Traduzione da Strategic Culture, 6 agosto 2018.

Il professor Michael Klare in un lungo scritto afferma che i discorsi della campagna presidenziale del 2016, anche se non menzionavano esplicitamente il concetto, tendevano comunque alla prospettiva di un mondo controllato da tre grandi potenze -USA, Cina e Russia- secondo modalità in cui non sarebbero mancati gomitate e spintoni, ma in cui le guerre sarebbero state poche.
Klare afferma che
La prova che Trump ha preso in considerazione un sistema internazionale di questo genere si possono trovare nei discorsi e nelle interviste della campagna del 2016. In essi, più volte ha denunciato la Cina per le sue pratiche commerciali spregiudicate e ha biasimato la Russia per il suo arsenale nucleare, ma non ha mai descritto i due paesi come nemici mortali. Si trattava di rivali o di concorrenti, con i cui capi si poteva comunicare e anche collaborare, nei casi in cui la cosa si rivelava vantaggiosa. Trump accusava d'altra parte la NATO di costituire un limite per la prosperità degli USA e per la loro facoltà di muoversi con successo nello scenario mondiale. Insomma, l'alleanza era assolutamente superflua se i suoi appartenenti non intendevano sostenere le idee di Trump sul come promuovere gli interessi ameriKKKani in un mondo altamente competitivo.
Sono argomenti senz'altro plausibili, e vari autori hanno sviluppato questa linea di pensiero arrivando all'assunto per cui nel 2016 Trump stava vagamente pensando a un grande accordo strategico che sarebbe stato il fondamento per la pace mondiale.
Probabilmente all'epoca le cose stavano così. Io sarei dell'opinione che una simile tesi non ha trovato buona conferma negli eventi, perché l'arte dell'accordo di Trump applicata al contesto geostrategico, come possiamo adesso notare, si fonda sulla pressione e sulla minaccia degli USA e sul costringere la controparte a capitolare. Una tattica che non lascia spazio ad alcuna speranza di arrivare a una concertazione fra tre potenze alla pari e degne di considerazione. Il metodo di Trump non prevede la presa in considerazione dell'altro ma solo pressioni, esercitate con ogni misura possibile, per garantire il predominio statunitense.
O forse -e si tratta di una valutazione che magari pecca di eccessiva generosità- le idee che Trump aveva nel 2016 erano troppo in anticipo sui tempi e hanno dovuto subire delle modifiche dopo una ruvida presa di contatto con la natura della macchina governativa statunitense. In questo caso sarà difficile che un qualsiasi partenariato a tre possa affermarsi prima che l'AmeriKKKa abbia affrontato una sorta di profonda catarsi. I suoi costituenti infatti, come ha detto un senatore statunitensi, semplicemente mancano degli strumenti culturali che gli servirebbero per contemplare l'idea di non essere "i primi al mondo".
Il professor Russell-Mead ha ripreso questa considerazione, scrivendo che la "metamorfosi dell'8 maggio" con cui Donald Trump è uscito dagli accordi sul nucleare iraniano ha rappresentato un cambiamento di direzione: un cambiamento che è il riflesso della "istintiva comprensione [da parte di Trump] del fatto che la maggior parte degli ameriKKKani sono tutt'altro che ansiosi di arrivare ad un mondo post ameriKKKano". I sostenitori del signor Trump non vogliono lunghe guerre, "ma non possono neppure essere persuasi ad accettare stoicamente il declino del paese".
È notevole il fatto che Russell-Mead colleghi saldamente il mutamento qualitativo deciso da Trump proprio alla "metamorfosi dell'8 maggio", che è stato il momento in cui il presidente ha abbracciato una volta per tutte la linea politica dello stato sionista che prevedeva l'uscita dall'accordo sul nucleare iraniano -decidendo di sanzionare e di mettere sotto assedio l'economia della Repubblica islamica dell'Iran- e che ha appoggiato la vecchia ma mai concretizzata idea di una NATO araba e sunnita capeggiata da Riyadh destinata a confrontarsi con l'Iran sciita.
Col passare del tempo è possibile che Trump si ricordi di Russell-Mead e arrivi alla conclusione che il professore aveva ragione, ovvero che quella specifica decisione ha rappresentato un punto di svolta per la sua presidenza. Una decisione che di fatto ha impedito di raggiungere qualsiasi grande accordo con la Russia o con la Cina. Ed è possibile che concluda che proprio in quel momento ha perso questa possibilità perché la Casa Bianca ha seguito bovinamente Netanyahu nel suo confronto con l'Iran. Ovviamente il disaccordo seminato dai servizi di intelligence politicizzati del Regno Unito e degli Stati Uniti ha ridotto lo spazio disponibile per le manovre politiche di Trump, ma non è certo questo uno dei motivi per cui Russia e Cina non hanno previsto di raggiungere un ampio accordo con Trump. L'Iran di per sé, invece, lo è.
Per quale motivo? Il professor Klare paradossalmente spiega a chiare lettere perché non ci sarà nessun ordine mondiale a tre: perché al centro della partnership strategica fra Russia e Cina c'era e continua ad esserci "la condanna dell'egemonia globale -il dominio di un singolo paese sulle vicende mondiali- insieme all'appello per l'istituzione di un ordine internazionale multipolare". In esso si trovano anche altri concetti fondamentali, compreso il rispetto incondizionato per la sovranità statale, la non interferenza negli affari interni degli altri stati e il perseguimento di vantaggi economici reciproci. [Il corsivo è dell'autore, N.d.T.]
Quando Trump ha fatto propria senza riserve la linea politica dello stato sionista (o meglio, quella di Netanyahu) si è dovuto prendere tutto il pacco. Il documento preparato nel 1996 per Benjaminh Netanyahu da un gruppo di studi capeggiato da Richard Perle e intitolato Clean Break faceva un tutt'uno degli schieramenti neoconservatori statunitensi e sionisti. Schieramenti che sono a tutt'oggi ancora uniti a livello ombelicale. La "squadra di Trump" oggi come oggi è infarcita di neoconservatori che odiano l'Iran senza alcuna riserva. Sheldon Adelson, un importante finanziatore politico di Trump, un sostenitore di Netanyahu e principale istigatore del trasferimento a Gerusalemme dell'ambasciata statunitense è dunque riuscito a collocare il proprio alleato John Bolton -un neoconservatore irriducibile- al posto di primo consigliere per la politica estera di Donald Trump.
Di fatto l' arte dell'accordo è stata trasformata dai neoconservatori in uno strumento per ampliare il potere ameriKKKano piuttosto che per adattare l'ordine economico mondiale in un modo accettabile all'asse Russia-Cina. E oggi come oggi non esiste alcun "vantaggio economico reciproco" che si possa vedere o di cui si possa fare menzione.
Insieme alla linea politica di Netanyahu Trump ha adottato politiche che puntano al rovesciamento del governo iraniano o almeno a far sì che che l'Iran sia costretto a cambiare atteggiamento al punto che i suoi leader siano costretti a rinnegare la rivoluzione iraniana. Con questo "prima lo stato sionista" Trump deve anche acconsentire all'esistenza di un anello di basi militari statunitensi intorno al Golfo destinate a contenere l'influenza iraniana e a sostenere concedendo armi il vecchio e superato progetto della NATO araba. Inoltre, con questo "prima lo stato sionista" non c'è da sorprendersi se Trump scopre che esistono ostacoli al ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria e dall'Afghanistan, laddove un Iran inteso come "attore malevolo da arginare" impedisce a Trump di mantenere l'impegno preso in campagna elettorale sul ritiro dal Medio Oriente.
Oltre al dato di fatto che l'Iran è un alleato strategico sia della Cina e della Russia, dal momento che occupa una posizione chiave sia nella strategia cinese basata sulle vie commerciali che in quella russa sulla supremazia continentale, la strategia che mette al primo posto lo stato sionista rappresenta un ottimo giustificativo per tutte le denunce che Cina e Russia hanno fatto e che continuano a fare: l'uscita degli USA da un accordo internazionale senza alcun motivo; il loro disprezzo per il diritto internazionale; l'insistenza soltanto loro per un assedio economico all'Iran; l'intromissione negli affari interni di un altro paese (con il rafforzamento della dissidenza di cui sono esponenti di Mujaheddin del Popolo), le prepotenze da padroni del vapore contro gli altri paesi affinché assecondino le sanzioni parate contro terzi e il rifiuto dei vantaggi economici reciproci. Trump ha superato ogni limite. Perché mai Russia e Cina dovrebbero fidarsi di lui. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si dice. L'AmeriKKKa è sempre l'AmeriKKKa.
Può essere che Trump avesse poca scelta e che la linea politica nei confronti dell'Iran abbia rappresentato in qualche modo una forzatura? Può essere che l'Iran sia stato il prezzo che gli è toccato pagare per mantenere i neoconservatori entro la portata  della Casa Bianca anziché fuori, per tutelarsi in qualche modo dalle trame di John Brennan e Robert Mueller? Forse gli servono sostenitori economici per la campagna presidenziale del 2020? Forse che a tanto può arrivare soltanto sostenendo senza riserve lo stato sionista?
O forse il suo far proprie le posizioni dello stato sionista, con la contemporanea ostilità verso l'Iran, è dovuta al suo ossessivo desiderio di disfare tutto ciò che Obama ha fatto? Altrimenti, è possibile che non si sia affatto trattato di una scelta strategica ma di una decisione viscerale, frutto dell'antica ostilità coltivata da Trump verso l'Iran e da una corrispondente predilezione verso lo stato sionista?
Su questo giudicherà la storia, ma intanto questi sono i fatti. Le motivazioni sono un'altra cosa, quello che conta è tutto qui: la politica di Trump in Medio Oriente è destinata al fallimento. Il popolo iraniano non si arrenderà mai. Trump è andato a mettersi all'angolo da solo, grazie a Bibi.
Oltretutto allo stato sionista l'accordo del secolo non frutterà assolutamente quel sostegno dei leader arabi che sembrava possibile all'inizio. Trump potrebbe anche imporre il suo progetto a fronte di nessun sostegno e di nessun consenso da parte dei palestinesi; in questo caso si tratterebbe in fin dei conti di una vittoria di Pirro che porterebbe molto danno agli USA.
Ormai è trascorso un anno e ancora restano da pubblicare i termini dell'accordo. Nel mondo arabo la musica sta cambiando: MbZ e MbS hanno perso il loro status di celebrità; MbS ha fatto carta straccia della questione palestinese e la guerra nello Yemen sta rosicchiando lo status di potenza regionale dell'Arabia Saudita. Di fatto, la guerra nello Yemen sta corrodendo la facoltà saudita di imporre qualunque cosa a chicchessia.
Esistono resoconti, e si tratta di resoconti credibili indicano che John Bolton "pensa di avere il diritto di trattare l'Iran come gli pare. Crede che potremmo [noi USA] combattere una campagna marittima nel Golfo Persico con poche o nessuna perdita e che se necessario [gli USA] possono bombardare il popolo iraniano per scatenare contro i mullah il rancore dovuto alle ristrettezze economiche. Pompeo è d'accordo con lui. Egli sta cercando di tenersi buono il presidente, intanto che persegue con intelligenza e senza chiasso gli obiettivi che condivide con Bolton."
"l'Iran non è l'Iraq," ha scritto Emile Nakleh, ex esperto sul campo della CIA per il Medio Oriente. Ha aggiunto laconicamente che "Trump e il Segretario di Stato Mike Pompeo dovrebbero essere già stati informati sulle differenze che ci sono fra i due paesi... L'Iran è una potenza militare credibile, con una portata regionale. La sua vicinanza geografica all'Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e ad altri paesi appartenenti al filoameriKKKano Consiglio per la Cooperazione nel Golfo rende questi ultimi troppo vulnerabili alle rappresaglie militari iraniane in caso di un attacco statunitense. Per l'Arabia Saudita e per i suoi vicini è molto difficile, nonostanti le batterie antimissile Patriot fornite dagli Stati Uniti proteggere le proprie infrastrutture petrolifere e gli acquedotti."
Forse Mike Pompeo ha avuto anche qualche informazione sugli sciiti e sulla straordinaria resistenza che storicamente hanno dimostrato a fronte di persecuzioni millenarie. L'Iran è il faro degli sciiti di tutto il mondo, sciiti che probabilmente costituiscono il 40% della popolazione mediorientale, e non il 10% come si pensa generalmente.
E Gli sciiti sono maestri della guerra asimmetrica.
Nel caso Trump decidesse di passare la parola alle armi, ecco Nakhleh che ripete l'ammonimento destinato ai responsabili della politica statunitense prima della guerra all'Iraq.
 
La "liberazione" per mano straniera di un dato paese dal suo stesso governo diventa molto velocemente una "occupazione". Non importa quanto un "liberatore" straniero cerchi di indorare la pillola con gli imperativi morali che sarebbero stati motivo del suo agire. Quando ho consigliato un individuo ai vertici della politica statunitense nell'imminenza della guerra in Iraq sul conto delle possibili reazioni del popolo iracheno alla guerra condotta dagli USA che si prospettava, esso mi ha risposto con sufficienza che "voialtri [la CIA di Nakhleh] dovete capire che noi siamo dei liberatori e non degli occupanti. Noi andiamo a salvare il popolo iracheno da quel tiranno." Io risposi che questa cosiddetta liberazione avrebbe avuto vita breve, e che il mondo islamico non avrebbe sostenuto una guerra statunitense contro l'Iraq, che sarebbe stata considerata come nient'altro che un'altra 'crociata cristiana' contro un paese musulmano."
La "decisione dell'8 maggio" di Trump e la relativa "metamorfosi" dello spirito di fondo della presidenza cui essa ha necessariamente condotto hanno privato il presidente degli USA di qualsiasi contropartita di un qualche conto da offrire a Putin, al di là di qualche colloquio da amiconi e di qualche piccolo accordo sulla Siria stretto lì per lì. Adesso non ha nulla, nemmeno i finti condomini sulla spiaggia in Corea come quelli con cui Trump ha cercato di convincere Kim Jong Un, capace di suscitare un minimo di interesse in mezzo al popolo iraniano.
A meno che gli USA non attraversino un qualche processo catartico, finanziario politico che sia, in grado di far loro abbandonare visioni utopistiche su un'AmeriKKKa la cui unica missione è redimere il mondo, nulla cambierà nella loro immagine. A meno che questo non succeda, continueremo con l'ordine o il disordine mondiale in cui ci troviamo. E continueremo a trovarsi in grave pericolo.