Traduzione da Strategic Culture, 23 luglio 2018
 
Magari è un'errata valutazione, ma un numero non piccolo di commentatori ha fatto pensare che il Presidente Trump a Helsinki intendesse fare tabula rasa della triangolazione alla Kissinger esistente fra USA, Russia e Cina. Si tratta di un'ipotesi ben fondata. Lo stesso Trump aveva abbracciato la linea di Kissinger in una conferenza stampa del 2015: gli USA avrebbero dovuto sempre cercare di tenere divise Russia e Cina in modo da non trovarsele coalizzate contro.
 
"...Una delle cose peggiori che può succedere al nostro paese è il riavvicinamento della Russia alla Cina. Le abbiamo fatte avvicinare noi, con i grandi accordi fatti nel settore petrolifero. Le abbiamo fatte avvicinare noi. Per il nostro paese è una prospettiva terribile. Sono diventate amiche a causa della nostra leadership incompetente. Io credo che con Putin mi troverei molto bene, no? E, dico, i più forti siamo noi [gli USA]. Non credo che serviranno le sanzioni; sono convinto che andremo molto, molto d'accordo."
Un discorso sensato, ma a Helsinki Trump ha fatto qualcosa di molto meno strategico e di molto più terra terra, qualcosa che è più in accordo con la sua filosofia basata sull'arte dell'accordo.
Nel corso del tempo abbiamo sviluppato un modello mentale abbastanza preciso di come "si suppone che si comporterà un Presidente e di come si svilupperà un processo politico. Ovviamente Trump non corrisponde a questo modello," scrive Jim Rickards. "[George W.] Bush e Obama erano completamente orientati al processo. Si poteva prevedere con ampio anticipo il corso degli eventi mentre si facevano strada nei processi decisionali della West Wing e di Capitol Hill." Nel caso di Trump, continua Rickards, "un processo esiste, ma non si conforma né a una linea temporale né a un copione esistente. Sembra che Trump sia per la maggior parte del tempo l'unico a prendervi parte. Nessun altro a Washington pensa in questo modo. Chi è dell'ambiente tenta di evitare confronti e inasprimenti e a fare compromessi fin dall'inizio, compiendo in modo raffinato il percorso attraverso il processo politico."
 
"Ecco qui il processo di Trump:
- Identificare un grande obiettivo (il taglio delle tasse, l'equilibrio commerciale, il muro...).
- Identificare i punti di pressione da usare contro chiunque si metta nel mezzo (le elezioni, le tariffe, i posti di lavoro e così via).
- Minacciare in modo estremo l'oppositore, rifacendosi ai punti di pressione di cui sopra.
- Se l'oppositore lascia perdere, venire a più miti consigli, cantare vittoria e tornarsene a casa con gli allori.
- Se l'oppositore ribatte, raddoppiare la posta. Se Trump dichiara l'intenzione di sottoporre a dazio cinquanta miliardi di importazioni dalla Cina e la Cina reagisce in proporzione, Trump rilancia al raddoppio e i miliardi di importazioni diventano cento. Trump alza la posta fino a quando non vince."
Alla fine questo gioco al rialzo può sfociare in negoziati che portino almeno all'idea che Trump abbia vinto, come nel caso della Corea del Nord, anche se si tratta di una vittoria più di figura che concreta.
Insomma, se vediamo il vertice di Helsinki nell'ottica dell'arte dell'accordo, cosa ne viene fuori? Russia e USA hanno tali divergenze e così pochi sono i punti di vista condivisi che le prospettive per arrivare a un accordo strategico globale sono assai scarse. Il Presidente Trump non può offire gran che alla Russia; togliere le sanzioni non dipende da lui ma dal Congresso, e non può, per come stanno le cose oggi, cedere sulla questione dell'Ucraina nonostante Trump abbia chiaro che USA ed Europa con il colpo della Maidan a Kiev si sono procurati una bella gatta da pelare.
"Quindi", come scrive l'editorialista russo Rotislav Ishchenko (qui una traduzione dal russo) "la situazione è quella in cui due parti, anche prima che inizino i negoziati, sanno che non riusciranno ad accordarsi e non si sono neppure preparate a farlo dal momento che dopo le trattative non era previsto di sottoscrivere alcunché.Al tempo stesso entrambe le parti avevano bisogno che l'iniziativa fosse un successo." Ishchenko prosegue: "Trump ovviamente minaccia l'Unione Europea con una possibile intesa con la Russia. E anche Putin ha bisogno di mostrare all'Europa che non è l'unica con cui si può trattare.
 La posizione dell'Europa è chiara. Non è una coincidenza il fatto che Trump, elencando i nemici degli USA (la UE, la Cina, la Russia) abbia messo in chiaro che considera la Russia un problema minore [rispetto alla UE] perché in pratica con essa non ci sono contraddizioni sul piano dell'economia (il Nord Stream 2 non conta). Non è la Cina, con cui gli USA hanno i maggiori negativi dal punto di vista della bilancia commerciale, ma l'Unione Europea -che Trump definisce tranquillamente come il principale competitore commerciale- a ricevere benefici economici ingiustificati tramite accordi politici con gli USA, e che resta il loro principale avversario.
[Trump così] risolve le sue contraddizioni politiche e militari con la Russia [e di conseguenza] riduce a zero il valore della UE come alleato di Washington... L'Europa era abituata a servirsi del proprio ruolo di trampolino per la lotta contro la Russia come [essenziale] argomento per tenere Trump lontano dal compiere questo ultimo passo, la completa separazione dalla UE. E sperava di poter continuare a farlo.
Negli ultimi tempi la Merkel, dopo il summit della NATO, ha iniziato a dire senza infingimenti... [che l'ostilità di Trump verso la UE non ha giustificazione], perché l'Europa si batte con la Russia in nome degli interessi degli USA.
Per l'Unione Europea era essenziale che questa argomentazione continuasse a funzionare. Altrimenti Washington avrebbe avuto assai più in comune con Mosca che con Bruxelles. E l'Europa non è pronta a un aspro confronto con gli USA. Occupata com'era a riposare sugli allori [ovvero sulla propria convinzione di avere dalla propria una sorta di superiorità morale nel campo dei valori], l'Europa non si è impegnata -a differenza della Cina, per esempio- in una diversificazione dei propri legami economici ed è apparsa fortemente dipendente dall'accesso al mercato ameriKKKano.
"Dal momento che non si sono azzardati a precedere Trump nella normalizzazione dei rapporti con la Russia, i leader dell'Unione Europea temevano fatalmente che Trump e Putin, a dispetto delle difficoltà, avrebbero fatto l'impossibile per arrivare a qualche accordo, specie perché entrambi si sono rivelati gente capace di prendere in un istante decisioni che cambiano il destino del mondo.
La posizione assunta dall'Unione Europea ha incrementato il valore del vertice anche per la Russia. A Mosca possono aspettare fino a quando Washington non sarà pronta a riconciliarsi. Se si considera che l'Unione Europea ha ovviamente l'intenzione di mettersi di mezzo per cercare di salvaguardare un assetto geopolitico da cui trae vantaggio ma che non va bene né a Trump né a Putin, la Russia ha anche interesse a ben figurare davanti al mondo in occasione di questo vertice, e a mostrare che c'è la possibilità di arrivare ad accordi definitivi ed esaurienti."
Insomma, Trump si sta servendo di Helsinki per "minacciare in modo estremo l'oppositore", ovvero l'Unione Europea, impedendole di giocare la carta della propria utilità nei confronti dell'AmeriKKKa nella perenne contesa con la Russia. Il recente comunicato finale della NATO in ogni caso suona come un'accusa piuttosto precisa nei confronti della Russia e del suo comportamento.
Sia Trump che Putin si sono assunti un considerevole rischio politico con questa messa in scena della "fine della Guerra Fredda" In alcuni settori degli USA Trump ha levato reazioni straordinariamente isteriche e ha provocato molti commenti agli editoriali dello Washington Post che definivano il linguaggio che ha caratterizzato l'eloquio di Trump alla conferenza stampa come una "apostasia" e "un cancro in mezzo a noi". (Il vocabolo apostasia è il linguaggio con cui lo jihadismo violento taccia chi non crede.)
Non c'è dubbio che il latente odio per la Russia sia uscito allo scoperto. Questa acredine non sarà una sorpresa per Putin, anche se il registro linguistico estremo che la élite ha usato nei confronti di Trump metterà i russi al corrente di quello che rischiano loro nel caso Trump venisse per un motivo o per l'altro rimosso dalla propria carica.
Cosa implica il ricorso a un linguaggio simile? Le radici della russofobia in AmeriKKKa sono profonde. La loro origine risale all'epoca della partecipazione di attivismi del trotzkismo ameriKKKano alla rivoluzione bolscevica, ampiamente finanziata e orchestrata da Wall Street. I banchieri di New York non fornirono soltanto denaro, ma agevolarono un facile passaggio in Russia a rivoluzionari come Trotzky ed altri. L'assassinio dei killer trotzkisti (e di molte altre persone) ad opera di Stalin negli anni Trenta è alla base del linguaggio forcaiolo russo che ancora circola negli USA, anche se qualcuno ne ha dimenticato l'origine. Esistono conventicole negli USA che non hanno mai perdonato i repulisti staliniani.
Ovviamente quello che irrita la maggior parte della gente in AmeriKKKa e nelle élite liberali europee è il fatto che Putin consideri l'AmeriKKKa come al proprio livello morale e come dotata di pari competenze nel settore dell'intelligence. L'AmeriKKKa è convinta di aver vinto una volta per tutte: ha vinto la Guerra Fredda sotto il profilo culturale, nel campo dei sistemi di governo e dell'economia. Questo arrogarsi la "fine della storia", e la condizione di estasi che ne è derivata, le hanno evitato il bisogno di trattare la Russia come qualcosa di diverso dal popolo "psicologicamente sconfitto" che essa, peraltro, non era.
In ultima analisi il risentimento dello establishment occidentale nasce dal rifuto dei russi di sottostare a quella sconfitta che, secondo questo modo di vedere, si erano meritata: Putin ha rifiutato di incasellare la Russia nell'ordine mondiale a guida ameriKKKana e ha preferito che, in qualche modo, la Russia rimanesse Russia, secondo una cultura propria.
Quali sono le implicazioni per l'Europa? Per l'Europa si tratta di una catastrofe. Significa che il dialogo degli USA con Putin è destinato a continuare. Da che parte schierarsi allora, per Washington o per Mosca? Restare leali alla vecchia sovranità dimezzata o cercare di aderire a qualcosa di nuovo, prima che ci pensi qualcun altro?
A differenza della Russia l'Europa non può permettersi di aspettare. Incontrando Putin, Trump ha tolto gli USA dallo stallo e ha tolto all'Unione Europea il diritto di fare la stessa mossa. Questo rischia di complicare la politica europea più di quanto non facciano le sfide che essa deve già affrontare.
E Trump? I "flussi del denaro" indicano che sarà incriminato o messo in stato d'accusa dopo le elezioni di metà mandato. C'è da dubitarne. A fronte di tutte le chiacchiere di John Brennan su "reati e malefatte di estrema gravità" formulate col preciso linguaggio giuridico dell'impeachment, non esiste alcun reato. E se anche ve ne fossero, sono cose che come tali possono emergere da un trimestre molto diverso. Ed è probabile che Trump sopravviverà all'isteria imperante.