Traduzione da Jonathan Cook, 26 giugno 2017.

Sono stati pochi i libri sulla storia della Palestina che sono diventati dei best seller. Uno di questi, intitolato A History of the Palestinian People: From Ancient Times to the Modern Era questo mese è riuscito a schizzare in vetta alle classifiche di vendita di Amazon.
Il suo autore, Assaf Voll, è un accademico dello stato sionista e afferma di aver consultato "migliaia di fonti" per illustrare "il contributo insostituibile del popolo palestinese al mondo e all'umanità".
Insomma, quando ad Amazon si sono accorti che le centotrenta pagine del libro erano tutte bianche hanno precipitosamente tolto il titolo dal sito. Non prima che centinaia di clienti avessero pagato una decina di dollari per ritrovarsi con questo scherzo da prete. Parlando ad una radio sionista il signor Voll ha detto: "C'è bisogno che qualcuno dica [ai palestinesi] la verità, anche se fa male."
A History of the Palestinian People ha qualche antecedente famoso. Nel 1969 il primo ministro dello stato sionista Golda Meir dichiarò al mondo: "Non esiste nulla di simile ad un popolo palestinese."
Quindici anni dopo un libro intitolato From Time Immemorial riscosse il plauso degli studiosi e dei giornali in tutti gli Stati Uniti. Esso sosteneva che i palestinesi non erano un popolo nativo della Palestina, ma emigrati per ragioni economiche che si erano avvalsi delle proposte fatte dall'impero ottomano.
Un brillante studente di dottorato ebreo, Nortman Finkelstein, sbugiardò il volume ed esso venne gradualmente dimenticato.
L'iniziativa di Voll riecheggia comunque la narrativa storica popolare nello stato sionista. Nei musei dello stato sionista la presenza dei palestinesi viene obnubilata con oscuri riferimenti ad un periodo "ottomano". Come i romani, i crociati, i mamelucchi e i britannici, gli ottomani vengono presentati come occupanti temporanei. I politici e i mass media dello stato sionista parlano normalmente dei palestinesi di oggi come di occupanti abusivi e di intrusi.
Ai sionisti non è parso il vero di far sparire i palestinesi. Chi mai deve sentirsi colpevole per la cacciata di migliaia di "arabi" nel 1948 o per il dominio brutale esercitato per più di cinquant'anni nei territori occupati, se i palestinesi non avevano fin dall'inizio alcun diritto di essere lì?
L'antidoto al libro senza parole del signor Voll è una recente antologia di saggi che comprende scrittori ebrei e sionisti di prima grandezza e che non dimentica mai il profondo radicamento dei palestinesi nel paese e tiene l'attenzione concentrata sulla devastante realtà dell'occupazione sionista.
La settimana scorsa lo scrittore e il vincitore del premio Pulitzer Michael Chabon ha detto aver dovuto affrontare un fuoco di fila di insulti dopo la pubblicazione di Cenere e ulivi; un fuoco di fila fatto apposta perché fosse di ammonimento a chiunque avesse l'intenzione di comportarsi come lui.
I motivi che portano i sostenitori dello stato sionista a fare dell'invisibilità dei palestinesi la propria tattica di elezione sono comprensibili. Tuttavia esiste una pubblicazione recente che suggerisce che sarebbe saggio per loro mettere in ombra anche lo stato sionista.
Il Brand Israel Group ha scoperto che più gli studenti statunitensi di college venivano a sapere sullo stato sionista e meno lo apprezzavano. Nei sei anni fino al 2016 il sostegno per lo stato sionista nella nuova generazione della classe dirigente ebraica è calato bruscamente, di ventisette punti percentuali.
Lo stato sionista per tradizione intrattiene legami con gli ebrei che vivono oltremare. Nel corso degli ultimi vent'anni il programma Birthright ha portato mezzo milione di giovani ebrei ameriKKKani in viaggio d'estate gratis nello stato sionista per un corso intensivo di indottrinamento.
Si supponeva che gli studenti se ne sarebbero ripartiti come ferventi ambasciatori dello stato sionista o, meglio ancora, come dediti alla causa che vi sarebbero emigrati per aiutare nella guerra demografica contro i palestinesi.
Tuttavia gli organizzatori sono consapevoli del fatto che un crescente numero di partecipanti se la squaglia poi nei territori occupati per scoprire de visu una storia che i più anziani non gli hanno raccontato. La cosa può avere un effetto profondo. Molti si impegnano nelle manifestazioni di protesta che si tengono nei territori occupati o diventano leader del boicottaggio contro lo stato sionista nelle loro università una volta rientrati.
Quando lo stato sionista ha annunciato nei primi mesi di quest'anno gli avrebbe negato l'ingresso agli stranieri che sostengono il movimento di boicottaggio centinaia di partecipanti alle iniziative del Birthright hanno firmato una petizione chiedendo se a loro l'ingresso sarebbe stato concesso.
I segni del fatto che lo stato sionista avrà qualche problema con la prossima generazione di ebrei ameriKKKani sono già evidenti. Sono l'essenza di un nuovo progetto in atto nella west bank vicino a Hebron e che prevede iniziative non violente dirette contro l'occupazione. Il Sumud Freedom Camp -"Sumud" indica in arabo il concetto di determinazione- è un progetto che coinvolge palestinesi, abitanti dello stato sionista ed ebrei stranieri che rifiutano di non vedere le sofferenze dei palestinesi. Costituisce un nuovo tipo di protesta unitaria.
Questi giovani ebrei sperano che la loro presenza proteggerà i palestinesi che cercano di riottenere le terre rubate dallo stato sionista. L'esercito ha più volte sgomberato il campo. Una partecipante ebrea statunitense ha scritto ai mass media dello stato sionista di come le esperienze fatte abbiano incrinato ai suoi occhi l'immagine dei soldati sionisti come "supereroi che la avrebbero protetta dai pericoli".
La gioventù ebraica ameriKKKana si sta polarizzando: da una parte c'è la generazione più anziana cui l'ignoranza consente di perorare senza riflettere la causa dello stato sionista, dall'altra c'è quella più giovane, cui una maggiore consapevolezza ha fatto sviluppare anche un senso di responsabilità. In un mondo sempre più globalizzato questa tendenza è destinata ad intensificarsi.
I giovani ebrei ameriKKKani dovranno fare la loro scelta. Si renderanno complici, sia pure rimanendosene in silenzio, nella cancellazione del popolo palestinese che lo stato sionista ha intrapreso in loro nome? O si leveranno in piedi e lotteranno nei territori occupati, nelle università, nei quartieri e, tra non molto, anche nelle stanze del potere a Washington?