Il politico toscano Enrico Rossi fece lodevolmente circolare anni fa questa foto, causando reazioni isteriche nella feccia "occidentalista" che sporca internet con i propri piagnistei.

 

I sudditi dello stato che occupa la penisola italiana sono stati sottoposti per almeno venticinque anni a una campagna mediatica incessante, prima centrata su una "libertà" contrapposta al "comunismo" -vale a dire alla giustizia sociale- e poi, dopo i radicali e innovativi interventi urbanistici sul suolo statunitense avvenuti nel settembre del 2001, su una "sicurezza" contrapposta al "degrado", ovvero ad ogni comportamento diverso da quelli di consumo. Perché il degrado diventi terrorismo non è necessario che la parola passi alle armi; è sufficiente che l'esposizione delle contraddizioni, delle nefandezze e delle ridicolaggini della one best way occidentale sia abbastanza documentata e mordace da farsi percepire come un pericolo dalla committenza.
La campagna ha raccolto frutti che ultimamente si sono fatti persino sovrabbondanti e ha comunque imposto da decenni un adattamento all'agenda politica dell'intero arco costituzionale che ha portato a risultati concreti che sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli. I sudditi vivono nel perenne timore di essere multati, sfrattati, denunciati, querelati, ripresi, tassati e licenziati; tutto grazie a un apparato legislativo a servizio di "libertà" e "sicurezza", pienamente avallato da amplissimi suffragi.
A questa situazione sfuggono due categorie soltanto.
La prima è quella di chi vive al di sopra delle regole, una classe sociale siderea sui cui redditi e sul cui tenore di vita multe, sfratti, denunce, querele, riprese, tasse e licenziamenti non hanno alcuna influenza. Anche in caso di rovesci davvero seri un party in tono ridotto e un servizio fotografico insieme a qualche comprensiva ragazza con pochi vestiti addosso sono sufficienti a riaccreditare come neo-perbene il soggetto interessato.
La seconda è quella di chi vive al di sotto delle regole. Una classe sociale talmente infima e insolvibile che multe, sfratti, denunce, querele, riprese, tasse e licenziamenti non trovano appiglio alcuno e  falliscono spesso il colpo.
La propaganda è ovviamente orchestrata in modo che il risentimento dei sudditi si diriga unicamente sulla seconda categoria: l'idea che esista qualcuno che vive, sia pure in maniera precaria e ai limiti dell'umanità, al riparo di tanto occhiuti ed artefatti impicci deve risultare intollerabile. Chi avalla i più sanguinari propositi è di solito un individuo convintissimo che in certe condizioni si troverà sempre e comunque qualcun altro e che per lui un piatto di spaghetti ci sarà sempre e comunque; di solito rimane molto male a scoprire che c'è chi si adatta a dormire sotto il palco delle esecuzioni invece che in un letto, e che per giunta la fa spesso franca mandando all'aria i suoi patetici conti da servo.
Al momento attuale al centro dell'attenzione mediatica sono tornati i rom, o zingari o comunque si vogliano chiamare le poche decine di rappresentanti della seconda categoria su cui un diplomato in sovrappeso incapace di laurearsi anche in dodici anni (e attuale "ministro dell'interno" dello stato che occupa la penisola italiana) ha basato una campagna elettorale permanente.
Incapaci come e più del solito di influire costruttivamente su eventi anche minimi, i politici "occidentalisti" giustificano la propria esistenza e soprattutto le proprie retribuzioni ricorrendo ai soliti sistemi.
Alla fine di giugno del 2018 il "ministro" su ricordato ha fatto sapere che intende sprecare il tempo di molti gendarmi di stanza a Firenze e il corrispettivo in denaro pubblico destinato a retribuirli per farsi scortare in visita nel "campo nomadi" del Poderaccio. Dal momento che la "libera informazione" occidentale registra da anni ogni movimento di individui come questo, chi possiede apparecchi televisivi o è solito consultare le gazzette potrà contare su una copertura mediatica dell'iniziativa ai limiti del capzioso.
Il compagno di malefatte telematiche Miguel Martinez ha lasciato perdere gazzette e televisori, e ha scritto qualcosa su Zingari, Campi rom e Resilienza che si riporta tal quale. 
 
 Ascoltando il dibattito sulla minaccia di Salvini di mettere ordine nel misterioso mondo dei “campi Rom”, a parte qualche risata sulla sua presunzione, mi sono venute in mente alcune riflessioni.
Definiamo i termini: a me la parola rom, come viene usata non piace. Significa semplicemente, “maschio sposato”, non esistendo – giustamente – alcun termine per definire l’insieme di quei “maschi sposati”, delle loro mogli e figlioli, i cui avi venivano dalla lontana India (cosa di cui loro non hanno ovviamente coscienza, se non in qualche caso di “tradizione inventata”).
Dire “Rom” dà la falsa idea che esista un “popolo Rom”, una “nazione Rom” magari, secondo la fatale scia dei nazionalismi ottocenteschi.
Si dice Rom per non dire Zingaro, che sarebbe offensivo, perché indica un antipatico lavativo probabilmente ladro.
Ma se proprio Salvini usa il termine Rom, vuol dire che anche quel termine ormai significa antipatico lavativo probabilmente ladro, per cui tanto vale usare la parola zingaro, che almeno ha un tocco di romantico.
Ora, precisiamo che quando dico zingaro, non intendo chiunque abbia un lontano avo che era un fuoricasta del nordest  indiano verso l’anno Mille: nella scuola elementare del quartiere, nessuno tranne me e qualche romeno si rende conto che la bravissima bambina romena dalla pelle scura, e la sua mamma che fa la donna delle pulizie (cui le famiglie affidano le chiavi di casa senza esitare) è una zingara.
Qui per zingari intendo soltanto quelli che abitano nei Campi e nei Paracampi. Dove per paracampi, intendo quelle case popolari in cui gli abitanti “zingari” ricostruiscono in brevissimo tempo più o meno la stessa struttura sociale.
Mentre per “italiani” intendo tutto il dispositivo culturale/legale/valoriale che possiamo associare alla “legalità”, al “progresso”, ai “diritti”, ecc. ecc.
Ora, definiti in questo modo capriccioso e impreciso i termini, guardiamo la cosa per la prima volta dal punto di vista degli zingari, e non solo da quello degli italiani:
Per gli zingari, vivere da italiani sarebbe suicida.
Ogni giorno, gli zingari vedono come sarebbero ridotti, se vivessero da italiani.
Basta infatti guardare i clochard.
I clochard non hanno affetti, non hanno sostegno, hanno solo l’alcol e crepano presto.
Gli zingari stanno incomparabilmente meglio, perché hanno una rete di rapporti tessuti attraverso i matrimoni, con una gerarchia del Padre Padrone e della Matriarca, che si regge sulla possibilità di disporre a suon di risate e di botte, di figlie e nuore, per mendicare, andare in sposa, allevare bambini, pulire tappeti e dedicarsi ad altri compiti utili, finché non diventeranno anche loro matriarche.
Mendicare permette di interagire in maniera complessa con il mondo esterno: da una parte prendendone risorse, dall’altra creando comunque un muro. La zingara che ti chiede soldi suscita reazioni molto complesse, perché sai che sta abusando del tuo senso di pietà, allo stesso tempo sai che ti fa sentire in colpa.
Questo muro viene rafforzato anche dalla scelta a prima vista sorprendente di abbigliarsi in maniera clamorosamente riconoscibile, come ha sottolineato Ugo Bardi anni fa, in un post che non riesco più a ritrovare.
In fondo erano riconoscibili anche i mestieri che offrivano qualche forma di scambio (calderai, venditori di cavalli, leggere la fortuna, fare musica, fare gli orsari).
Mendicare permette di ridistribuire risorse e fatica in modo ragionevole. Mentre lavorare – in senso “italiano” – significa che uno su venti che dovesse trovare lavoro, dovrebbe mantenere venti parenti. Per cui non è che si sia terribilmente tentati, almeno finché la Famiglia veglia: poi ne conosco, di zingari che hanno mollato per strada moglie e figli per andare a fare l’operaio e godersi la pazza vita da VIP di Individui Liberati e Moderni, facendosi post su Facebook, per ostentare l’ebbrezza di essere stati assunti in qualche fabbrica.
E’ fondamentale poi un sottofondo di ostilità esterna, che permette di rafforzare la solidarietà interna. Mai ideologica o nazionalista, semplicemente la certezza che il poliziotto o l’assistente sociale sono persone pericolose, che per pura cattiveria ti possono fare del male, e quindi è meglio fidarsi delle persone che si conoscono.
A questo punto subentra un altro meccanismo eccezionale: quello che erroneamente chiamiamo “nomadismo“, ma non ha nulla a che fare con il nomadismo delle steppe o dei deserti.
Quando gli zingari iniziano a pesare un po’ troppo, tolgono il disturbo. Che tra l’altro è il modo migliore per evitare rancori e violenza, a cui si affianca il brillante rifiuto del passato, l’idea che i parenti morti – invece di essere avi da divinizzare – siano vampiri.
Ecco che è naturale anche sfuggire a tutto il dispositivo di schedatura che caratterizza la modernità.
La prima volta che ho sentito degli zingari abruzzesi parlare nella loro lingua, sono rimasto folgorato: senza scrivere nulla, rifiutando ogni tentazione di “storia”, con un bell’accento da terroni, parlavano una lingua il cui parente più vicino è l’Urdu.
E la lingua, totalmente orale, non è solo un veicolo di segretezza, è anche l’elemento fondante della maniera in cui si immagina il mondo: almeno fino all’arrivo di Facebook, nulla minaccia di più di scioglierla, della scuola. E quindi non sorprende che per molti, la scuola sia più fonte di preoccupazione che di speranza.
Ponendoci per un momento fuori dai giudizi, ci sarà pure un motivo per cui un sistema sociale di questo tipo resiste da mille anni fuori dall’India (e magari da millenni nella stessa India), permettendo a chi altrimenti sarebbe già morto da secoli di prosperare e diffondersi ovunque.
Un sistema che non ha bisogno di libri, di bandiere, di religioni, di re, di costituzioni, di parlamenti, di magistrati, di conti, di banche…
… e che è sopravvissuto a tutti i libri, le bandiere, le religioni, i re, le costituzioni, i parlamenti, i magistrati, i conti e le banche.
Esiste vita al di fuori del vostro mondo.