni dell'Arabia Saudita, ed ovviamente anche a quelle dello stato sionista, che nella regione ha interessi suoi peculiari.
Il secondo punto è dato dal fatto che l'Arabia Saudita ed i suoi alleati si serviranno ovviamente dell'intesa militare e di intelligence tra USA, paesi del Golfo e stato sionista contro l'Iran in modo da danneggiare quest'ultimo. Sfrutteranno la situazione per far crescere ancor di più l'iranofobia di Washington, dove sia i paesi del Golfo sia lo stato sionista finanziano ed impartiscono ordini ad estese "rappresentanze" politiche.
Terza conseguenza della narrazione di una "AmeriKKKa forte" è il fatto che l'Arabia Saudita e i suoi alleati nel Golfo approfitteranno del ritrovato vigore della loro posizione presso l'amministrazione statunitense per soffiare (un'altra volta) sul fuoco della ribellione sunnita in Iraq e in Siria, e per continuare a cercare di infliggere una sconfitta umiliante agli Houti e ad Ansar al Allah nello Yemen. Pare che Mohammed bin Salman al Saud abbia detto a Trump che gli Houti devono accettare la risoluzione delle Nazioni Unite così com'è.
In nessuno dei contesti su ricordati, dunque, non si potrà pensare (ammesso che sia possibile) ad alcuna soluzione politica fino a quando durerà l'attuale tendenza. Vale a dire, fino a quando le cose non cambieranno, in un qualche modo.
In ultimo, la lobby dei fiancheggiatori del Golfo in Europa ed in AmeriKKKa, eccitata dagli uomini di John Brennan a tutt'oggi alla testa dei servizi di intelligence occidentali che sono per intero politicizzati, cercherà di fissare nel rovesciamento del governo l'orientamento politico nei confronti della Siria, fabbricando altre prove false sull'uso di armi chimiche da parte del governo siriano. Questa campagna unisce in maniera efficace l'obiettivo del movimento dei fiancheggiatori del Golfo (e dei loro alleati sionisti), che è quello di indebolire l'Iran, con quelli della fazione pro guerra fredda che sta cercando di indebolire il Presidente Putin e con lui la Russia. Iran e Russia arriveranno alla conclusione che le alternative sono poche, a parte il che chiudere alla svelta la guerra in Siria e prevenire i tentativi ameriKKKani di inserire un cuneo sunnita wahabita tra di essa e l'Iran. Un cuneo che i falchi occidentali pensano caratterizzato dall'ulteriore merito di poter mettere fine a qualunque velleità iraniana di costruire un oleodotto che serva l'Europa passando dalla Siria.
Ripetiamo una cosa. Tutto quanto sopra scaturisce di per sé da una sola premessa: che Trump abbia l'intenzione di presentare l'AmeriKKKa come nuovamente forte a livello mondiale, ed abbia dunque il bisogno di allinearsi ai paesi del Golfo. Non è chiaro se la squadra di Trump avesse pensato a questa sequenza di eventi, o se avesse proprio l'intenzione di far rinvigorire i neoconservatori (che è quello che è stato fatto). Non è probabile che si pensasse a portare acqua al mulino dei neoconservatori; è più probabile che l'idea di apparire forti sul piano militare apparisse in quanto tale come abbastaza corrispondente alla dottrina presidenziale dell'uomo d'affari impegnato in una trattativa, e che poi non si sia posta sufficiente attenzione alle conseguenze.
Si riuniscono le forze che vogliono la testa di Assad: tutto questo fa dunque presagire un rovesciamento geostrategico in Medio Oriente? Probabilmente no. In un'intervista con Adam Shatz della London Review of Books il professor Joshua Landis, tra gli altri, ha citato la ragione più importante per cui questo non succederà:
Ripetiamo una cosa. Tutto quanto sopra scaturisce di per sé da una sola premessa: che Trump abbia l'intenzione di presentare l'AmeriKKKa come nuovamente forte a livello mondiale, ed abbia dunque il bisogno di allinearsi ai paesi del Golfo. Non è chiaro se la squadra di Trump avesse pensato a questa sequenza di eventi, o se avesse proprio l'intenzione di far rinvigorire i neoconservatori (che è quello che è stato fatto). Non è probabile che si pensasse a portare acqua al mulino dei neoconservatori; è più probabile che l'idea di apparire forti sul piano militare apparisse in quanto tale come abbastaza corrispondente alla dottrina presidenziale dell'uomo d'affari impegnato in una trattativa, e che poi non si sia posta sufficiente attenzione alle conseguenze.
Si riuniscono le forze che vogliono la testa di Assad: tutto questo fa dunque presagire un rovesciamento geostrategico in Medio Oriente? Probabilmente no. In un'intervista con Adam Shatz della London Review of Books il professor Joshua Landis, tra gli altri, ha citato la ragione più importante per cui questo non succederà:
London Review of Books: ...Del popolo siriano non abbiamo parlato molto; abbiamo detto soltanto che i siriani sempre più considerano molti dei loro connazionali come non più appartenenti alla stessa comunità, da tanto aspre e letali sono diventate le fratture settarie [Shatz sta parlando degli jihadisti, che in Siria molti considerano come nemici assoluti e irriducibili, e come "stranieri"]. Da questo punto di vista c'è un grosso interrogativo: che cos'è il popolo siriano? Che futuro avrà, e questo futuro sarà in Siria...?
Landis: ...Domanda da un milione di dollari. Difficile capirci qualcosa... vedere il futuro. Ora, da una parte potremmo considerare quanto sta succedendo come un macroscopico mutamento tettonico di identità e di equilibri di potere nella regione settentrionale del Medio Oriente, un qualcosa che fa il pari con quanto accaduto nel dodicesimo secolo, quando signori sciiti controllavano la gran parte della Siria settentrionale e costituivano una potente entità sostenuta dalla Persia. I Mamelucchi e poi gli Ottomani hanno cambiato le cose: hanno cacciato gli sciiti e li hanno marginalizzati. Gli sciiti sono stati privati di ogni influenza e il mondo arabo è diventato un mondo sunnita, con a capo l'impero ottomano. Oggi possiamo assistere ad un ritorno alle condizioni del dodicesimo secolo, con gli sciiti che predominano a nord... Ma si sa che il potere politico può essere molto duraturo se Iran, Hezbollah ed Iraq consolidano la propria alleanza; questo significa che i sunniti in Siria potrebbero [dover] vivere sotto un governo di questo genere -un governo sostenuto dall'Iran- per parecchio tempo. Se questo succede, è verosimile che le identità mutino di nuovo, che si rivelino malleabili e che vengano ridefinite. Non so come potrebbe succedere, ma è una possibilità...
...La cosa che mi spaventa, dal momento che considero quanto sta succedendo come una gigantesco rimescolamento, è che se l'Arabia Saudita, gli USA e gli altri continuano a sovvenzionare la ribellione delle popolazioni sunnite dell'Iraq e della Siria, è possibile che queste ultime finiscano schiacciate, dato l'attuale assetto dei poteri in Medio Oriente...
Landis qui accenna ad un concetto importante, che c'è bisogno di specificare meglio. Dapprincipio di orientamento ismailita, la shi'a dominava non solo la Siria settentrionale ma una gran parte del nord Africa Egitto compreso, e si estendeva fino ad As Sham, ovvero la Grande Siria ed il Levante. Certo, gli sciiti finirono poi massacrati, repressi e marginalizzati nei secoli successivi. Molti dovettero forzatamente convertirsi alla fede sunnita, ma quella sciita continuò ad esistere in molti luoghi e nonostante tutto. Aleppo, per esempio, è nota fino ai giorni nostri per essere una città storicamente sciita.
Graham Fuller, in un testo il cui sottotitolo è I musulmani dimenticati, comincia col dire che "parlare degli sciiti nel mondo arabo significa toccare una questione delicata, che molti musulmani preferirebbero non affrontare. Per alcuni si tratta di un non problema, ma per molti di più è smplicemente meglio ignorare la questione perché ad essa fanno capo interrogativi inquietanti sulla società araba e sulla politica, ed è cosa che mette in discussione posizioni consolidate e radicate sulla storia e sull'identità arabe. I sunniti preferiscono di gran lunga evitare la questione" [corsivo di Alastair Crooke, N.d.T.]
Fra l'Afghanistan ed il Mediterraneo tuttavia, in Iran, in Iraq, in Siria e in Libano, ci sono più di cento milioni di sciiti ma solo trenta milioni di sunniti, e "dal punto di vista politico la disparità è anche più grande, perché le minoranze curde in Iraq e in Siria, forti dal punto di vista militare, anche se sono di religione sunnita temono più lo Stato Islamico e gli jihadisti estremisti arabi sunniti che non chiunque altro."
Insomma, il fatto che sauditi e paesi del Golfo reclamino per i sunniti diritti politici e religiosi sul quadrante settentrionale del Medio Oriente -diritti che, a sentire i sunniti, gli sciiti hanno in qualche modo usurpato nel corso degli ultimi anni- è di dubbia fondatezza sia dal punto di vista dell'appartenenza settaria, sia dal punto di vista delle identità storiche. Inoltre, l'eterogeneo Islam sunnita del Levante è piuttosto diverso dallo wahabismo del Najd che vi è stato inoculato, che ha carattere esclusivista e che ha fatto la sua comparsa nel Levante alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Questa grossa differenza spiega perché l'esercito dello stato siriano, costituito principalmente da sunniti, stia oggi combattendo contro altri sunniti dello Stato Islamico e di al Qaeda o an Nusra. L'Esercito Arabo Siriano sta combattendo contro l'imperialismo del Golfo, che sta cercando di imporre il monopolio dell'"Islam del Nejd", l'Islam del deserto, il costrutto di Abd el Wahhab che nacque nel XVIII secolo ma si affermò solo con l'avvento della manna dei petrodollari negli anni Sessanta del secolo scorso. Lo wahabismo è l'unica corrente dell'Islam che afferma di rappresentare l'unico vero Islam.
A tutto questo bisogna unire l'attuale ripartizione dei poteri in Medio Oriente. Da un lato c'è l'architettura di sicurezza che comprende Siria, Iran, Iraq, Hezbollah, Russia e Cina (che fornisce addestramento alle forze armate siriane); dall'altro ci sono le mire sullo Yemen dell'Arabia Saudita: ecco perché è probabile che il professor Landis abbia ragione: "(Arabia Saudita, gli USA e gli altri) è possibile che finiscano schiacciati, [dato] l'attuale assetto dei poteri in Medio Oriente...
Solo un deciso intervento militare da parte del Presidente Trump potrebbe cambiare le cose, ma non credo che abbia intenzione di entrare in guerra contro la Russia in Siria; col tempo, la cosa diventerà evidente. Peccato che Trump sia partito col piede sbagliato.
L'esecito statunitense è ancora una grossa minaccia, ma se il Presidente venisse messo all'angolo da consiglieri falchi e fosse costretto a ricorrervi, finirà per accorgersi di essere soltanto riuscito ad aprire il vaso di Pandora. Un vaso in cui si troveranno contenuti tutt'altro che "meravigliosi" (come di recente Trump ha definito i missili statunitensi). Nel maggio 1951, dopo che il Presidente Truman lo aveva sollevato dall'incarico, MacArthur andò a testimoniare al Congresso. Disse: "La guerra in Corea ha già quasi distrutto quel paese, dove vivono venti milioni di persone. Non ho mai visto una devastazione simile. Ho visto, credo, sangue e distruzione come qualsiasi uomo vivente; l'ultima volta che sono stato in Corea mi si è stretto lo stomaco. Dopo aver visto le rovine, e quelle migliaia di donne e di bambini e tutto quanto, ho vomitato."
Graham Fuller, in un testo il cui sottotitolo è I musulmani dimenticati, comincia col dire che "parlare degli sciiti nel mondo arabo significa toccare una questione delicata, che molti musulmani preferirebbero non affrontare. Per alcuni si tratta di un non problema, ma per molti di più è smplicemente meglio ignorare la questione perché ad essa fanno capo interrogativi inquietanti sulla società araba e sulla politica, ed è cosa che mette in discussione posizioni consolidate e radicate sulla storia e sull'identità arabe. I sunniti preferiscono di gran lunga evitare la questione" [corsivo di Alastair Crooke, N.d.T.]
Fra l'Afghanistan ed il Mediterraneo tuttavia, in Iran, in Iraq, in Siria e in Libano, ci sono più di cento milioni di sciiti ma solo trenta milioni di sunniti, e "dal punto di vista politico la disparità è anche più grande, perché le minoranze curde in Iraq e in Siria, forti dal punto di vista militare, anche se sono di religione sunnita temono più lo Stato Islamico e gli jihadisti estremisti arabi sunniti che non chiunque altro."
Insomma, il fatto che sauditi e paesi del Golfo reclamino per i sunniti diritti politici e religiosi sul quadrante settentrionale del Medio Oriente -diritti che, a sentire i sunniti, gli sciiti hanno in qualche modo usurpato nel corso degli ultimi anni- è di dubbia fondatezza sia dal punto di vista dell'appartenenza settaria, sia dal punto di vista delle identità storiche. Inoltre, l'eterogeneo Islam sunnita del Levante è piuttosto diverso dallo wahabismo del Najd che vi è stato inoculato, che ha carattere esclusivista e che ha fatto la sua comparsa nel Levante alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Questa grossa differenza spiega perché l'esercito dello stato siriano, costituito principalmente da sunniti, stia oggi combattendo contro altri sunniti dello Stato Islamico e di al Qaeda o an Nusra. L'Esercito Arabo Siriano sta combattendo contro l'imperialismo del Golfo, che sta cercando di imporre il monopolio dell'"Islam del Nejd", l'Islam del deserto, il costrutto di Abd el Wahhab che nacque nel XVIII secolo ma si affermò solo con l'avvento della manna dei petrodollari negli anni Sessanta del secolo scorso. Lo wahabismo è l'unica corrente dell'Islam che afferma di rappresentare l'unico vero Islam.
A tutto questo bisogna unire l'attuale ripartizione dei poteri in Medio Oriente. Da un lato c'è l'architettura di sicurezza che comprende Siria, Iran, Iraq, Hezbollah, Russia e Cina (che fornisce addestramento alle forze armate siriane); dall'altro ci sono le mire sullo Yemen dell'Arabia Saudita: ecco perché è probabile che il professor Landis abbia ragione: "(Arabia Saudita, gli USA e gli altri) è possibile che finiscano schiacciati, [dato] l'attuale assetto dei poteri in Medio Oriente...
Solo un deciso intervento militare da parte del Presidente Trump potrebbe cambiare le cose, ma non credo che abbia intenzione di entrare in guerra contro la Russia in Siria; col tempo, la cosa diventerà evidente. Peccato che Trump sia partito col piede sbagliato.
L'esecito statunitense è ancora una grossa minaccia, ma se il Presidente venisse messo all'angolo da consiglieri falchi e fosse costretto a ricorrervi, finirà per accorgersi di essere soltanto riuscito ad aprire il vaso di Pandora. Un vaso in cui si troveranno contenuti tutt'altro che "meravigliosi" (come di recente Trump ha definito i missili statunitensi). Nel maggio 1951, dopo che il Presidente Truman lo aveva sollevato dall'incarico, MacArthur andò a testimoniare al Congresso. Disse: "La guerra in Corea ha già quasi distrutto quel paese, dove vivono venti milioni di persone. Non ho mai visto una devastazione simile. Ho visto, credo, sangue e distruzione come qualsiasi uomo vivente; l'ultima volta che sono stato in Corea mi si è stretto lo stomaco. Dopo aver visto le rovine, e quelle migliaia di donne e di bambini e tutto quanto, ho vomitato."